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L’ARTE ITALIANA TRA POLITICA E WEB 2.0

Due questioni hanno tenuto banco da noi in questi giorni. La prima riguarda le polemiche sorte intorno al “Premio Cairo”. Inutile spiegare nel dettaglio cos’è accaduto. La mia redazione ha seguito gli eventi con un accanimento quasi maniacale. Tutto sommato credo che la “vera” notizia non consista nelle ipotetiche manipolazioni flessuosamente creative del regolamento, che hanno tentato di premiare un’opera ben poco inedita (come le norme del Premio prevedono). No, io credo che dietro tale estensione ai premi d’arte della finanza creativa resti sempre lo stesso orizzonte tematico. Quello di un’epoca come la nostra ormai in decomposizione sul fronte etico. La “vera” notizia consiste casomai nel fatto che la Giuria del premio è stata costretta ad annullare il proprio verdetto a causa dei rumors arrivati da quattro persone che si sono inventate un gruppo su Facebook. Moltiplicatesi nel giro di pochi giorni, sino a sfiorare il migliaio. Sono questi “neo-garibaldini dell’arte” ad attirare la nostra attenzione. Qualche nome importante, proprio della Giuria, la sera stessa della premiazione aveva risposto ad alcuni giornalisti -che gli chiedevano lumi sul regolamento deflesso alla Migliora- che soltanto trattavasi di un semplice cavillo giuridico. E comunque -usando una calcistica metafora- dichiaravano che il calcio di rigore si tira solo dopo che l’arbitro ha fischiato. Come dire: se persino “calciopoli” (con i suoi colpi di tosse durante l’estrazione delle palline per designare gli arbitraggi) non è arrivato a nulla dove mai volete che arrivi “artopoli”? Eh beh, nessuno aveva fatto i conti con il web. Il gruppo FB “Il premio Cairo 2009 va annullato” fondato e amministrato da “Davide W., Vincenzo, Gianluca, Alessandro e Angela” non solo ha creato un casino mediatico del tutto inedito. Ma è pure riuscito a convincere l’intera Giuria del Premio a riunirsi per emettere molto più di un fischio. Una vera e proprio sirena, aggiungerei d’allarme. I tempi sono definitivamente cambiati, almeno sotto questo aspetto. Le riviste d’arte e cultura nel nostro Paese contano su un numero stabile di circa 20-30 mila lettori. Impossibile non fare i conti con i mille contestatori, se è vero che (come insegnano i manuali di marketing) gli iscritti o i feed-back reali a una causa corrispondono circa al 5-7% di coloro che la condividono. Come dire che dietro i mille di FB ci sono ancora 15 mila persone che o la pensano nella stessa maniera o comunque sono orientati a condividere in parte gli obiettivi. Che fare allora? Rischiare di minare il consenso dei lettori o mettersi contro i potentati economici di alcune gallerie che poi concorrono a finanziare con la pubblicità le testate? Non è una questione di poco conto. Tutt’altro. Ben altra cosa accade con le testate web, compreso la nostra. E’ vero che anche loro si mantengono con la pubblicità. Ma è altrettanto vero che i costi di produzione sono incommensurabilmente minori. Di fronte a un eventuale calo drastico della pubblicità esse possono tranquillamente ridimensionarsi, posizionandosi in attesa e continuando ad esistere. Bastano quattro computer, una linea adsl, tre persone e una rete di contatti e collaboratori. Dunque il principio economico che regola qualsiasi attività consente senza alcun dubbio al Web una maggiore libertà di espressione, un’adesione intellettualmente più onesta a principi autoregolamentativi. Insomma un minor tasso di condizionamento. Certo, queste grandi opportunità hanno come contraltare una possibile saturazione verso il basso dei mezzi di comunicazione. Chiunque o quasi può inventarsene uno. La professionalità e la deontologia sono o meglio possono diventare degli optional. Ecco perché ho un secondo motivo per complimentarmi con i “garibaldini dell’arte italiana”. Il gruppo FB citato non solo ha dimostrato di saper crescere ma lo ha sempre fatto in maniera composta, corretta e senz’alcuna sbavatura sul fronte della serietà e della correttezza. Ha posto un problema di principio e a quello si è continuamente e solo rivolto. Sfrondando le polemiche accessorie e con esse il pericolo di provocazioni in grado di minarne l’autorevolezza. E’ stato insomma un vero e proprio esempio di testata creata dal basso. Ma gestita dai suoi stessi fondatori in modo illuminato e illuminante. 10, 100, 1000 di questi esempi. Questa è la strada maestra del nuovo liberismo. Accessibile ma ben gestito. Democratico ma controllato. Così come, appunto, dovrebbero essere i premi.

La seconda questione è apparentemente più complessa. Ma in realtà più semplice. E volgarmente ridicola. Anche della sedicesima edizione di “Artissima” abbiamo parlato ampiamente sulle pagine di ArsLife. Il titolo che meglio è riuscito a sintetizzarla ha una nobile origine shakespeariana: “Molto rumore per nulla”. In sintesi il curatore Andrea Bellini è riuscito a trasformare una fiera in una grande kermesse piena di eventi. Ricchissima di pubblico ma povera di compravendite. Ragion per cui molti galleristi se la son presa. E a ragione. Il punto consiste nel fatto che il centrosinistra -a differenza del centrodestra- per lo meno si occupa d’arte, direte voi. Soltanto che lo fa nel peggiore dei modi. Ossia costruendo i presupposti per la spettacolarizzazione della cultura. E’ incredibile! Possibile che nessuno di costoro abbia mai letto il breve saggio di Theodor Adorno “L’industria culturale” (pubblicato in Italia da Einaudi se ricordo bene in un volume titolato “Dialettica dell’Illuminismo”)? Per ovvie ragioni di consenso e con pubblico denaro praticamente si gestisce e organizza l’arte come una sorta di viaggio-premio. Tutti in fila. Tutti sudati. Ma tutti presenti. E pure con la possibilità del gadget. Visto che l’unico stand che ha stravenduto è stato quello stile book-shoop Lingottiano. Con multipli tristissimi offerti anche a 5 euro. Come fossimo in un qualsiasi mass-market. Mi vergogno di questa sinistra. A cui sono appartenuto e storicamente appartengo. Capace soltanto di vendere cianfrusaglie, massificazione di abitudini, mercificare il tempo libero e spendere oltre tutto altri soldi pubblici (in aggiunta a quelli utilizzati per “organizzare” la provinciale kermesse) per acquistare qua e là opere. Solleticando il culo di qualche gallerista per lo più straniero. Giusto per oliarselo in vista della next edition. Vergogna!! Che assessori, curator-imbonitori e tutti quanti si autocondannino a leggere a voce alta 30 volte al giorno il grande Oscar Wilde, il quale già allora agli imbecilli socialisteggianti e corrotti del suo tempo scriveva a chiare lettere: “NON E’ L’ARTE CHE DEVE FARSI POPOLARE. E’ IL POPOLO CHE DEVE FARSI ARTISTICO!!”. Di questo passo, insieme alla democratizzazione controllata e ben gestita del web un’altra sola cosa è certa. La vera arte e i suoi veri cultori hanno un destino segnato. Separarsi dal mucchio di furbetti e ignoranti. Isolarsi. Viva l’aristocrazia culturale! Solo così può rinascere una intellighenzia capace d’una rivoluzione. We’re waiting.

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