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Intervista a Pietro Geranzani

Nato a Londra nel 1964, Pietro Geranzani si è laureato presso l’Accademia Ligustica di Belle Arti a Genova. Vive a Milano da qualche anno e proprio quest’anno ha esposto per la prima volta un suo quadro nel Padiglione Italia curato da Vittorio Sgarbi. Nonostante tutto le polemiche Geranzani è fiero di aver potuto esporre una sua opera alla Biennale di Venezia – e come dargli torto. Pittore dall’animo inquieto, in questa intervista Pietro ci ha raccontato molto di sè e della sua arte.

Tra le varie esposizioni di Geranzani citiamo le più recenti tra cui: “Terzo Rinascimento”, Palazzo Ducale, Urbino nel 2010;” Ombre Ammonitrici”, Palazzo Ducale, Genova nel 2009 e “ArteGenova”, Genova; “KunstArt”, Bolzano; “Menschenbilder im Stadthaus Zürich”, Stadthaus, Zurigo (CH) nel 2008; “Quadri d’Interni”, Galleria Joyce & Co. Genova nel 2007; “Il Male – Esercizi di Pittura Crudele”, Palazzina di Caccia di Stupinigi, Torino nel 2005.

Pietro, per prima cosa ti volevo chiedere come mai sei nato a Londra e se è stata una città che ha influenzato la tua arte?
Sono nato a Londra perché al seguito della mia famiglia che si spostava per le esigenze del lavoro di mio padre.

So che per un po’ hai vissuto anche in Germania prima di arrivare in Italia. Come ti sei trovato a vivere lì e come ci sei finito?
Mia madre è tedesca. E’ vero però che sono cresciuto sostanzialmente in Italia, ma anche in Germania e in Svizzera e potendomi ragionevolmente dire cittadino d’Europa abolirei volentieri le frontiere dell’ispirazione intesa geograficamente. Il mondo è multiforme. Sembra banale ricordarlo ma mai come adesso è importante sottolinearlo.

Ad un certo punto però hai deciso di venire a vivere in Italia, a Milano.  Come mai questa scelta? Credi che in Italia si dia la giusta importanza all’arte, alla cultura e che ci si prenda cura dei propri artisti?
Sono in Italia da più di trent’anni. Milano non è poi così male. In questo momento forse fa un po’ caldo. Andrei in montagna. Riguardo alla situazione dell’arte in Italia ti rimando ad un intervento di Alessandro Bergonzoni al quale non mi sento di fare postille. Mi sembra esauriente ed in linea con ciò che penso io. http://www.youtube.com/watch?v=h8hUxxkvLxY&feature=share

Quando e come è nata questa tua passione per l’arte?
Difficile rispondere. Non mi sono svegliato un mattino con il sacro fuoco dell’arte che erodeva il mio fragile corpo in balia dell’ispirazione violenta e appassionata. Mi pare una visione romantica  dell’artista che non corrisponde al mondo moderno. Anzi, per inteso non corrisponde nemmeno alla verità storica dell’artista romantico. Direi che l’artista, da intellettuale, segue un’idea di modernità molto più sottile ed elaborata, pensata come eredità critica del passato, remoto e recentissimo. In questo senso non posso certo risponderti che un giorno, semplicemente ho preso i pennelli in mano. Diciamo che le circostanze mi hanno portato ad essere un pittore. Ringrazio mio padre.


Come mai hai scelto proprio la pittura per esprimerti?
Una volta un giornalista ha chiesto ad Art Spiegelman, l’autore di Maus vincitore del premio Pulitzer, perché non provasse a scrivere un romanzo anziché continuare a disegnare i fumetti. Spiegelman ha fatto spallucce dicendo che quello era il modo che gli era più congegnale per esprimersi e che forse non sarebbe stato in grado di arrivare così nettamente ad un risultato che si potesse chiamare tale elaborando un racconto con uno strumento che non gli fosse proprio. Beh, io ti potrei rispondere la stessa cosa e magari aggiungere che l’atto del dipingere prevede un coinvolgimento fisico che altri mezzi di espressione per me non hanno. In due parole mi diverto e mi piace quello che faccio, mi piace incespicare nel territorio vasto della pittura e sporcarmi le mani. Un percorso a ritroso tra quegli strilli isterici nel cranio, quella straniante confusione che assilla il corpo, la forma di un passato ingombrante, una consunzione tranquilla con cui conversare. La pittura mi appartiene tutta, ho dinnanzi una liscia tela bianca e nulla si interpone. Ciò che plasmo è ciò che riesco a cogitare, ciò che non riesco è ciò che disegna la mia stoltezza e la mia atrofia. Spero che la soluzione si generi nel problema.


