MANTEGNA E CARRACCI. ATTORNO AL CRISTO MORTO
Arriva a Brera il Cristo Morto di Annibale Carracci a confronto con il capolavoro di Andrea Mantegna
Nuovo dialogo tra due capolavori alla Pinacoteca di Brera. Nuovo riallestimento delle sale del museo. Il Cristo morto di Andrea Mantegna, una delle opere simbolo della Pinacoteca milanese, icona universale del Rinascimento e Il Cristo morto con gli strumenti della passione, versione dello stesso soggetto dipinta nel 1583-1585 da Annibale Carracci, proveniente dalla Staatsgalerie di Stoccarda. Dal 16 giugno al 25 settembre 2016.
Le due opere per la prima volta poste fianco a fianco rappresentano il secondo confronto proposto dalla Pinacoteca di Brera dopo il confronto tra i due Sposalizi della Vergine di Raffaello e Perugino, visibile sino al 27 giugno. All’opera di Mantegna, oltre alla redazione di Carracci, è accostato il dipinto Compianto sul Cristo morto, sempre raffigurante lo stesso soggetto, realizzato da Orazio Borgianni nel 1615 e proveniente dalla Galleria Spada di Roma.
Emblema delle conoscenze prospettiche di Mantegna, dotato di forza espressiva e al tempo stesso compostezza severa che ne fanno uno dei simboli più noti dell’arte italiana, il Cristo morto di Mantegna, databile circa al 1480, ebbe una notevole fortuna visiva tra Cinquecento e Seicento, documentata da una sequenza prestigiosa di derivazioni: tra queste il dipinto di Carracci, datato 1583-1585, si caratterizza per il crudo realismo evidenziato dagli strumenti del martirio, in particolare della corona di spine, collocati in primo piano nel capolavoro del bolognese.
La terza opera in dialogo, di Orazio Borgianni, sviluppa invece il tema con sfondo più caravaggesco.
E sarà ancora una volta l’occasione per un riallestimento delle sale della Pinacoteca, in una progressione a tappe che coinvolgerà in tre anni l’intero circuito del museo. Le sale coinvolte in quest’occasione saranno le n. I, II, III, IV, V, VI e VII, comprendendo anche il riallestimento del Cristo morto di Andrea Mantegna, che concluderà questa nuova parte di percorso.
Confronti che aiuteranno a guardare con occhi diversi i dipinti della pinacoteca milanese, esposti nelle sale a loro adiacenti, e che saranno fruibili dal pubblico con l’ausilio di nuovi testi di sala, didascalie più articolate, illuminazione e colore delle pareti completamente rinnovate: elementi sui quali il pubblico sarà chiamato a esprimere una valutazione.
In questa fase di ristrutturazione della Pinacoteca che avrà termine nella primavera 2018 la serie completa di affreschi di Bramante e Bernardino Luini saranno restaurati e torneranno di nuovo visibili al pubblico al termine dei nuovi allestimenti.
“Quella che stiamo realizzando a Brera è una rivoluzione copernicana in cui al centro del nostro mondo c’è il visitatore e non l’istituzione – spiega James Bradburne – . La conversazione fra Andrea Mantegna e Annibale Carracci porta avanti un altro aspetto di questa rivoluzione: creare “dialoghi” con i propri capolavori, senza ricorrere alle “grandi mostre” autoreferenziali, che cannibalizzano l’attenzione dei visitatori per le collezioni permanenti del museo”.
Mantegna e Carracci: il Cristo morto e le sue derivazioni
La notevole fortuna visiva tra Cinquecento e Seicento del Cristo morto di Andrea Mantegna (1480), è documentata da una sequenza prestigiosa di derivazioni cinque e seicentesche a partire da un Compianto di Cristo giovanile di Sodoma, collocabile intorno al 1503. Rispetto all’austera composizione mantegnesca quella di Sodoma è vivacizzata da una più cospicua presenza di dolenti ai lati di Cristo, colto in diagonale, sul modello del Cristo di Brera. Le successive meditazioni/derivazioni sul Cristo di Mantegna conducono in un primo momento in area emiliana, con il piccolo dipinto su tela di Lelio Orsi, Cristo morto tra la Carità e la Giustizia, datato agli anni settanta del XVI secolo, della Galleria Estense di Modena, ma soprattutto al magnifico dipinto, olio su tela, di Annibale Carracci protagonista del secondo Dialogo della Pinacoteca di Brera.
Carracci potè forse vedere il capolavoro di Mantegna nelle collezioni di Pietro Aldobrandini a Roma, o nel suo “errare in Lombardia”, in quegli anni ottanta del Cinquecento, ma anche attraverso le incisioni cinquecentesche molto note nell’Accademia bolognese degli Incamminati, in cui l’interesse per lo “scurto”, ovvero lo scorcio, del Cristo morto era molto vivo, proprio per gli studi dal vero e la nuova resa naturalistica del corpo umano. Il dipinto di Annibale interpreta il capolavoro di Mantegna con un naturalismo intenso e quasi ‘macabro’, con un arditissimo scorcio del corpo di Cristo in primo piano, che ne evidenzia il movimento disarticolato, con una scelta virtuosistica che testimonia il tentativo di mettersi audacemente in gara con il modello. Annibale Carracci elimina dalla sua opera le figure dei dolenti, a sinistra nel dipinto di Mantegna, e con lo scurto di lato del corpo di Cristo, che occupa l’intero campo della tela, intende mostrare con efficace realismo il torace della figura, con le ferite ancora sanguinanti, il volto straordinario, con la bocca ancora semichiusa.
