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Il 2016 dell’arte: piccolo viaggio nell’ipocrisia della crescita a tutti i costi

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Jan Fabre

Dati alla mano, il 2016 dei Musei italiani è stato un successo secondo quanto espresso dall’Ufficio Stampa del Ministero dei Beni Culturali. Ma sempre dati alla mano, e una banale calcolatrice, si scopre che in fondo non è proprio così. Basta fare un po’ di sottrazioni.

Guardando gli ingressi del 2016, infatti, si scopre che rispetto a quelli del 2015 i visitatori in più sono 1.158.207. Risultato positivo, direte voi: sicuramente. Ma se guardiamo gli ultimi quattro anni, le cose vanno un po’ diversamente: nel 2015 infatti i visitatori in più rispetto all’anno precedente erano ben 2.543.603, vale a dire più del doppio rispetto a quelli di quest’anno. Certo, il 2015 è stato l’anno dell’expo, ma nel 2014 la situazione non era molto diversa: rispetto al 2013 i visitatori in più erano 2.320.176 (esattamente il doppio di quelli di quest’anno).

Qualcuno potrà obiettare che non è così, che fino a quando c’è crescita il dato è positivo, ma questa obiezione non l’ho mai sentita quando tutti commentavano che l’Economia Cinese aveva smesso di crescere perché il PIL cresceva a meno del 10%.

E dunque diciamolo: siamo evidentemente in calo, e questo è piuttosto strano, considerando quanta comunicazione ci sia stata durante questi ultimi anni, così come tutte le attività attraverso le quali si è cercato di invogliare le persone a visitare i musei italiani.

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Le famose #domenichealmuseo hanno portato nei musei 3.129.213 persone. E cosa vuol dire? Vuol dire che senza le suddette promozioni, i visitatori del 2016 rispetto al 2015 sarebbero stati in negativo. In altri settori, questo si chiamerebbe “aiuto di stato” e potrebbe essere passibile di indagini per alterazione della concorrenza. Pur non essendo la cultura un settore atipico però, nessuno ci vieta di usare gli strumenti tipici dei mercati in senso stretto per poterne comprendere gli andamenti. Perché fare una cosa del genere? In primo luogo perché così iniziamo a guardare le cose come stanno realmente, e in secondo luogo perché questo ci permette di mettere a confronto l’anno dei musei con quello delle mostre.

Sul versante delle esposizioni, particolare fervore ha suscitato Floating Piers di Christo sul Lago d’Iseo, che ha stracciato (per numero di visitatori e per copertura mediatica) qualunque altra esibizione: 1.500.000 visitatori, mostrando che anche l’arte contemporanea può avere un proprio pubblico nel nostro Paese. Nota per il Ministero, il successo di Christo è uno spunto da non sottovalutare, soprattutto se (come spesso si sente ripetere) l’obiettivo delle misure culturali messe in atto in questi anni hanno l’obiettivo di trascinare di più il pubblico giovane.

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Floating Piers di Christo

Perché un ruolo importantissimo dell’arte (che spesso si tace per paura di banalità) è quello di reinterpretare il mondo in cui si vive, e pur essendo (ahinoi) ancora attualissime e senza tempo le riflessioni degli artisti più famosi dell’Ottocento e del Novecento, potrebbe essere utile avvicinare i giovani a un’arte contemporanea, che con essi condivida sia “il linguaggio” sia “il tempo”.

Sicuramente il 2016 delle mostre ha mostrato una direttrice di intervento, mettendo sul podio 3 espressioni artistiche contemporanee (Christo, Biennale di Architettura e Jan Fabre), che insieme hanno totalizzato più di 2 milioni di visitatori. Ma c’è di più: guardando alla Top-Ten stilata da ANSA per le mostre 2016, i dieci appuntamenti più visitati hanno attirato 3.338.602 di individui, vale a dire più di quanto abbiano fatto le domeniche al museo!

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Biennale di Architettura 2016

Allora, per piacere, un po’ di onestà sui risultati della cultura. La questione culturale in Italia va ancora trattata con attenzione, senza troppi slogan e con serietà. Solo che chi lo dice è accusato di disfattismo o di presunzione. Però mi chiedo: come giudichereste un malato di appendicite che fa finta di niente?

 

<2016. TUTTI I NUMERI DEI #MUSEITALIANI>

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