Una straordinaria scoperta presentata in anteprima a TEFAF (11-20 marzo 2016)
La Galleria G. Sarti svela a Maastricht una splendida “Giuditta che decapita Oloferne” su rame di Artemisia Gentileschi, opera sconosciuta fino ad ora. D’ispirazione caravaggesca, questo dipinto rappresenta l’eroina della Bibbia, Giuditta, esempio di virtù e castità, colta nell’atto di tagliare la testa del nemico Oloferne, condottiero assiro da lei ingannato con la seduzione, pur mantenendo salva la propria purezza.
Si sa che Artemisia Gentileschi è una delle pittrici italiane più conosciute ed apprezzate del XVII secolo, un’epoca, in cui non era facile per una donna affermarsi come artista. Artemisia fu inoltre la prima ad entrare a far parte dell’Accademia di Arti e Disegno di Firenze. Figlia di Orazio Gentileschi, Artemisia si trasferì a Firenze per fuggire dallo scandalo in cui fu coinvolta a Roma dopo il processo per stupro contro il pittore Agostino Tassi.
Questa drammatica vicenda, che si concluse con l’umiliazione di Artemisia, è documentata ed oggi è spesso citata come caso simbolo delle violenze a cui sono state sottoposte per secoli le donne. Sfortunatamente questo episodio offuscò in parte i risultati artistici di Artemisia, che per molto tempo fu considerata una curiosità. Oggi lei è riconosciuta come un’artista fra le più progressiste della sua generazione.
Nei suoi lavori Artemisia sembra trasferire la sua esperienza. I suoi dipinti rappresentano donne forti e sofferenti della Storia Romana e della Bibbia – sono vittime, suicide e guerriere. Sembra che Artemisia sia stata molto colpita dalla storia di Giuditta, rappresentata in tre opere conservate oggi alla Galleria degli Uffizi di Firenze, al Museo di Capodimonte a Napoli e alla Galleria Sarti con quest’ultima scoperta.
Gianni Papi, uno dei massimi studiosi di Caravaggio e dell’ambiente caravaggesco a Roma e a Napoli, dimostra nell’ampio studio effettuato sul dipinto il carattere autografo dell’opera. Se raffrontato alle tele di Firenze e di Napoli, diversi sono tanti dettagli e le scelte cromatiche nel dipinto su rame, e l’estrema alta qualità dell’esecuzione non lascia alcun dubbio sull’autografia di Artemisia.
Lo studio di questo rame, nel quale sarà da riconoscere l’autografia di Artemisia Gentileschi, coinvolge tutte le versioni di questo soggetto eseguite dalla pittrice e altre versioni di dibattuta autografia che ne sono state tratte, ma anche deve considerare il problematico collegamento con una versione di Orazio Gentileschi del David e Golia (su rame è quella, assai famosa, della Gemäldegalerie di Berlino).
È infatti tuttora misterioso il legame che unisce il David di Orazio alla Giuditta che decapita Oloferne di Artemisia, attestato dalla famosa coppia di lavagne appartenute al cardinal Cesare Monti (successore di Federico Borromeo come arcivescovo di Milano dal 1632) e attualmente conservate presso la Galleria dell’Arcivescovado a Milano, che Longhi nel lontano 1916 aveva riferito direttamente ad Artemisia , ma che nel corso degli anni sono state più volte studiate come di un anonimo copista.
Sovente si è pensato che le due pietre, chiaramente eseguite a pendant (identiche le misure, la forma centinata e la scelta di isolare le figure su un fondo scuro, eliminando il paesaggio del David e il retro della stanza della Giuditta), riprendessero una coppia di dipinti della famiglia Gentileschi, probabilmente perché questi ultimi si trovavano in quel momento nella medesima collezione .
All’interno dell’economia del presente studio la complessità di tale problematica appare fuori luogo, tuttavia essa tocca anche il nuovo, inedito rame, poiché a quest’ultimo sembra ispirarsi l’artefice che ha realizzato la lavagna (che ha pressoché le stesse misure, cm 32 x 22) con la Giuditta. Sono infatti identici tutti i colori delle vesti e i rapporti spaziali delle figure con il supporto; sebbene di buona qualità, la lavagna mostra un indurimento nei contorni e nei tratti dei volti che dichiarano un inferiore livello esecutivo rispetto alla raffinatezza dei passaggi del rame, in particolare nei volti delle due donne e nei sofisticati trapassi luministici del candido lenzuolo in primo piano.
