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IL PADIGLIONE ITALIA, ANCORA. E POI BASTA

Andrò contro corrente, ma a me il Padiglione sgarbiano non dispiace. Lo dico prima dell’inaugurazione ufficiale della Biennale, con la riserva d’esser poi smentito dai fatti.  Ma, anche se mal gestita, l’idea di fondo è buona. Come ormai saprete tutti, è stato chiesto a duecento personalità della cultura di indicare altrettanti nomi di artisti, ritenuti i più interessanti fra coloro che abbiano operato fra il 2001 e il 2011. E, in occasione del centocinquantesimo dell’Unità d’Italia, il curatore del Padiglione Italia ha voluto estendere la mappa dell’arte contemporanea italica attraverso la realizzazione di un padiglione “diffuso” con esposizioni “distribuite”:  i cosiddetti padiglioni regionali, con più di mille fra pittori, scultori, fotografi e video artisti per ogni Regione, anch’essi scelti da un’apposita commissione di studio.

Ora, sulla composizione dei magnifici duecento intellettuali nutro alcune perplessità. Perchè, scorrendo l’elenco degli elementi di questo gruppo, leggo i nomi di Vladimir Luxuria, Ernesto Galli Della Loggia, Tullio De Mauro, Giorgio Forattini, Francesco Merlo, Mogol, Fabio  Fazio, Morgan, Lidia Ravera, Corrado Augias, Barbara Alberti, Francesco Alberoni: tutti noti frequentatori di studi d’artista e di mostre in musei e gallerie private, I suppose.

A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca. Ergo, non riesco a non credere che fra le duecento personalità della cultura compaia anche chi ha candidato l’artista amico suo del piano di sotto. Non vorrei azionare il ventilatore che sparge gli schizzi di fango a raffica, ma il sospetto che nel novero dei votanti e dei votati  figurino – anche – gli amici e gli amici degli amici è difficile da cacciar via. Eppure sono certo che, foss’anche così, si tratterebbe d’eccezioni. “Danni collaterali”, diciamo.

D’altro canto non posso non approvare l’idea di far compiere un passo indietro agli operatori di settore. Persino il curatore stesso del Padiglione Italia l’ha fatto. Una scelta coraggiosa, fondata sul presupposto che l’integrazione di differenti visioni del mondo, lontane non solo dal pensiero più o meno dominante di critici/curatori di mestiere, ma anche distinte e distanti l’una dall’altra, non posssano che arricchire il progetto espositivo nella sua globalità . Una scelta  che tuttavia può prestare il fianco alle obiezioni più feroci – e forse anche le più giuste.

Li sento, gli strali dei puristi che lamentano il carattere nazional popolare di questo Padiglione de’ noantri. In effetti, come non dar loro ragione? Già la dichiarazione di non voler seguire “le tendenze delle gallerie” (cito dal sito ufficiale del Padiglione Italia della Biennale di Venezia) non promette nulla di buono. Non perchè i programmi delle gallerie costituiscano dogma di fede, ma fino a prova contraria sono proprio le gallerie private a sostenere il sistema dell’arte. E non voler seguire “le tendenze delle gallerie”  significa aprire il varco a nani e ballerine di questo piccolo mondo antico che è l’arte contemporanea, fatto – anche – di artisti rancorosi e mediocri. Se poi per principio si escludono dai comitati selezionatori i critici e i curatori, il rischio di ordinare un Padiglione alla vucciria è pressante. Del resto, per quale motivo il compito di ristabilire il nesso fra letteratura, pensiero del mondo e arti visive non potrebbe esser egregiamente svolto anche da un Achille Bonito Oliva qualsiasi? La cultura non è cosa loro!, per rifare il verso al titolo scelto da Vittorio Sgarbi per il Padiglione Italia.

In effetti, questa dei duecento intellettuali potrebbe sembrare la rivalsa di chi nemmeno ci ha provato, a curare una mostra, avendo fatto ben altro nella vita.  Ma il comitato preposto alla realizzazione del Padiglione Italia è, a parte qualche presenza quantomeno bizzarra, di tutto rispetto: Marc Fumaroli,  Alberto Arbasino, Claudio Magris, Giuseppe Tornatore…Il comitato scientifico del Padiglione Italia è il loro pensiero. E allora, come non dar ragione anche a Sgarbi, quando stigmatizza il mondo chiuso dell’arte contemporanea e il rapporto curatore/artista come una relazione medico/paziente? L’arte non è cosa nostra, dunque! Quanto ai curatori, imparino a curare prima se stessi.

Conosco almeno venti artisti che non avrebbero sfigurato fra i padiglioni regionali. E almeno tre o quattro degni del Padiglione Italia. Ma tant’è, Morgan e Vladimir Luxuria devono saperla lunga, visto chi hanno portato in Biennale.

Ma, insomma, è pur vero che su duecento artisti mica tutti ti devono piacere.

Senza alcun dubbio l’organizzazione dell’evento è stata pessima: non pochi artisti invitati al Padiglione Italia hanno, chi cortesemente chi sdegnosamente, rifiutato l’offerta. In effetti, ricevere via email non si sa bene da chi l’invito a partecipare a una mostra un mese prima dell’inaugurazione e senza conoscere lo spazio espositivo nè le modalità di ordinamento dei propri lavori non depone a favore della professionalità dell’offerente. Capisco le ragioni di coloro che hanno opposto il gran rifiuto, sia quelle  logistiche (ma poi, diciamodelo, chi se ne frega dell’organizzazione: realizzo l’opera e poi ci penserà chi di dovere a prelevarla dal mio studio), che quelle più smaccatamente ideologiche (v’è chi ha detto niet  per non esser rappresentato dal governo di Silvio Berlusconi: lo capisco, anche se non condivido la sua scelta).

Capisco meno, molto meno, coloro i quali, anzichè tener per sè questa decisione, l’hanno sbandierata attraverso l’etere facendo i piangina e informando l’universo mondo della loro scelta: “Io non ci sto!”.

Chi ha scelto invece di starci, vuoi vedere che alla fine sarà proprio lui a sputtanarsi?

E’ un gran dilemma. Forse anch’io avrei rifiutato. Solo, io non sono un artista.  E, valutando cinicamente – il mondo è brutto  – i pro e i contro dello stato di cose, non avrei fatto troppo il cagacazzi. E’ vero, se ammazzi qualcuno fa curriculum. Ma anche una partecipazione al Padiglione Italia della Biennale veneziana schifo schifo non fa. Tanto, mica tutti lo devono sapere che il tuo padiglione stava a Matera.

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