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Intervista a Mimmo Di Marzio

Arte concettuale, puoi iniziare a preparare la tua Xenia, il tuo dono d’addio: il mondo dell’arte sta per superarti. Ha inaugurato l’8 novembre nelle sale della Rocchetta al Castello Sforzesco di Milano la mostra “Homo Faber, il ritorno del fare nell’arte contemporanea”. A cura di Mimmo Di Marzio e Nicoletta Castellaneta, l’esibizione segna e testimonia un cambiamento importante nel mondo dell’arte contemporanea: il ritorno dell’attenzione ai materiali e alla tecnica, a discapito dell’esaltazione delle idee e dei concetti. Oltre trenta artisti contemporanei, italiani e non (come Alighiero Boetti, Mario Ceroli, Luigi Ontani, Francesco Vezzoli e Nathalie Djurberg), espongono i propri lavori insieme alle opere già prsenti nel Castello, in una mostra che favorisce la commistione tra nuovo e antico oltre che di importanza per la critica dell’arte contemporanea. Abbiamo intervistato Mimmo Di Marzio, giornalista de il Giornale, critico, artista e curatore.

“Il ritorno del fare nell’arte contemporanea”. Un titolo provocatorio perché usi la parola “ritorno”: quindi nell’arte e nel “fare” c’è un prima, un dopo e un adesso che cerchi di definire con questa mostra?

Sì, vogliamo ripuntare l’attenzione anzitutto sull’unicità dell’opera d’arte. Unicità che già a partire dal saggio di Walter Benjamin “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” (1936) era stata messa in discussione. Da allora fino ad oggi nell’arte contemporanea si è perso il valore dell’esclusività dell’opera d’arte, da cui l’espressione spesso ripetuta “potevo farlo anch’io”. L’arte concettuale infatti si concentra sull’idea, sul senso da espimere più che sul lavoro sull’opera. Oggi, però, stiamo assistendo a un ritorno al manufatto, all’interazione diretta dell’artista con e sulla sua opera. C’è una sempre maggiore attenzione sulla materia. Siamo in una fase nuova dell’arte contemporanea: gli artisti di oggi partono dal confronto con la materia con cui lavorano.

Un ritorno al passato quindi?

No, assolutamente. Non bisogna ingannarsi: i linguaggi attraverso cui un artista entra in contatto diretto e reale con la sua opera per realizzarla sono svariati. Si va dalle tecniche omai assodate come pittura, scultura etc, fino all’uso della tecnologia e dei video.

La manualità e l’applicazione sull’opera diventano quindi dei criteri, e si prescinde dalla distinzione tra arte astratta e figurativa. Credi che a qualcuno, artista o critico, possa non piacere questo criterio di misura, troppo nuovo?

No, non credo perché comunque attraverso queste opere si vuole proporre un concetto di bellezza artistica. Che è sempre alla base del lavoro di un artista, astratto o figurativo che sia.

Parlami del “fare” arte. L’Homo Faber è anche, nell’accezione latina del termine, colui che si costruisce il proprio destino, che lavora instancabilmente ad un risultato, colui che è in grado di gestire la sua stessa sorte (“homo faber fortunae suae”). Avendo scelto artisti che intervengono, lavorano e agiscono a partire dalla materia per creare un’opera ed esprimere un significato, vorresti anche invitare ad una concretezza maggiore nel campo dell’arte contemporanea? Meno chiacchiere, meno castelli in aria, meno scandali e più concretezza?

Non solo, è anche un invito più o meno esplicto a tutti questi “giovani artisti” che oggi operano senza un minimo di consapevolezza e conoscenza della storia dell’arte, e pensano che basti proporre un concetto per creare un’opera. Quando poi, molto probabilmente, l’idea che vogliono sostenere con questo o quel lavoro è già stato detto da altri prima di loro. Dovrebbero concentrarsi maggiormente sulla “tekne”, ovvero l’essere esperti nella materia, acquisire anche una conoscenza scientifica, pratica.

Il fatto che gli artisti in mostra siano di diverse generzioni e di vari paesi di provenienza indicca che questa tendenza, di lavorare concretamente sull’opera d’arte, è un’esigenza di molti e non solo di un gruppo ristretto. Siamo figli della globalizzazione e quindi anche le nostre reazioni sono simili?

Al contrario, credo che il ritorno al Saper Fare sia un antidoto alla globalizzazione che cerca e porta alla qualità specifica di ciascuno.

Come è avvenuta la ricerca degli artisti, e ci sono opere realizzate ad hoc per la mostra?

Gli artisti sono stati scelti dopo una lunga ricerca (è da tre anni che lavoriamo a questa mostra). Non ci sono opere realizzate appositamente, ma site specific sì: si confondono, interagiscono perfettamente con l’ambiente. Basti pensare all’ “Elefantino del marchesino” di Ontani o ai vasi di Grayson Perry: s’inseriscono e confondono con l’ambiente e le opere circostanti.

Tu sei anche critico d’arte, giornalista e artista. Cosa significa per te fare il curatore?

E’ un mestiere che si sceglie e che si svolge con passione e abnegazione: conta il progetto che si vuole portare avanti e l’artista/gli artisti a cui si vuole organizzare una mostra.

SCHEDA TECNICA

“Homo Faber-Il ritorno del fare nell’arte contemporanea”

8 novembre 2012-6 gennaio 2013

Castello Sforzesco, Sale della Rocchetta: Museo di Arte Applicata e Museo degli Strumenti Musicali

A cura di Mimmo Di Marzio e Nicoletta Castellaneta

Orario: martedì-domenica ore 9-13 e 14-17.30. Chiuso lunedì.

Biglietto: intero 3 euro, ridotto 1.50 euro. Martedì-giovedì dalle 16.30 e venerdì dalle 14 ingresso gratuito

Info. www.milanocastello.it, 02-88463700
Visite guidate: www.operadartemilano.it, 02-45487400

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