Sir Matthew Bourne, classe 1960, tra i più acclamati coreografi del panorama internazionale, torna a Milano con la sua New Adventures. L’eccentrica compagnia mette in scena una versione spettinata e trasgressiva di Sleeping Beauty al Teatro Arcimboldi portandosi a casa un fiume di applausi.
Matthew Bourne, dopo il successo di Swan Lake e Nutcracker!, torna a dialogare con Čajkovskij adattando al contemporaneo la fiaba della “Bella Addormentata nel Bosco” di Perrault. Prende vita così uno spettacolo che attraversa le epoche e le mode di oltre un secolo, fermandole in momenti che sembrano quadri viventi per una visione d’insieme mozzafiato.
La scelta di affidarsi ai fedelissimi collaboratori Lez Brotherston per per le scene e i costumi, Paule Constable per il design luci e Paul Groothuis per il suono, contribuisce a trascinare lo spettatore in un mondo fatto di fate ed incantesimi in un’ultima danza sovrannaturale, degno coronamento della trilogia dedicata al compositore russo.
“Sleeping Beauty”, la storia della principessa Aurora e della maledizione che la condanna a un sonno lungo cent’anni, calcò il palco, per la prima volta, nel 1890 per mano del coreografo Marius Petipa sulle musiche di Čajkovski. Ed è poprio questa la ragione che ha spinto, oggi, Bourne, a cambiare il punto di partenza della fiaba originale ambientando il battesimo di Aurora nell’anno della prima presentazione del balletto, al culmine del periodo fin-de-siècle quando fate, vampiri e opulenza decadente nutrivano l’immaginario gotico. Nella visione proposta da Bourne Aurora cresce tra i colori della rigida età edoardiana, fatta di fasti, lunghi pomeriggi estivi, partite di croquet e danze alla moda.
Secondo il coreografo, a far scivolare in un sonno profondo la bella principessa non è un filare bensì una rosa blu e mentre cala il sipario il dramma si consuma. Ma è dopo l’intervallo che lo spettacolo vive una vera e propria rivoluzione capace di trascinare lo spettatore nel quotidiano, a colpi di selfie e ambientazioni che ricordano i locali frequentati dalle drag queen londinesi. E’ in questo scenario underground che Čajkovskij scatena le note più potenti lontani dal rigore della danza classica, per poi sfociare in quel “vissero felici e contenti” a cui ogni fiaba che si rispetti anela.