Ben diverso è invece il rapporto con le due famose versioni di Artemisia (su tela e di grandi dimensioni) oggi conservate al Museo di Capodimonte a Napoli e alla Galleria degli Uffizi di Firenze. Rispetto alla prima, eseguita probabilmente da Artemisia nei primi anni del secondo decennio a Roma, l’immagine del rame mostra una visuale più ampia rispetto alla serrata compressione delle figure, all’interno dei limiti del supporto, cui si assiste nella tela di Napoli. Le scelte cromatiche sono completamente diverse (la veste di Giuditta nel quadro napoletano è di un blu lapislazzulo, quella di Abra rosso sangue) ed è completamente assente il grande drappo retrostante che invece occupa gran parte dello spazio nel nostro rame.
Più vicina, almeno a livello di rapporti spaziali con il supporto, è la versione degli Uffizi, ma anche rispetto a questa non mancano certo le differenze. Ancora una volta sono diversi i colori scelti per le vesti delle due protagoniste; Giuditta nel rame ha una coroncina fra i capelli (assente nel quadro fiorentino); Abra ha una cuffia sulla testa molto simile a quella che il personaggio indossa nel dipinto napoletano, ma totalmente differente dal turbante che fascia i capelli di Abra nella tela degli Uffizi; la spada è diversa e somiglia semmai più a quella presente nel quadro di Napoli; nel rame non sono presenti gli schizzi di sangue che zampillano nel quadro fiorentino, né il lenzuolo è così grondante di sangue come nelle due versioni in grande, ben altrimenti truculente.
Anche per questi motivi, per le visibili differenze che distinguono il rame dalle due versioni in grande del soggetto, nonché per l’alta qualità dell’esecuzione (si guardi ancora al bellissimo e scenografico drappeggio verde che occupa metà della scena), sono convinto dell’autografia di Artemisia, che realizza dunque una terza versione su rame, dalla quale evidentemente attinge colui che realizza la redazione su pietra dell’Arcivescovado.
Difficile prendere partito riguardo alla cronologia; tuttavia la maggior vicinanza a livello compositivo con il quadro degli Uffizi, databile al 1620-1621, potrebbe suggerire una datazione non troppo distante da quel periodo.
Azzardo alla fine che il rame di Artemisia potesse trovarsi in collezione insieme al rame di Berlino di Orazio (con David) o piuttosto con un’altra versione in piccolo (sempre su rame o comunque di piccolo formato) attualmente ignota, vista la notevole differenza rispetto al rame di Berlino che la lavagna presenta nella disposizione della testa di Golia. Altrimenti è difficile spiegare l’origine del pendant dell’Arcivescovado di Milano.Gianni Papi
Firenze, 18 dicembre 2015Bibliografia sul dipinto:
IneditoBibliografia citata:
Longhi 1916, ed. 1961
R. Longhi, Gentileschi padre e figlia, in ‘L’Arte’, XIX, 1916, pp. 245-314; ripubbl. In R.L:, Scritti giovanili 1912-1922, Firenze, 1961, I, pp. 219-283.Bissell 1981
R.W. Bissell, Orazio Gentileschi and the Poetic Tradition in Caravaggesque Painting, University Park, 1981.Papi 1991
G. Papi, in Artemisia, catalogo della mostra (Firenze-Roma) a cura di R. Contini e G. Papi, Roma, 1991, pp. 116-120.Frangi 1994
F. Frangi, in Le stanze del Cardinale Monti 1635-1650. La collezione ricomposta, catalogo della mostra a cura di M. Bona Castellotti, Milano, 1994, pp. 224-225.Bissell 1999
R. W. Bissell, Artemisia Gentileschi and the Authority of Art, University Park, 1999.Primarosa 2011
J. Primarosa, in Artemisia. Storia di una passione, catalogo della mostra a cura di R. Contini e F. Solinas, Milano, 2011, p. 140.
Galerie G. Sarti
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