Margaret Thatcher diceva che «essere potenti è come essere una signora. Se hai bisogno di dimostrarlo vuol dire che non lo sei». La Lady di ferro non poteva immaginarselo, ma trent’anni dopo le signore sembrano aver conquistato il mondo dell’arte e dei sindacati, proprio due tra i pianeti più distanti dalle sue idee della vita.
Secondo la sezione Statement di Art Basel, fra le 14 gallerie più importanti nei due emisferi, nove sono dirette da donne. Solo Gabrielle Giattino, direttrice di Bureau, a New York, sostiene che «l’ambiente dell’arte può ancora rappresentare una sfida ardua per le donne». Per la maggior parte dei suoi colleghi, invece, «le discriminazioni di genere sono quasi del tutto assenti nell’arte contemporanea emergente».
Alla mostra di Art Basel, le opere delle sei donne selezionate sono state tra quelle vendute prima e a prezzi più cari. I dati e i numeri ci dicono ormai che sono soggetti che contano. Il problema è, come diceva la Tatcher, se devono dimostrarlo o no.
Nei sindacati la storia è diversa. Il potere c’è. E’ il loro ruolo che è in discussione, la loro funzione, la loro comprensione della società. Non è solo in Italia che le donne sono salite ai vertici.
Valeria Fedeli, 60 anni, è segretario europeo dei tessili. Il Wall Street Journal ne parla bene. L’ha definita «una sindacalista pragmatica». L’attuale segretario generale della confederazione dei sindacati europei è un’altra donna, la francese Bernadette Ségal.
Da noi, due donne, Susanna Camusso e Anna Maria Furlan, rappresentano da sole 10 milioni di iscritti tra lavoratori e pensionati, alla testa delle due sigle più importanti del Paese, Cgil e Cisl.
Camusso è segretario generale della Cgil da quasi 4 anni, prima donna ad assurgere a quel ruolo, con il 79 virgola 1 per cento dei voti. Furlan lo è diventata da poco alla Cisl, grazie a un plebiscito, 98 per cento di consensi.
A leggere le loro storie, non sono molte diverse: grandi lavoratrici, molto serie – persino troppo -, dure e forti. Secondo l’astrologia, poi, la segretaria della Cgil è pure una donna fortunata: nata a Milano nei giorni del Leone, ha Giove e Venere in congiunzione con il suo segno zodiacale. Dicono che siano come timbri del destino. E d’altro canto, se vuol dire qualcosa, Giuseppe Di Vittorio, uno dei padri storici del sindacato, era anche lui del leone, come lei.
Non è una che vuole dimostrare niente. Non si trucca mai. L’unica volta che l’ha fatto è stato per i suoi 40 anni, come ha raccontato in un’intervista, «ma sono state le mie sorelle, più per gioco che per davvero». Ha cominciato a far sindacato da giovanissima, all’università, e a 22 anni era già dirigente della Fiom locale. Una donna dedita al lavoro. S’è sposata e separata due volte. Dal secondo marito, il giornalista Andrea Leone, ha avuto una figlia, Alice.
Anche Anna Maria Furlan ha cominciato a 22 anni, come delegata del Siulap, la categoria Cisl dei lavoratori postali. Dicono di lei che «ha sempre e solo amato la vita sindacale». Nel 2007 la Margherita ha cercato di convincerla a candidarsi per la Provincia di Genova. Ha detto di no: «Non mollo il sindacato, è la mia passione».
In casa Cisl, la definiscono «una persona seria e tranquilla, di buona volontà e equilibrio». E’ una fan di Papa Francesco. Poca simpatia per il web. Su twitter non raggiunge i mille follower, la Camusso ne ha 65mila. Ha la erre arrotata, grandi capacità oratorie. Taglio sbarazzino di capelli, sguardo penetrante, occhiali sempre colorati e di colori diversi, l’unica sua civetteria.
Prima della loro immagine, forse, ci sono le loro capacità. Più brave degli uomini per arrivare dove sono arrivate, in una società coniugata da sempre al maschile. Più determinate, anche più corrette, speriamo. L’unica cosa è il momento storico in cui tutto questo accade. I sindacati erano diventati forti nel cuore della rivoluzione industriale, in quel processo d’inurbamento che aveva cambiato tutto, non solo il modo di vivere, ma persino le giornate, che non erano più quelle tutte uguali e tutte immobili della civiltà contadina.
Il sorgere e il tramonto del sole avevano acquistato ritmi meccanici, una scansione del tempo frenetica, come quella delle macchine nelle catene di montaggio, la stessa ripetitiva velocità. Dentro alle caserme delle fabbriche, l’uomo nuovo arrivato dalle lentezze dei campi, da quei silenzi e da quell’ordine secolare regolato da gerarchie elementari, aveva un bisogno obbligato di qualcuno che organizzasse e difendesse il suo lavoro.
Ora tutto questo sta sparendo. Non è ancora sparito, ma sta cominciando. Se nella società industriale, le donne erano uscite di casa e avevano conquistato il lavoro, tutto quello che potrà succedere oggi, è vero, non l’abbiamo ancora capito, nei fruscii di un computer, in quel fluttuare senza sosta nel rapinoso mare del web.
La sensazione, però, è che è inutile difendere ciò che sta per morire. Bisognerebbe cercare di capire, studiare, rompere gli schemi, inventarsi nuovi sistemi di organizzazione.
La cosa strana è che le donne nell’arte stanno facendo questo, trasmigrando le opere dalla meccanicità degli ultimi futuristi alla rivoluzione dei colori più vicina al mondo che verrà. Sono signore che raccontano quello che siamo e quello che sono. Nel sindacato, forse, ci dicono quello che eravamo.
Alcune donne “che contano” nel mondo dell’arte europeo
(Fonte: Artnet, dove puoi trovare l’elenco completo)