Bilancio del Salone del Libro. Lo fanno tutti. Lo facciamo anche noi. Con un occhio al futuro. Il direttore Ernesto Ferrero, ormai dimissionario con un piede sull’uscio, ultimo anno e ultimo giro, ha già avvisato di andarci piano con i cambiamenti: «Questa è una formula che funziona. Da ammodernare, ma funziona». In realtà, molte cose non saranno per forza più le stesse. Non ci sarà lui, e al suo posto cresce il nome di Giulia Cogoli.
Cambierà pure la sede, visto che dalla prossima edizione il Salone dovrà fare a meno del Padiglione 5 del Lingotto con i suoi 7mila metri quadrati: la nuova soluzione sarebbe l’Oval, al quartiere fieristico. Ma soprattutto, ad ascoltare voci e spifferi, sarà diverso il cuore della manifestazione: si dovrebbe puntare sugli spazi tematici, cercando di trasformare il Salone in un Festival del libro. Tra le novità ci potrebbe essere un’area per valorizzare chi fa libri d’arte e fotografie, uno spazio a cui è molto interessata la Germania e anche un po’ noi per quel che contiamo, visto che nel deserto di vendite del nostro Paese i volumi d’arte sono fra i pochi con il segno più. Al di là dei progetti e delle idee da abbozzare, la verità è che bisognerà aspettare il 6 o il 18 giugno, il voto delle amministrative, perché sarà il nuovo sindaco a decidere nomi e investimenti. Fino ad allora accontentiamoci delle parole.
E alla chiusura del Salone, di parole se ne fanno sempre tante. La presidente Giovanna Milella ha cercato di accompagnarle con i numeri: «Quest’anno abbiamo staccato 126.406 biglietti, cioé più 3,1 per cento rispetto al 2015, quando ne erano stati venduti 122.638». A onor del vero le cifre sparate dall’ex presidente Rolando Picchioni un anno fa erano parecchio diverse e si aggiravano sui 300mila e rotti, ma le indagini giudiziarie le avevano poi bruscamente ridimensionate: è straordinario come la nostra magistratura non si perda un’inchiesta, dai condomini alle baruffe chiozzotte, lamentandosi poi per essere sommersa di lavoro e non poter chiudere i processi entro la prescrizione, senza dimenticarsi ogni tanto di rilasciare in fretta e furia qualche estremista islamico che chissà perché minacciava di fare degli attentati sul nostro suolo.
Sta di fatto che anche il Salone del Libro ha avuto la sua bella inchiesta. Fra le altre cose, si è scoperto che contavano delle palle, prima di salutare tutti e dare gli arrivederci all’anno prossimo. Quest’anno invece no. Niente palle. Salone fantastico e tutti felici. «Sono aumentate le vendite per gli editori», ha esultato Giovanna Milella. Feltrinelli più 5 per cento. De Agostini più 10. Einaudi più 30, grazie soprattutto a Ligabue che ha presentato il suo nuovo libro «Scusate il disordine», proprio qui, fra gli stand del Lingotto.
Poi, più 25 Donzelli Editori, più 30 Giuntina, e via così. Dovremmo dedurne che i libri li vendono solo qui, e allora se fosse così facciamo subito un Salone che dura tutto l’anno. Perché al di là delle immancabili esultanze tipo quella dell’incredibile aumento del fatturato (0,1 per cento: un successone), negli ultimi cinque anni l’editoria ha perso 200 milioni d’euro e in ogni caso il mercato resta negativo (meno 3,4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2015: 800mila libri venduti in meno). Ma per questi qui va tutto bene madama la marchesa.
A far cresce il fatturato (quasi nullo, ma serve per non piangere) sono stati i romanzi d’amore (Anna Todd e Nicholas Sparks), i libri del Papa, e soprattutto i testi per la preparazione di esami e concorsi, quelli dedicati al lifestyle, i volumi d’arte e fotografie, e le biografie di musica e spettacolo nate da youtube. Con questi risultati, conoscendo i nostri editori, si prospettano pubblicazioni sempre più di basso livello destinate esclusivamente alla gente che non legge. Cioé, un Salone del Libro per sempre.
D’altro canto, in questa kermesse senza senso, lontano dalle città delle case editrici (Milano e Roma), costruita per cinque giorni attorno a progetti noiosissimi e a idee perennemente in crisi come quelli che le producono con la fantasia dei vecchi rimambiti che credono d’aver scoperto solo loro il web, non c’era da aspettarsi molto di più. Oddio, la loro bella fatica l’hanno fatta: 1222 eventi, 500 operatori internazionali, 1000 editori, 5 ministri, due premi Nobel, di cui uno, Dario Fo, in videoconferenza, 10 nuove start up editoriali, 80 incontri sul futuro digitale del libro e la novità del Salone degli artisti, con Michelangelo Pistoletto che al Bookstock dei ragazzi ha realizzato il Terzo Paradiso, una installazione composta da diecimila volumi.
I visitatori delle ultime 3 ore si sono portati a casa quei libri, che sarebbero andati comunque perduti o dimenticati: 3mila erano cataloghi di mostre e monografie d’arte del Castello di Rivoli. Mentre disfano tutto, gli stand e i cartelloni, qualcuno tornerà ai conti veri: secondo Nielsen l’unica cosa che cresce nel mondo dei libri è il settore digitale, aumentato del 25,9 per cento, attestandosi così su un fatturato di 51 milioni di euro, che è comunque una goccia d’acqua del mercato totale.
Come per i giornali, il web non dà soldi. Se li darà, bene. Ma per ora, non è così. In compenso, i libri su carta vendono sempre meno. Se si pensa che questo è un Paese dove leggono appena 4milioni di italiani su 60, di questo passo, le nostre case editrici fra un po’ dovranno chiudere tutte. Anche sparando invenzioni che uccidono i libri e partecipando a noiosissimi saloni. Che è quello che stanno facendo molto bene.