Scure, materiche, contrastate, le immagini di Aniello Barone nascono da un vedere che sa inoltrarsi oltre la soglia
consapevole della percezione, per entrare in una dimensione avvertita più con il corpo e le emozioni che non osservata
con la vista. Lontano da una visione etnografica che ha la pretesa di spiegare e documentare in modo oggettivo le usanze degli altri, l’autore ci fa partecipi dello Yam Festival, antico rito del raccolto celebrato dagli Igbo nigeriani, e da lui fotografato in Campania. Tra la provincia di Napoli e quella di Caserta, infatti, è presente una nutrita comunità di questa etnia nigeriana, perseguitata in patria dai fondamentalisti islamici a causa delle loro fede: un cristianesimo di tipo evangelico che però non ha soffocato
l’antico sostrato animista.
Lontani dalla madrepatria, desiderosi di custodire la memoria della loro cultura e di preservare il legame con la terra d’origine, gli Igbo hanno infatti trovato nello Yam Festival un’occasione di valorizzazione identitaria e di socializzazione. Quasi scomparsa in Nigeria, ecco che tale celebrazione – sorta in origine come rito di ringraziamento agli dèi per il nuovo raccolto delle patate dolci (yam) – si è oggi trasformata, qui in Italia, in una festa intensa, dove ci si ritrova tutti assieme per rafforzare i legami identitari e invocare al tempo stesso la
protezione del mondo divino, nella speranza di ottenere un futuro migliore.
Coinvolto dalla forza emozionale di questo rituale, il racconto visivo di Aniello Barone
non ha niente di didascalico o illustrativo. Più che mostrare quanto accade, le sue immagini comunicano le energie ctonie, la forza vitale e ardente che dilaga nella folla festante, concentrata e in trance. Canti collettivi, rituali e momenti di silenzio si alternano creando un’atmosfera emotiva, forte e sofferta. Tutto avviene nel buio, come se proprio nell’oscurità gli Igbo potessero ritrovare il loro profondo rapporto con la memoria e con la potenza degli antenati lontani. Una tenebra forse inquietante ai nostri occhi, ma che per gli Igbo si fa segno
di un isolamento protettivo rispetto alla nuova società dove oggi sono venuti a vivere.
Gigliola Foschi, storica e critica della fotografia
Coordinate mostre
Sede Galleria San Fedele, Via U. Hoepli 3a/b, Milano
Orari e ingresso 16-19 dal martedì al sabato (al mattino su richiesta), chiuso i festivi
ingresso libero