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Marina Abramovic, arte e maternità. Non è un Paese per madri

Marina Abramovic nella performance 'The Biography Remix' diretta da Michael Laub (10 luglio 2005)
Marina Abramovic nella performance 'The Biography Remix' diretta da Michael Laub (10 luglio 2005)
Marina Abramovic nella performance ‘The Biography Remix’ diretta da Michael Laub (10 luglio 2005)

Non c’è un solo modo per essere donna. Ma per essere madre sì. Marina Abramovic, 70 anni, artista serba naturalizzata americana, nipote di un patriarca della Chiesa ortodossa proclamato santo, ha scelto di essere solo una donna e ha confessato di aver «abortito tre volte. Un figlio sarebbe stato un disastro per il mio lavoro».

In una lunga intervista al giornale tedesco Tagesspiegel ha spiegato che «una persona ha tante energie nel proprio corpo e io avrei dovuto condividerle con un bambino. Ma è proprio per questo che nel mondo dell’arte le donne non hanno lo stesso successo degli uonini». Perché finiscono prigioniere dell’amore, della famiglia e dei figli. A sfogliare i numeri e le statistiche, questo discorso vale anche fuori dall’ambiente artistico, se è vero come è vero che, tanto per restare in Italia, il tasso di occupazione femminile fra i 20 e i 64 anni è di poco superiore al 50 per cento, e che il numero delle donne che escono dal mercato del lavoro in seguito alla nascita del figlio varia da un minimo del 25 per cento fino a raggiungere la ragguardevole soglia del 57, nel nostro sfortunato e abbastanza maschilista Paese.

Da noi, a queste cifre bisogna aggiungere anche la triste condizione della disparità salariale, con l’effetto di un maggior divario pensionistico a sfavore delle lavoratrici, oltre alla congenita carenza di servizi e asili. Non sono soltanto le artiste a rimetterci.

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Hillary Clinton, madre

Eppure, a guardarsi attorno, ci sono anche icone del potere declinato al femminile che sono state mamme felici. Hillary Clinton, in corsa per diventare la presidente del Paese più potente del mondo, da qualche anno è addirittura una nonna impegnatissima, visto che sua figlia Chelsea le ha appena regalato il secondo nipotino.

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Hillary Clinton, nonna

Andrea Leadson, 53 anni, che contende la guida del governo inglese a un’altra donna, Theresa May, in una recente intervista al Times ha dichiarato che, essendo madre, sarà «un primo ministro migliore della rivale», che non ha potuto avere figli. Andrea ne ha avuti tre. «Io sento che se sei madre, hai davvero a cuore il futuro della tua nazione», ha detto.  Theresa May s’è sfogata con il Daily Mail: «Io e mio marito non abbiamo potuto avere figli. Spero che nessuno pensi che questo possa avere importanza». Anche la Tatcher, il premier di ferro dell’Inghilterra Anni 80, ha avuto due figli.

Nella foto: Sophia Loren nella clinica dell'ospedale cantonale dopo la maternit posa davanti ai fotografi e giornalisti con il marito Carlo Ponti, presentando il figlio Carlo Junior
Sophia Loren nella clinica dell’ospedale cantonale dopo la maternità posa davanti ai fotografi e giornalisti con il marito Carlo Ponti, presentando il figlio Carlo Junior

In Italia, nel campo dell’arte e del cinema, Sophia Loren s’è sottoposta a qualsiasi cura e torture varie pur di restare incinta nel momento più alto della sua carriera. Ma allora chi ha ragione? Forse, Marina Abramovic ha esagerato? E fino a che punto una donna può non essere madre? Nell’arte ci vengono in mente la pittrice Carol Rama, le scrittrice Elsa Morante e Dacia Marani: sono diventate grandi senza essere madri.

Se il passaggio sia obbligato, non possiamo saperlo. Certo è che ognuna di loro avrà pensato almeno una volta quella lettera a un bambino mai nato che Oriana Fallaci, giornalista che ha inseguito il suo lavoro con la durezza di un uomo, senza le meravigliose fragilità di una donna, ci ha lasciato in eredità come un testamento.

La verità è che questo, piaccia o no, non è un mondo matriarcale e che camminando avanti nel tempo il ruolo della donna sta neanche troppo lentamente tornando a essere marginale, dopo l’ubriacatura femminista del secolo scorso, relegato nello spazio ristretto dei suoi doveri, più che dei suoi diritti.

Si guarda quasi con nostalgia alle migliaia di idoli femminili raccolti sin dagli Anni 30 nelle immagini di Olga Frube-Kaptein, madri, matrone, veneri e divinità che spariscono assieme alle mamme della prima regista americana nel cinema di inizio Novecento, Alice Guy Blaché, quasi cancellate dalle bambole meccaniche di Sophie Taeuber e Hannah Hoch. E fa quasi specie che siano i lavori femministi di Carla Accardi, Joan Jonas, Mary Kelly, Yoko Ono, Martha Rosler o Valie Export con le loro rappresentazioni di spazi domestici vissuti come luoghi di tensioni e soprusi a identificare meglio la realtà ancora attuale della casa famiglia.

Nari Ward, Amazing Grace (1993), La Grande Madre, curated by Massimiliano Gioni – Palazzo Reale, Milan, August 26 – November 15, 2015 Photo: Marco De Scalzi – Courtesy Fondazione Nicola Trussardi, Milano
Nari Ward, Amazing Grace (1993), La Grande Madre, Palazzo Reale, Milano, 2015 Photo: Marco De Scalzi – Courtesy Fondazione Nicola Trussardi, Milano

Il fatto è che nella storia dell’umanità il ruolo della madre è quello più importante della società. Ma che in fondo nessuno glielo riconosce. Se sceglie il lavoro, ha ragione Marina Abramovic, la donna è costretta a rinunciare alla maternità. Nessuno di noi si chiede se questa sia una violenza, perché fa parte delle regole, e la violenza è fuori dalle regole. Alla fine, anche nell’arte, che è lo specchio della realtà, le grandi pittrici finiscono per raffigurare le madri quasi con un sentimento di poetico isolamento, come nei ritratti colti a poche ore dal parto di Rineke Dijkstra, o nelle tele sospese fra croce e delizia, liberazione e condanna, di Marlene Dumas e Nicole Eisenman.

Rineke Dijkstra
Rineke Dijkstra

Mary Cassatt, si chiedeva, quasi rispondendo a Marina Abramovic: «Può esistere qualcosa che può essere paragonato alla gioia di essere artista?». Forse la maternità. Ma noi non possiamo rispondere a questa domanda, perchè noi non conosciamo la grandezza di dare vita e una vita, non ne conosciamo il dolore e la luce, il sangue e la fatica.

Mary Cassatt non è riuscita ad avere figli. Però scelse come tema delle sue opere proprio la maternità, quell’intimità particolare che unisce la madre al figlio. Qualsiasi artista, in fondo, ha qualcosa di materno, un legame col suo lavoro e il suo pensiero che è diverso da tutti gli altri e che più lo avvicina alla figura della madre. Solo il dolore del parto rende quell’atto unico. Il fatto è che la vita non può farne a meno. Può farne a meno Marina Abramovic. E tutte quelle che vengono lasciate sole.

In un mondo migliore diventare madre non dovrebbe essere una condanna.
Dovrebbe essere una fortuna. Ma questo, semplicemente, non è un mondo migliore.

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