La prima cosa da chiarire è che non è la religione la nemica dell’arte. Lo sono i suoi servi. Basta pensare non tanto a quello che è successo per la visita di Hassan Rohani a Roma, quando qualche troppo zelante funzionario ha pensato bene di coprire con pannelli bianchi le nudità delle statue capitoline per una forma di rispetto verso l’insigne ospite iraniano, quanto, molto più semplicemente, alla storia della nostra Chiesa, che dopo il Concilio di Trento voleva addirittura cancellare i capolavori di Michelangelo nella Cappella Sistina perché quei corpi esibiti anche nella loro sensualità avrebbero corrotto la morale cristiana. Il povero Daniele da Volterra, che era uno degli allievi prediletti del maestro, si assunse l’ingombrante onere di rivestire le donne e gli uomini con le famose braghe che gli valse per la Storia l’offensivo soprannome di Braghettone, riuscendo così a salvare, però, quelle opere meravigliose. In realtà, lui non fu l’unico a mettere le mutande ai santi e quella censura continuò anche nei secoli successivi.
Solo che Daniele Ricciarelli, come si chiamava all’anagrafe “il Braghettone”, ne divenne l’emblema. Per fortuna Michelangelo era già morto, il 18 febbraio del 1564. E per fortuna esistevano due copie del Giudizio Universale, per cui possiamo conoscere l’originale. Nella maggior parte dei casi le braghe che ricoprivano le vergogne sono dipinte a tempera. Nel caso di Santa Caterina d’Alessandria e di San Biagio, però, il Braghettone ha praticamente rifatto l’affresco di Michelangelo, ridisegnando le figure. Nel lavoro di Michelangelo, Santa Caterina era completamente nuda voltata di schiena e piegata in avanti, mentre San Biagio era appoggiato alle sue spalle in una posizione ancora più indecente. Non sarebbe bastato ricoprire vergognosamente i nudi con delle candide vesti: così se alla santa è stato fatto indossare un bel vestitino verde, lasciandole intatte la testa e le braccia, oltre alla ruota del martirio, San Biagio è stato completamente rifatto, per cacciare ogni cattivo pensiero, non più piegato quasi carnalmente su di lei, ma con lo sguardo rivolto molto devotamente in alto, verso il Cristo. Il fatto è che però noi dovremmo ringraziarlo il Braghettone, perché l’affresco poteva veramente essere distrutto.
D’altro canto quella era la Chiesa che si apprestava alla seconda grande caccia alle streghe, dal 1560 al 1650, dopo quella che si era appena conclusa nel 1520. L’assoluta maggioranza di queste vittime era composta da persone innocenti, spesso levatrici, guaritrici o prostitute. Si tratta di 110 mila processi che nei primi tempi coinvolgevano da una a dieci persone per volta, ma che col passare degli anni portavano sul banco degli imputati dalle 50 alle cento vittime per ogni causa. Facendo dei calcoli approssimativi, si può ritenere che siano state più di un milione le donne perseguitate. Solo che quella era anche la Chiesa di pontefici lussuriosi e chissà quanto devoti, che, come Sisto V e Urbano VIII, erano arrivati a sostenere senza la minima vergogna che lo scandaloso Papa Borgia fosse stato uno dei più importanti dopo San Pietro. Come si può facilmente intuire, troppo volte i servi e i rappresentanti della religione hanno preferito da sempre interpretarla e sfruttarla a proprio uso e consumo.
Scopriamo l’acqua calda, certo. Sta di fatto che dal Concilio di Trento in poi, l’arte divenne bibbia per gli incolti, strumento di guerra contro i luterani e scuola di potere dottrinale, grazie allo spauracchio del Sant’Uffizio. La Chiesa non volle più consentire scappatoie ai suoi artisti, non volle più lasciar loro completa libertà d’espressione: in cambio di lavoro, pretese fedeltà e attenzione ai temi trattati, «comandando loro di parlare con la voce della curia», come sottolinea la critica d’arte Giulia Grassi, «pena l’espulsione dalle chiese e l’estromissione dalle commesse pubbliche». La cosa forse più incredibile è che tutto questo non uccise l’arte, lasciandoci lo stesso opere meravigliose da ammirare, anche perché molti pittori riuscirono a lavorare per generosi mecenati, producendo poi capolavori come la sensuale Danae che Orazio Gentileschi realizzò per il nobile Giovanni Antonio Sauli, in cui «la grandezza dell’artista consiste nella sua moderazione che impedisce alla scena di trasformarsi in volgarità mantenendola sempre entro una cornice di grazia», come ha scritto Paolo Manazza sul Corriere.
Ora se anche noi abbiamo messo le brache ai nudi di Michelangelo e fino a poco tempo fa si intimava alle donne di entrare in Chiesa solo a capo coperto, è pur vero, come dice Adriano Sofri, che abbiamo capito l’errore «e siamo anche fieri di averlo capito», mentre in una parte del mondo sta crescendo una vera e propria guerra sul corpo delle donne. La sensibilità attribuita all’ospite iraniano, sostiene ancora Sofri, è quella della teocrazia sciita al potere in Iran dal 1978, che distrusse a Kashan un palazzo storico dove si amministrava la giustizia, a Zawareh una moschea dell’XI secolo e a Mashad un’altra ancora, sempre per fanatismo. Il khomeinismo è stato il capitolo cruciale di una nuova caccia alle donne, che in altri paesi sunniti ha assunto forme altrettanto o ancora più terribili. L’islam sembra adoperato forse solo per mobilitare grandi massi maschili frustrate umiliate di proletari e disperati che rischiano di perdere «molto più delle loro catene le loro donne». In questa guerra, l’arte rischia davvero di perdere la sua indipendenza. Perchè la paura è il suo più grande nemico. E ci sarà sempre qualche servo più servo degli altri.
2 Commenti
Nella Cappella Sistina affrescata da Michelangelo, speculare all’Innalzamento del serpente di rame, da parte di Mosè, vi è dipinta la crocifissione di Aman, primo ministro persiano che voleva uccidere gli ebrei e poi a morire sarà lui. (cfr. Libro di Ester). Abbiamo una promessa sotto forma di minaccia. Aman protagonista negativo del carnevale ebraico, negli affreschi di Michelangelo assomiglia al Gesù giudice del sucessivo Giudizio Universale. Ma in questo caso la somiglianza a cui si alluderebbe non sarebbe fisica ma funzionale. Michelangelo, in un fantastico viaggio nel tempo, avrebbe visto la morte di Gesù in croce, mentre assumeva anche il ruolo di Aman. In un carnevale si perde la cognizione di quello che si fa. “Padre perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Gesù amando tutti sarebbe sceso il più in basso possibile per non tralasciare nessuno. Michelangelo nascose le sue verità nei nudi del Giudizio, sapendo che su di essi si rarebbe concentrata l’attenzione. Cfr. ebook/kindle. Leonardo e Michelangelo: vita e opere. Grazie.
Tutto condivisibile il contenuto dell’articolo, compreso il fatto che, per i motivi detti, dobbiamo ringraziare anche il Braghettone.
Non si può tacere, tuttavia, che il Braghettone ha potuto agire perché c’erano dei capolavori da “coprire”, opere di artisti chiamati e pagati dalla stessa Chiesa cui qualche merito nell’arte va riconosciuto. Tutto ciò prmesso, ci siamo “coperti” di ridicolo in occasione della citata e recente visita.