SCHEDA DELLE 3 OPERE ESPOSTE
Andrea Mantegna, Cristo morto nel sepolcro e tre dolenti, 1470-1474, tempera su tela, cm 68 × 81
L’opera raffigura Cristo adagiato sulla cosiddetta pietra dell’unzione, dopo la deposizione dalla croce, e vegliato da tre dolenti: la Vergine, san Giovanni evangelista e una figura seminascosta, identificata con Maria Maddalena. La posizione frontale del corpo di Cristo permette di mostrare in evidenza i segni dei chiodi su mani e piedi e, nonostante l’ardito scorcio prospettico, è ben visibile anche il volto del personaggio grazie ad alcune correzioni operate dall’artista, che crea in questo modo una composizione di grande impatto emotivo. Il singolare dipinto, di dimensioni contenute e dalla rivoluzionaria scelta compositiva e prospettica rispetto al tema del compianto viene identificato concordemente dagli studiosi con il “Cristo in scurto” elencato nel 1506 da Ludovico Mantegna, figlio dell’artista, fra le opere che si trovavano nello studio del padre al momento della morte.
Le difficoltà nel tracciare una storia certa del dipinto di Brera sono molte, anche a causa della confusione delle fonti storiche circa un altro quadro con lo stesso soggetto. Molti ritengono un’opera di studio o comunque dipinta dall’artista per la propria devozione privata, anche a causa di caratteristiche peculiari, quali l’estremizzazione della ricerca prospettica applicata al corpo umano – elemento cardine della ricerca di Mantegna – la tecnica pittorica (tempera magra su tela) e la scelta di una tavolozza di colori neutra, quasi monocromatica.
La datazione è oggetto di dibattito e oscilla principalmente tra gli anni settanta del Quattrocento, quando l’artista era impegnato nella decorazione della Camera picta del castello gonzaghesco di San Giorgio, e l’inizio degli anni ottanta del Quattrocento, dopo l’arrivo a Mantova della reliquia della pietra dell’unzione. La committenza e la provenienza originaria sono ignote e del dipinto si perdono le tracce fino al 1802, quando fu acquistato a Roma da Giuseppe Bossi, allora segretario dell’Accademia di Brera, dove pervenne nel 1824.
Annibale Carracci, Cristo morto e strumenti della Passione, 1583-1585, olio su tela, cm 70,7 × 88,8, Staatsgalerie, Stoccarda
Opera giovanile di Annibale Carracci, realizzata probabilmente intorno al 1582–1584, compare citata nelle fonti coeve a partire dal 1692, come parte della collezione del Cardinale Flavio Chigi a Roma. L’artista si discosta in parte dal modello mantegnesco del “Cristo in scurto”, che dall’inizio del Cinquecento era divenuto un topos iconografico ampiamente noto e frequentemente riprodotto nella pittura devozionale dell’Italia settentrionale. Tutta l’attenzione dello spettatore appare concentrata dall’esibizione del Corpus Christi martoriato, sola raffigurazione affiancata agli strumenti della tortura e priva dell’accompagnamento del coro dei dolenti. Il corpo di Cristo pare, come consuetudine nella produzione dei Carracci, studiato e copiato da un modello anatomico vero. La resa realistica e cruda del dolore del martirio, rafforzata da bruschi passaggi tonali e pennellate brevi, ci restituisce un’immagine potentissima del sacrificio e del sacramento dell’Eucarestia.
Orazio Borgianni, Compianto sul Cristo morto, 1615, olio su tela, cm 55 × 77, Roma, Galleria Spada
Di quest’opera esistono altre versioni, conservate presso la Fondazione Longhi di Firenze e la Pinacoteca Nazionale di Palazzo Venezia di Roma. Eseguita dal maestro caravaggesco intorno al 1615, l’opera mostra in un ambiente illuminato da una fioca e livida luce, il Cristo deposto vegliato dalla Vergine e da San Giovanni. Sensibili appaiono le somiglianze del dipinto con l’affresco eseguito dal maestro nella sagrestia di San Salvatore in Lauro in Roma, dedicato allo stesso soggetto. L’opera riprende fedelmente, nell’espressione dolente degli astanti e nella posizione di scorcio di Cristo, l’originaria composizione di Mantegna, dando rilievo, rispetto alla versione carraccesca, alla rappresentazione della sofferenza degli astanti.
INFORMAZIONI UTILI
SECONDO DIALOGO
Attorno a Mantegna
Pinacoteca di Brera, Sala VI
16 giugno 2016 – 25 settembre 2016
DIALOGO CURATO DA
Keith Christiansen
OPERE PRESENTI:
Andrea Mantegna
Cristo morto nel sepolcro e tre dolenti
1470-1474, tempera su tela, cm 68 × 81
Milano, Pinacoteca di Brera
Annibale Carracci
Cristo morto e strumenti della Passione
1583-1585, olio su tela, cm 70,7 × 88,8
Stoccarda, Staatsgalerie
Orazio Borgianni
Compianto sul Cristo morto
1615, olio su tela, cm 55 × 77
Roma, Galleria Spada
PINACOTECA DI BRERA
BIBLIOTECA NAZIONALE BRAIDENSE
Via Brera 28, 20121 Milano
t +39 02 72263264 – 229
pin-br@beniculturali.it
www.pinacotecabrera.org
16 giugno 2016-25 settembre 2016