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God Year. Paolo Canevari in mostra a Città di Castello

Paolo Canevari, San Sebastiano, 1999, pneumatico, bronzo Paolo Canevari, San Sebastiano, 1999, pneumatico, bronzo
Paolo Canevari, San Sebastiano, 1999, pneumatico, bronzo
Paolo Canevari, San Sebastiano, 1999, pneumatico, bronzo
Nella poetica di Canevari l’elemento cardine è lo pneumatico, simbolo del dio denaro e fattore inquinante che aggredisce la natura
Gli spazi

Gli spazi rinascimentali di Palazzo Vitelli alla Cannoniera, appartenenti alla pinacoteca di Città di Castello, ospitano fino al 15 febbraio 2026 le installazioni dell’artista Paolo Canevari. Installazioni chiamate a confrontarsi con la storicità del museo. Dove il presente incontra il passato. Gli elementi portanti della poetica di Canevari trovano ulteriore conferma dalla cornice rinascimentale delle opere esposte di Raffaello Sanzio, Signorelli e Ghiberti. Nelle intenzioni del curatore Lorenzo Fiorucci il progetto espositivo vuole sottolineare il rapporto tra arte, storia e contemporaneità, mettendo in luce i binomi sacro e profano, fede e consumo, materia e spirito.

Lo pneumatico

La materia prima utilizzata da Canevari nelle sue opere è lo pneumatico, non per niente il titolo God year deriva dal nome di una delle più celebri industrie di penumatici, simbolo di capitalismo, modernità, progresso tecnologico, e inoltre rifiuto emblematico del petrolio e dello sfruttamento globale. Ma l’artista lo trasforma in scultura, togliendo al materiale la sua funzione originaria e caricandolo di nuove valenze. In questo modo la mostra dovrebbe suscitare letture inattese delle opere antiche mediante il codice contemporaneo dell’artista. Rinnovando nel pubblico la percezione del museo.

Canevari usa lo pneumatico interprete della sua poetica, chiarisce Fiorucci, in quanto elemento che rimanda all’industria, alla ricchezza, al consumo. Metafora dell’economia crescente nel mondo emblema dal nuovo ‘Dio’ quello del denaro, ma nella sua matericità fisica è anche rifiuto inquinante quindi elemento che uccide la naturalità del creato. Allo pneumatico è legato con una catena l’uomo, denudato e avvilito dal lavoro, dallo sfruttamento, ma anche dal semplice atto di consumare. Un consumo che consuma l’umanità, privandola di tutto ed in particolare delle libertà. Il nudo, la catena e la ruota…. Simboli di ciò che siamo e di ciò che stiamo facendo senza nessuna remora di natura etica.

 

Paolo Canevari, Madonna 1998, scultura lignea secolo XV, pneumatico
Paolo Canevari, Madonna 1998, scultura lignea secolo XV, pneumatico

Canevari ha così costruito la propria iconografia utilizzando diversi media, animazione, disegno, video, scultura, performance e installazioni tenendosi lontano dagli incessanti stimoli visivi lanciati appunto, dagli apparati che sovrintendono il consumo. A suo parere la creazione artistica deve essere dissonante rispetto al quotidiano. Deve essere un’entità che crea valori, e non uno strumento mirato ad un obiettivo pratico. Un’entità che sappia denunciare non solo l’ammorbamento della natura, ma anche quello delle notizie e del pensiero.

Il nero

Trasformando la gomma industriale in linguaggio artistico, altri hanno utilizzato il marmo, il legno, la plastica, il ferro, Canevari ha privilegiato il nero che nell’arte ha una precisa connotazione. E’ sufficiente rifarsi al nero di Velázquez e Manet; al quadrato nero di Malevitch o al cretto di Burri. Nel suo fare artistico il nero è l’antitesi di ogni decorativismo o estetismo. Si propone come elemento simbolico e concettuale, come forma linguistica minimale che regge un gioco di accostamenti ora ludici ora ironici, ora lirici e sentimentali, ora beffardi o tragicomici.

L’accostamento di ironico e sentimentale lo si potrebbe scorgere nella Madonna del 1998, scultura lignea secolo XV con il nero straniante dello pneumatico come una sorta di aureola che incombe sulla testa della Vergine, inquinandone la visione. Nel san Sebastiano del 1999, l’immagine del santo è assente. A testimoniare la precarietà dell’esserci, della sua fragilità, è ancora lo pneumatico. Un manufatto progettato per resistere. Ma vulnerabile nello stesso tempo. Martirizzato, con le frecce che lo trafiggono. Colpito da una violenza che non conosce limiti. In cui il sacro si degrada e il profano si sacralizza.

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