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Intervista a Massimiliano Robino

“Un raggio di luce nel regno delle tenebre”

Massimiliano Robino fondo The Illumination Theory 2014
Massimiliano Robino fondo The Illumination Theory 2014

Non a caso ho citato il titolo dell’articolo critico scritto da Dobroljiubov a proposito di un dramma di A. Ostrovskij,  “Tempesta”, in cui  l’artista definisce i suoi lavori proprio “un raggio di luce nel regno delle tenebre”. Massimiliano Robino ha rivolto il suo pensiero a un tema filosofico e allo stesso tempo mistico, quello della problematica della parte oscura dell’anima e ha trovato il proprio spunto creativo in Russia, dove vive dal 2013. La galleria Zeppelin, uno spazio concettuale nel cuore di Mosca, situato in Novinskiy boulevard, presenta la sua mostra personale  dal titolo “The illumination theory”, aperta  lo scorso 9 aprile e visibile al pubblico moscovita fino al 12 maggio. In galleria sono presenti 18 lavori, tra cui 12 esposti per la prima volta.

Leggendo una tua intervista mi ha particolarmente colpito una tua affermazione, cioè che in Russia il colore è tanto importante quanto la luce riflessa in esso e che la gente può addirittura arrivare a piangere dalla gioia. Spiegami cosa intendi dire e  quali colori ti hanno colpito di più in Russia?
Quello a cui ho assistito arrivando in Russia, e’ stato decisamente diverso da cio’ che pensavo. Il pubblico moscovita e’ alla ricerca di colori vivi, audaci e rassicuranti a differenza dei toni che lo circondano, ma allo stesso tempo ho notato una certa sensibilita’ da parte di molti che li riportano appunto a quelle tinte tenui e delicate che fanno perfettamente da cornice a quella che tanti amano definire “la malinconia russa”.

Massimiliano, descrivimi la tua visione del colore in generale e l’utilizzo che ne fai nella tua arte.
Mi  piace riscoprire il colore attrverso la luce e catturarne le diverse tonalita’. Alla base di ogni mio lavoro c’e’ il colore nero che per me e’ molto importante, aulico ed elevato; rappresenta anche un luogo di silenzio e di meditazione. Un po’ come chiudere gli occhi e rivedere il mondo e se stessi attrverso il ricordo e l’immaginazione. E’ il momento piu’ vero in cui la persona si incontra con la propria entita’. Il nero rappresenta la somma di tutti i colori, ma anche mi riporta al significato del nostro presente che si trova nella parte piu’ oscura e nera degli ultimi 50 anni.

In quali colori tu ti riconosci di più?
Per quel che riguarda i colori, le mie preferenze vanno sui turchesi, il rosso e il giallo in tutta la loro gamma. Ma un altro elemento a cui attribuisco la stessa importanza del colore, è  la scelta della geometria che sto utilizzando negli ultimi lavori.

Per me la vita è un po’ come una spirale ascendente, simile al DNA, che rappresenta i cerchi della crescita dell’animo. Tu dove trovi questa energia per creare? Quali sono le tecniche che utilizzi?
L’approccio e’ abbastanza contestuale: tutto dipende dalla giornata, da cio’ che mi circonda e accade, ogni condizionamento naturale si trasforma in elemento fondamentale della mia creazione che sembra nascere dal nulla. Non faccio mai abbozzi, prediligo l’improvvisazione. Sono passato da opere in cui il movimento e il colore governavano l’intera tela sino alla circoscrizione dell’animo dell’opera all’interno di forme, quali l’ovale in primis e il cerchio soltanto ultimamente, ma non escludo un ritorno all’ovale che per me racchiude l’animo della ri-nascita. Se hai avuto modo di osservare attentamente i lavori, nella loro scelta non solo del colore ma anche dei materiali, avrai notato che ho quasi sempre utilizzato la termofusione di colla nera su fondi neri, mettendo cosi in risalto le forme e le campiture che ne fuoriescono attraverso la stratificazione e la plasticita’. All’interno delle opere, intervengo con colori ad olio per riscoprire il mio tema della luce. Nella mia tecnica utilizzo principalmente dei grossi pennelli che mi danno la possibilita’ di intensificare l’effetto attraverso un metodo di applicazione a tamponamento e andando a distribuire il colore  su diversi livelli in maniera prospettica.

Io generalmente uso due tonalita’ differenti, una piu chiara e vivace rispetto all’altra. I due colori devono differenziarsi molto l’uno dall’altro ma allo stesso tempo devono coesistere armonicamente. Seguo principalmente l’instinto emotivo in questa fase senza crearmi limiti di nessun genere ed il risultato lo si puo’ vedere nei miei lavori.

Nel Medioevo, i pittori solevano spesso rappresentare  soggetti religiosi. Come mai hai scelto di lavorare su supporti a forma di di croce?
Ti riferisci ai miei lavori del 2009-2011 che si chiamano “Concetto Cosmico”. In realta’ non sono legati all’aspetto religioso, piuttosto e’ stata una fase in cui ho approfondito l’aspetto simbolico, e’ stato molto interessante lavorare su una geometria quale la croce e sui canoni delle misure auree. Vivere quella fase creativa  per me e’ stata molto importante,  anche se questo periodo non e’ stato compreso totalmente allora, noto invece che c’e’ adesso una domanda maggiore su questi lavori e saranno presto esposti di nuovo ma in Italia, luogo in cui si trovano.

Tre anni fa partecipai alla 54° Biennale di Venezia, dove esposi le installazioni e quadri di questo periodo nei padiglioni di Milano e Torino e successivamente in una mia personale a Palermo.