A cosa ti ispiri per dipingere le tue opere e che corrente pittorica ti rappresenta? Sbirciando in internet ho letto che qualcuno ti ha paragonato a Goya, ma io direi anche Francis Bacon, oppure mi sbaglio?
Siete entrambi molto lusinghieri. Sono due maestri imprescindibili dell’arte del mondo occidentale. Ma non sono soli. Sono talmente tante e varie le espressioni dell’arte, in tutti i sensi, che mi sembra limitativo per un artista circoscrivere la propria attenzione a due soli esempi. Io sono come i cani, mangio tutto, anche quello che trovo per terra, spesso senza nemmeno annusare. Poi arriva il quadro. Mi piace pensare di essere come un musicista con un campionatore che raccoglie suoni indistinti e li mescola per ottenere una musica nuova. Mi piace il valore evocativo dell’arte e non quello descrittivo. Mi piace persino la sua natura decorativa. Ecco, se devo essere sincero vorrei che i miei quadri fossero belli da vedere, che la pittura fosse permeata di una sensualità attraente ed ingannevole, torbida e duplice e che questa però riflettesse la natura più profonda di noi che guardiamo: essere nella condizione di leggere come osservatori di un dipinto un po’ di quello che quotidianamente celiamo a noi stessi. Io non sono lo psicologo di nessuno e nemmeno voglio farmi analizzare, semplicemente forse esorcizzo la parte di me che mi è ignota nella speranza di non dovermela trovare fra i piedi quando sarò tra i miraggi e le dissolvenze dei ricordi.

I tuoi quadri, anzi i corpi dei tuoi quadri, esprimono davvero tanto dolore e tormento? Come mai questa prospettiva così angosciante? E’ la tua visione della vita?
Cosa esprimano davvero i miei quadri dimmelo tu. Io li faccio, tu li guardi. Tu prima hai citato Francis Bacon, allora lo faccio anch’io: “…Si può essere ottimisti e disperati. La nostra natura di base può essere totalmente disperata, ma il nostro sistema nervoso di fibra ottimista: questo modo di essere non cambia la mia consapevolezza della caducità dell’esistenza. C’e l’ho sempre presente. penso che nei miei quadri si veda”. Ho bisogno di portare alle estreme conseguenze un senso di vuoto insostituibile, come il serpente ama il suo veleno, come il servo è grato al suo padrone.

Quest’anno, anche se tra tante polemiche, hai partecipato con un tuo quadro dal titolo “Ombra ammonitrice” del 2004/2006 alla 54. Biennale di Venezia. Sei stato scelto da Gianfranco Bruno, un esperto, scrittore e critico d’arte. Secondo te come mai ha scelto proprio te?
Chiedilo a lui! Credo che sappia quello che fa. Per me è un privilegio godere dell’attenzione di una persona a cui va tutta la mia stima. E’ ordinatore di mostre bellissime ed è stato precursore negli anni settanta di mostre tematiche curate con una sensibilità profonda e modernissima, come “La Ricerca dell’Identità” a Palazzo Reale qui a Milano o la grande retrospettiva di Munch nel 1984. Da lui ho imparato molto.

Sei stato contento di aver potuto esporre al Padiglione Italia nonostante i “danni” di Vittorio Sgarbi?
La Biennale di Venezia è una straordinaria occasione per un artista per esporre il proprio lavoro. Danni? A me non ha recato nessun danno. Prova a chiedere ad altri scontenti. La Biennale è un po’ come il festival di San Remo: un’occasione unica per sparare a zero sui partecipanti. Ovviamente tutti stonati, per poi non ricordarsi l’anno successivo chi ha vinto. Il Padiglione Italia quest’anno ingloba una quantità eccessiva di artisti e di opere ed appare confusionario. E’ un discorso complesso sul quale sono già state versate secchiate di inchiostro. Certo non è la mostra che pretende di essere, cioè quella che debella la figura del curatore, come Sgarbi avrebbe voluto farci intendere, a favore della democrazia e della pluralità del pensiero svincolato dalla dittatura del sistema dell’arte. E’ invece diventata “La Mostra” del curatore, magniloquente, disordinata e capricciosa. L’apporto del singolo artista é al suo servizio e si impantana in un minestrone irrisolto. Nel bene o nel male è la creatura di Sgarbi, ma è un gioco, niente di più. Ti ricordo comunque che quando gli artisti esposti erano solo due il popolo dell’arte si è interamente schierato contro la scelta minimalista. A me fa piacere esserci, lapalissiano forse, ma vero. Le polemiche sono il sale della comunicazione contemporanea ma le lascio agli addetti ai lavori. Io non faccio comunicazione, non sono un creativo e non ragiono secondo i criteri della pubblicità che cerca visibilità nella polemica. Sono un pittore e la pittura è una pratica lenta, molto lenta e a me questa lentezza piace.

Il senso della vita per Pietro Geranzani?
Sembra il titolo di un film di Monty Pyhton. Michael Palin alla fine arriva con una busta con scritto “non è niente di speciale” e questo mi fa riflettere e anche mi inquieta.

Che progetti hai in mente per il futuro?
Il 21 ottobre inauguro una mostra personale in una galleria veneziana e ora è in corso la mostra “Premio d’Arte Duchessa di Galliera, 2011-1956. Un percorso tra i linguaggi del contemporaneo in Liguria” al Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce a Genova che raccoglie i vincitori di cinquanta edizioni del premio. Poi vedremo.

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