«Nello Stato Fascista l’arte viene ad avere una funzione sociale: una funzione educatrice. Essa deve tradurre l’etica del nostro tempo. Deve dare unità di stile e grandezza di linee al vivere comune. L’arte così tornerà a essere quello che fu nei suoi periodi più alti e in seno alle più alte civiltà: un perfetto strumento di governo spirituale.»
Sironi, Scritti editi e inediti
Un obiettivo: educare. Il mezzo più efficace? L’arte, ovviamente.
Gli anni del Regime sono segnati dalla smania febbrile di trasformare e veicolare, nelle gesta e negli animi dei cittadini italiani, il nuovo costume di vita “fascista”. Italiano nuovo per l’Italia nuova.
La politica ideologica prevedeva di dover «a grado a grado accogliere in sé effettivamente e non solo nominalmente, nella storia e nello stato civile, tutti gli italiani, e tutti educarli, tutti stringerli nella nuova fede». Così si esprimeva Giovanni Gentile, principale filosofo e apologeta del nuovo Stato, delucidando chiaramente il compito integralista della strategia fascista: formare le coscienze dei singoli per realizzare la tanto agognata unità morale del popolo italiano.
Mussolini fece appello agli artisti italiani affinché si impegnassero nello sforzo comune di creare un nuovo stile, una nuova “arte fascista”. Fra coloro che si dedicarono anima e corpo a questo progetto, il caso più emblematico è sicuramente quello di Mario Sironi (1885-1961). Personalmente legato alla figura del Duce, mise mano ad una vastissima quantità di opere (affreschi, vignette, dipinti), tra le più rappresentative dell’epopea fascista.
Trasportato da una fede tragicamente coinvolta, aderì saldamente al fascismo per tutta la sua durata, tanto da arrivare ad appoggiare l’estrema esperienza della Repubblica sociale di Salò.
«Per Sironi, il fascismo era la manifestazione aurorale di una nuova epoca di grandezza italiana.»
E. Gentile, Il culto del littorio
Il pittore sardo credeva che, con il fascismo, l’arte italiana avesse l’occasione di scoprire un ulteriore momento, probabilmente il più alto, della sua immane grandezza: culla di opere senza pari, a partire dall’epoca classica fino ad arrivare al Rinascimento, poteva ora definitivamente dare luce all’universo simbolico della nuova Era, culmine di una storia gloriosa.
Il fine pedagogico era quello di diffondere fra le masse il sentimento di unità e di coesione, esasperatamente ricercato ed espresso dalla campagna propagandistica mussoliniana. Gli artisti che diedero il loro contributo alla causa comune produssero testimonianze artistiche emblematiche, tutte volte a esaltare e a celebrare l’instaurazione del Littorio quale emblema del Regime, e la figura del Duce, suo profeta e suo messia.
Desiderio di immortalità e scacco del divenire: ecco i duellanti al centro della battaglia ideologica del fascismo.
Il mito del “Costruire” ricoprì un ruolo centrale all’interno della cultura italiana tra le due guerre: a livello simbolico, l’attenzione venne completamente rivolta alle dimensioni della “potenza” e della“resistenza”, rappresentative della forza e del carattere della Nuova Italia. In questo modo, la fragilità venne esclusa dal campo della contesa, non potendo più opporsi alla temerarietà di sfidare la precarietà caotica del divenire.
Le imprese monumentalistiche a cui misero mano gli architetti del Regime vennero pensate e realizzate nel tentativo trasfigurare nell’eternità il progetto cui Mussolini aveva dato inizio. «Durare!» era il comandamento. Si fondò così una volontà decisa imporsi alla costante rivalità del mutamento, dello sgretolamento continuo cui l’incessante fluire del tempo necessariamente sottopone.
«Laddove le folle stimavano il duce onnipossente, la fede collettiva crollò, non appena un avvenimento naturale qualsiasi smentì la supposta onnipotenza.»
R. Michels, Corso di sociologia politica
Come sostiene il grande storico Emilio Gentile, è evidente che il Nume protettore della patria «nella specie di sconfitte militari, bombardamenti aerei, fame e morte, era destinato ad essere detronizzato e dissacrato dai suoi credenti con la stessa passione con la quale era stato adorato» e con esso la stessa esperienza artistica del fascismo.
Fallì il tentativo, di cui però non si può misconoscere la fedeltà ad un progetto, di riordinare ciò che per essenza non vuole essere riordinato sotto i canoni di una razionalità rigida e totalizzante. Che sia il Tempo, che sia l’Arte, che siano semplicemente gli altri nella loro diversità, ecco che contro di essi la forza, violenta e impositiva, non può che mostrare tutta la sua debolezza.