Doppelganger
Il doppio che cammina, così è chiamato, il “Doppelganger”. Machiavellico e ingannevole, è’ legato al “perturbante” di Freud. Un’immagine, una persona sentita come amica ma al tempo stesso estranea, che porta confusione e angoscia. E’ il lato oscuro, il Mister Hyde, il demone che vive in ognuno di noi, il riflesso di cui Narciso si innamora, il noi visto allo specchio.
Nel 1968 Alighiero Boetti fa eseguire dal suo amico Mario Ponsetti un fotomontaggio in bianco e nero, grande quanto una cartolina postale, in cui l’artista tiene per mano una copia identica di sé stesso. Sul retro scrive frasi come”De-cantiamoci su” o “Non Marsalarti”, per poi spedire le copie a una cinquantina di amici. Attraverso quest’opera, intitolata “Gemelli”, Boetti afferma che ogni suo processo creativo è legato a un dualismo di intenti. Il meccanismo che inventa per i suoi lavori è una struttura di pensiero applicabile alle cose senza potersi esaurire. Il doppelganger può essere reale o virtuale, può essere una persona, un sosia o il riflesso invisibile all’occhio ma percepibile dal pensiero. L’idea ha il primato sull’esecuzione perché il pensiero è una facoltà superiore capace di cogliere il manifestarsi del “disegno delle cose”. La sua tematica portante è la dialettica tra concetti opposti, la riflessione sul tempo, lo sdoppiamento. In questo modo ha centrato il problema concettuale della nostra cultura: tutto è doppio. Ognuno può avere una doppia identità … Alighiero ha il suo gemello in Boetti, entrambi sono la stessa faccia di un’unica realtà.
Peter Fischli e David Weiss, entrambi svizzeri, sono un duo di artisti che, nel corso degli ultimi 30 anni, hanno fatto alcuni tra i più importanti interventi artistici in contesti come la Biennale di Venezia e Skulptur Projekte Munster. Weiss è morto di cancro nel mese di aprile 2012, all’età di 66 anni. I critici hanno spesso visto un parallelo con il lavoro di Marcel Duchamp, Jean Tinguely e Dieter Roth per l’ironia e l’uso di differenti materiali espressivi con i quali hanno dato vita all’arte più inaspettata e divertente del nostro tempo. Il tema principale e il contenuto della loro arte non è più la costruzione dello spazio ma l’interesse verso l’attività dell’uomo e dell’artista, per questo selezionano i materiali dall’ambiente circostante, per creare delle installazioni che si sviluppano nel tempo tanto quanto la vita stessa e obbligano il pubblico a rispondere alle sensazioni che lo sollecitano. L’utilizzo completamente libero dei materiali li ha portati a sfruttare le possibilità espressive del linguaggio che viene svincolato da ogni riferimento semantico. E’ la stesa libertà con cui Alighiero Boetti si ispira ai giochi, alle parole crociate e ai quadrati magici di origine esoterica per i suoi arazzi fatti di parole. L’artista torinese ha visto l’immagine come un “tradimento” degli ideali (artistici e politici) esplosi nel Sessantotto: dipingere rappresenta una sorta di distacco dal mondo reale, un distacco da guardare con disprezzo, per chi – come lui – si sente direttamente coinvolto dal presente e dalla cronaca. Fischli & Weiss nell’installazione “Untitled” (Questions), 2003, proiettano sulle pareti della galleria delle frasi che si intrecciano tra loro. L’origine del lavoro è da rintracciarsi in un piccolo libro nero dalle pagine oscure, in cui , scritte a mano in bianco ci sono delle domande. Come dubbi notturni, non sembrano aspettarsi una risposta, e sono offerti al vuoto più nella speranza che nell’attesa, e nella speranza che l’attesa si dissolva presto. Il libro si chiama “Will Happiness Find Me?” e propone questioni semiserie come “Sono forse il sacco a pelo della mia anima?” o domande retoriche come “E’ il mio essere pieno di serenità?” o “Sono condannato a vagare per la valle di lacrime come un clown?”. Questo libro potrebbe essere considerato tipico della pratica Fischli e Weiss, ed è così a causa della sua sensibilità – curioso, disarmante, divertente – piuttosto che per la sua forma.
Alighiero Boetti affermava : “Ci sono cinque sensi e il sesto è il pensiero ovvero la cosa più straordinaria che l‟uomo possieda, e che non ha niente a che vedere con la natura”. La povertà dei materiali utilizzati da Boetti non ha a che fare con la natura ma con l’uomo: è partito da qualcosa di veramente semplice come una penna biro e un foglio a quadretti. Su questi fogli preferiva disegnare con la sinistra, in questo modo il suo era solo un “trascrivere” , accentuando il carattere delle ripetitività, senza l‟ingerenza razionale della mente. Tra tutti gli artisti che hanno fatto parte dell’arte povera solo lui ha capito come utilizzare le funzioni superiori della corteccia cerebrale… il pensiero divergente… la capacità di ragionare, la buona percezione di sé e dell‟Altro (Alighiero & Boetti). Come per il doppelganger, l’Io non è all’origine della nascita del doppio, ma può solo “riconoscerlo”: dal momento in cui è l’Io, esiste anche il suo doppio, che ne incarna gli aspetti complementari. In questo senso l’artista afferma che la “doppiezza” è insita nell’uomo, è l’esplorazione di questo altro “polo “ dell’essere umano ha costellato la ricerca mitica e filosofica.