Fino all’8 maggio 2016 è visitabile la mostra su Jean Dubuffet alla Beyeler. Fondazione sempre sulla breccia e che sta scegliendo lo studio d’architettura che dovrà predisporre un ampliamento dell’edificio disegnato da Renzo Piano.
In esposizione oltre 100 opere prestate da musei di primo piano (come MOMA-NY, Guggenheim, Centre Pompidou e molti altri meno visti, oltre che numerose collezioni private) dell’artista che è stato uno degli innovatori che hanno liberato l’arte dai canoni e dalle convenzioni precedenti, nell’ultimo secolo. A lui si attribuisce una prospettiva “anti-culturale”.
Ispirato da artisti outsider, dai disegni dei bambini, da quelli dei folli. Dopo le numerose visite a cliniche psichiatriche in Ginevra e Berlino, l’artista ha coniato la fortunata definizione di “ART BRUT”. Il suo stile ha dato il “la” alla successiva street art, e non solo.
Nel liberarsi e liberarci dai canoni di bellezza ed accademici -bisogna riconoscerlo- artisti come Dubuffet hanno accompagnato il processo sociale che ha portato al recupero di punti di vista “dalla parte dei bambini” e di categorie svantaggiate o vilipese come chi ha problemi mentali più o meno seri e più o meno gravi. Categorie che possono dare un loro contributo alla società, a dispetto del loro essere “deboli”. Per esempio in termini di ampliamento di schemi mentali semplificati. Un’epoca in cui è nata e cresciuta la psicologia, non a caso. L’artista “anti culturale”, sembra avere quindi un grande valore culturale.
Alcune delle opere non sono mai state esposte prima e numerose sono della stessa Beyeler, data la intensa collaborazione tra Dubuffet e il gallerista Ernst Beyeler: questa mostra ha quindi anche “cuore”, perché nasce dove l’artista è stato assistito nel suo lavoro in vita.
L’esposizione focalizza sul concetto di panorama che si interseca col corpo umano e femminile. Dubuffet ha spesso enunciato l’aforisma: tutto è panorama. La natura è una intersezione di uomini e panorama. Al di là del tema estetico forte e caotico, c’è anche qui un ritorno a una visione laica e naturalista che ha accompagnato a vari livelli la civiltà europea del novecento.
Un ultimo accenno a riferimenti meno intellettuali: se il corpo diviene panorama e il panorama diviene corpo, non risulta difficile immaginare Dubuffet quando, prima di dedicarsi all’arte, operava nell’azienda di famiglia che vendeva vini all’ingrosso. E immaginarlo perso con l’immaginazione nei panorami collinari pieni di viti e di vita.
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INFORMAZIONI UTILI:
JEAN DUBUFFET
METAMORPHOSES OF LANDSCAPE
JANUARY 31- MAY 8, 2016
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Switzerland
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