A conferma del gradimento del pubblico pagante e sovrano, come gli elettori unico vero padrone del vapore, l’incredibile carriera che si è dischiusa per gli artisti partecipanti all’avventura del Padiglione Italiano. Lo dimostra, carta canta, per esempio la prossima esposizione di Sandro Chia alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Sic! Uno spazio di una tristezza infinita, assolutamente periferico e ininfluente nel variegato panorama degli luoghi espositivi. E’ pur vero che vi ha esposto nientepopodimeno che Cy Twombly, come trionfalmente vantato da Beatrice, ma solo a supporto della sua personale alla galleria Gagosian di Roma, a dimostrazione, se mai ve ne fosse ancora bisogno, dell’incredibile provincialismo di cui siamo vittime. Se poi qualcuno avesse voglia di sfogliare un catalogo di Sandro Chia e consultare il prestigiosissimo curriculum espositivo, potrebbe verificare de visu la lunga e naturale parabola discendente del grande protagonista dei fab eighteen. E sono appunto i favolosi anni Ottanta l’epoca a cui il nostro Beatrice fa riferimento come piattaforma culturale intravedendo in quella atmosfera l’alternativa all’imperante estetica da “cubo bianco”, denunciando così la sua formazione di critico musicale, più esperto in revival e modaioli vintage, piuttosto che in ponderate teorie estetiche. Bizzarra intuizione, comunque, dato che è proprio di quella stagione il trionfo del postmoderno pensiero, sentina di tutti nullismi che costituiscono il nerbo, si fa per dire, della retorica del contemporary. L’espediente di scavare trincee dalle quali sparare e farsi rispondere è una garanzia di visibilità, ma è una trovata che può essere impiegata tatticamente, non può costituire una strategia. Altrimenti si scivola nel chiagne e fotte, scadiamo nella sceneggiata napoletana con umariuolo che sbraita “a chi… a me ?”…
E allora, generosamente, da qui in avanti vi chiameremo sempre B&B, intendendo però Brigitte & Bardot.
in punta di pennino il Vostro LdR