Concetto Cosmico II 78x102, 2010
Concetto Cosmico II 78×102, 2010

Nei tuoi lavori noto un forte simbolismo. Qual e’ il metodo di comprensione e di lettura dei significati che sono racchiusi nei tuoi lavori?
Capita spesso che le opere semplici a primo sguardo si rivelino poi quelle piu’ complesse e articolate. Parlando onestamente, alla mostra in galleria Zeppelin non ho affrontato il problema di non-comprensione del pubblico. Diciamo che c’e’ stata una netta divisione delle opinioni: qualcuno era affascinato dalla prima parte della mostra, quella monocromatica e priva di forme geometriche, alcuni invece trovavano la seconda parte molto piu’ intressante. Ma nonostante tutto, il pubblico e’ riuscito in qualche modo a dare un proprio significato ad ogni singolo lavoro, forse perche’ non e’ cosi difficile trovare i significati nelle immagini dal carattere universale. Per questo le persone hanno percepito il messaggio racchiuso in ogni opera.

Mi piace sottolineare che i quadri della prima fase rappresentano la distruzione di quello che ho definito “La fine del vecchio ordine”, non sono altro che una chiara e netta denuncia di cio’ che sta accadendo. Bisogna uscirne attraverso un nuovo livello spaziale, culturale e spirituale.

Dove pensi che la tua arte sia piu’ compresa, in Italia o in Russia?
Diciamo che l’Italia e’ preparata maggiormente all’arte contemporanea. Il gusto russo e’ molto tradizionalista. Io non so se questo fatto sia legato ai miei lavori o sia uno dei primi segnali rivolti ad un cambiamento, ma nel mio caso ho visto che la gente si e’ aperta e non ho ricevuto alcuna critica sconfortante. Credo che sia un problema legato piu’ all’arte stessa per come io la vedo: l’arte contemporanea russa non si apre al grande pubblico e non cerca neanche di farlo. Io vedo che rispetto agli europei, gli artisti contemporanei russi hanno spesso un modo di lavorare legato alla propaganda sociale associata ad una estetica primitiva e grafica, ma non posso dire che questo a me non piaccia. Io li rispetto per il loro coraggio. Credo che sia questo il motivo per cui gli artisti contemporanei russi non hanno conquistato il gusto del loro pubblico borghese.  Questo e’ anche uno dei motivi per cui non si sia sviluppato un vero e proprio mercato all’interno della nazione. Evidentemente noi italiani abbiamo passato questa tappa fondamentale gia da tempo e oggi ci ritroviamo piu’ avantaggiati. Comunque assisteremo presto a dei cambiamenti anche qui in Russia.

Spiegami la tua “Teoria dell’Illuminazione”, il tema della tua mostra personale in galleria Zeppelin a Mosca
La “teoria dell’Illuminazione” non e’ altro che la scoperta di quel raggio di luce che ci riportera’ verso una realta’ piu comprensibile, vera e naturale. Oggi mi sembra che il mondo stia vivendo le proprie emozioni in un modo virtuale che mi ricordano il programma Matrix. Ed e’ proprio in questa realta’ programmata che si e’ venuta a creare una forte dipendenza del sistema e da cui ci dovremmo distaccare. Ci sono tanti problemi nella societa’ contemporanea, io ho molti esempi tra amici e conoscenti, imprenditori, studenti, artisti ecc ecc che non hanno saputo affrontare lo stress psicologico e sociale ed essendo molto giovani e non avendo trovato valide alternative allo scenario che gli veniva proposto, si sono suicidati. Questo per me e’ indice che la societa’ e’ malata.

In cosa bisogna credere oggi: nella ricostruzione del nostro futuro e cercare la luce. Mi dispiace vedere le persone che non sappiano perche siano venute al mondo e per quale ragione loro vivano. Per loro la cosa piu’ importante e’ non avere problemi e vivere nel miglior comfort e al piu’ lungo possibile. Ma in fin dei conti questo non e’ importante. Bisogna avere un ruolo ben preciso in questa societa’, e’ fondamentale che il nostro percorso di vita abbia lasciato una traccia e questo e’ necessario per garantire alle generazioni avvenire  delle solide basi su cui costruire un nuovo futuro.

 

The final Countdown II 100x150, 2013
The final Countdown II 100×150, 2013

Vorrei concludere l’intervista  con una citazione tratta dal libro di Bulgakov:

“Ebbene, ora lei puo’ finire il suo romanzo con una sola frase!

Il Maestro sembrava che gia’ aspettasse queste parole, mentre stava immobile e guardava il procuratore seduto. Egli atteggio’ le mani a portavoce e grido’ in modo che l’eco rimbalzo’ nei monti deserti e brulli:
-Sei libero! Sei libero! Egli ti aspetta!
Le montagne trasformarono la voce del maestro in un tuono, e questo tuono le distrusse. Le maledette mura rocciose caddero. Resto’ soltanto il ripiano con la scranna di pietra. Sul nero abbisso, nel quale erano finite le mura, s’accese una citta’ immensa, con gli idoli lucenti che regnavano su essa, al di sopra di un giardino rigogliosamente cresciuto nel corso di molte migliaia di lune. Fino al limitare di questo giardino si protese la strada illuminata dalla luna tanto attesa dal procuratore (ndr Ponzio Pilato), e per primo lungo di essa si getto’ a correre il cane dalle orecchie aguzze. L’uomo col mantello bianco foderato di un rosso sanguigno si alzo’ dalla scranna e grido’ qualcosa con voce rauca, esausta. Non si poteva capire se stesse piangendo o ridendo e che cosa gridasse. Si vedeva soltanto che dietro al suo fedele guardiano lungo la strada illuminata dalla luna, correva al precipizio anche lui”.

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