Si è conclusa domenica 31 agosto, l’XI edizione del Festival della Mente di Sarzana (SP) che ha registrato anche quest’anno la presenza di circa 45.000 visitatori.
3 giorni di incontri, letture, spettacoli, workshop e laboratori, per un totale di 60 eventi, di cui 21 rivolti ai bambini, per parlare di creatività e di come nascono le idee.
Noi di ArtsLife abbiamo partecipato alla conferenza con il fotografo Gianni Berengo Gardin e l’editore Roberto Koch, intitolata “Scrivere con la macchina fotografica”.
Che la macchina fotografica è un grande strumento di scrittura, già lo sapevamo, ma il lavoro di Gianni Berengo Gardin ne dà un’ulteriore conferma. Il celebre fotografo è ciò che si può definire un vero scrittore d’inchiesta, interessato alla realtà del mondo e delle città, ai problemi della società, ma allo stesso tempo un grande romanziere e narratore, capace di immortalare la storia delle persone cogliendone il cuore.
Classe 1930, Gardin racconta di essersi avvicinato alla fotografia quasi per caso. O meglio per protesta. Roma era occupata dai nazisti che stavano obbligando i cittadini alla consegna delle armi e delle macchine fotografiche. E’ allora che il 14enne Gardin prese la macchina fotografica di sua madre e girò per Roma scattando le sue prime foto, sviluppate poi a distanza di anni quando le macchine sequestrate furono restituite ai proprietari. Un desiderio di ribellarsi che già rivelava gli intenti documentaristici che caratterizzeranno poi tutta la sua carriera.
Incalzato da Roberto Koch, Gardin prosegue spiegando i suoi esordi, che lo vedono inizialmente interessato agli aspetti artistici della fotografia, immortala numerosi tramonti sulla laguna veneziana – opere che oggi, rivela scherzando, riguardandole, trova bruttissime e banali. Fu grazie a numerosi cataloghi dei più grandi fotografi americani che finalmente capì cosa avrebbe pouto fare con la macchina fotografica: e così nascono i primi reportage e finalmente, dopo numerosi tentativi di pubblicazione, un libro dedicato a Venezia (Venise des Saisons). Ma non la solita Venezia, quella dei turisti, bensì la Venezia dei veneziani. I suoi scatti, accompagnati dai testi di Bassani e Soldati che non commentano le foto ma seguono un percorso parallelo, rendono visibile un racconto come mai era stato fatto prima di allora.
La sua indole indagatrice e attenta ai problemi sociali lo porta nei manicomi italiani. “Cose come la camicia di forza, o il legare i malati al letto, già allora (nel 1968) erano proibite, ma quotidianamente praticate nei manicomi italiani” – racconta. Le sue foto, dapprima apparse in un servizio per L’Espresso e poi pubblicate nel libro “Morire di classe“, sposavano la battaglia che Franco Basaglia stava conducendo per la chiusura di questi edifici: sono state la denuncia che ha fortemente contribuito alla stesura della legge 180, portando un miglioramento effettivo.
Si staglia l’animo di un fotografo impegnato, deciso a lasciar parlare le immagini della realtà per rendere note le situazioni. Ma la modalità del racconto non passa in secondo piano e anzi si impone in “Un paese vent’anni dopo“, catalogo realizzato grazie alla collaborazione con Cesare Zavattini. Visionato il lavoro che Zavattini stava realizzando con il fotografo newyorchese Paul Strand (1890-1976) sulla città di Luzzara, Gianni Berengo Gardin, espresse la sua opinione: trovava quelle foto liriche, poetiche, ma non realistiche di un paese italiano. Erano, al suo occhio, scatti di come un americano vede l’Italia. “A me il lirismo non interessa” – ribadisce oggi. Zavattini gli propose allora di fotografare Luzzara nuovamente, e a vent’anni di distanza nacque un lavoro che immortalava la città secondo un modo più documentario, un modo nuovo di fotografare un paese.
“Fotografai molti interni con la gente che vi abitava. Era una cosa che non usava. Otto dei personaggi che ripresi erano già stati fotografati da Strand e curiosamente notai che costoro, a vent’anni di distanza, senza aver mai visto il libro di Strand, riassunsero le stesse posizioni di allora. Capii che davanti all’obbiettivo siamo un po’ tutti imbarazzati e tendiamo a posizionarci sempre nello stesso modo”.
Le sue foto sono realtà. Spesso denunce, come per esempio l’ultima campagna contro il passaggio delle navi a Venezia, tutt’ora in corso e che ancora porta Gardin a fotografare la laguna. “Fotografo ancora con lo spirito, con la passione del dilettante, senza pensare che è un lavoro” – rivela.
Ma quale direzione sta prendendo oggi la fotografia? Gardin risponde secco: “Oggi la professione del fotografo non esiste più”. Tutta la comunicazione si sta spostando sull’immagine piuttosto che sul testo, vedi i più celebri social network, e quindi la fotografia è oggi più che mai un vero modo di scrittura che interessa molti giovani. Ma “tutti fotografano. E fotografano a caso. La fotografia ha delle regole precise che tutti ignorano. Oggi si fotografa col cellulare… e se il risultato non è dei migliori, tanto c’è Photoshop! – incalza Gardin – Il cellulare serve per telefonare! E Photoshop lo abolirei per legge: quella non è la realtà!”