Venezia 73. Wim Wenders, il regista di The Million Dollar Hotel, sbarca al Lido per presentare il suo ultimo lungometraggio in 3D: Les Beaux Jours d’Aranjuez.
Il primo settembre di Venezia 73 è finito sulle pagine di tutti i giornali soprattutto per l’incantevole red carpet di Michael Fassbender e Alicia Vikander, ma è stato il giorno di uno degli eventi più attesi dal pubblico cinéphile. È il ritorno di Wim Wenders, fra i più grandi narratori del cinema del nostro tempo, che porta in Concorso il suo ultimo lungometraggio, Les Beaux Jours d’Aranjuez.
Un bel giorno d’estate. Un giardino. Una terrazza. Una donna (Sophie Semin) e un uomo (Reda Kateb) sotto gli alberi, con una dolce brezza estiva. In lontananza, nella vasta pianura, la silhouette di Parigi. Comincia una conversazione: domande e risposte tra la donna e l’uomo. Riguardano le esperienze sessuali, l’infanzia, i ricordi, l’essenza dell’estate e le differenze tra uomini e donne, riguardano la prospettiva femminile e la percezione maschile. Sullo sfondo, nella casa che si apre sulla terrazza, sulla donna e sull’uomo: lo scrittore (Jens Harzer), nell’atto di immaginare questo dialogo e di scriverlo. O forse è il contrario? Forse sono i due personaggi, lì in fondo, che gli dicono cosa mettere sulla carta: un lungo e definitivo dialogo tra un uomo e una donna?
La vicenda è tratta dall’omonima pièce teatrale di Peter Handke, che torna per la quinta volta a lavorare con Wim Wenders, indimenticabile la loro collaborazione alla sceneggiatura de Il Cielo Sopra Berlino.
Dice il regista:
Peter è il mio amico più vecchio e caro. Quando sono venuto per la prima volta alla Mostra del Cinema di Venezia era il 1972 e portavo con me “Prima del calcio di rigore”, tratto da un romanzo di Peter. Ricordo ancora che Il film vinse il premio della critica. Avevo 26 anni ed ero al mio primo Festival: quarantaquattro anni dopo, io e Peter siamo ancora amici e ancora alla Mostra con qualcosa che abbiamo fatto insieme.
L’ultimo film di Wim Wenders (Every Thing Will Be Fine – Ritorno alla Vita, con James Franco e Charlotte Gainsbourg) aveva lasciato l’amaro in bocca alla critica internazionale: senza negare la sensibilità estetica, molti avevano lamentato una notevole distanza da quello stesso Wenders del passato, che sembrava aver perso la voglia di osare.
In Les Beaux Jours d’Aranjuez, il gusto per l’azzardo torna a far capolino. Il plot è ridotto all’osso, mentre massima importanza è data alla parte più letteraria del prodotto cinematografico: la sceneggiatura. Il vero protagonista del film diventa così il discorso dei suoi personaggi: un discorso sull’amore, che presto si trasforma nel confronto (o incontro-scontro?) fra i sessi che vede schierati da una parte l’uomo, avvolto da una vestaglia di seta e malizioso, dall’altra donna, dal canto suo affamata di domande e di provocazioni, sullo sfondo di un paesaggio che pare incantato.
La situazione è paradossale, io direi quasi utopica: un uomo e una donna che parlano fondamentalmente di sesso, un argomento che di solito li fa arrabbiare e litigare. Trovo che uomini e donne siano molto diversi: la memoria delle donne è spesso guidata dalle emozioni, mentre gli uomini si abbandonano di più alla realtà fattuale, all’osservazione. Personalmente, la mia missione è indagare ciò che rimane sepolto, nascosto nella memoria delle persone.
In questo discorso, la scelta del 3D assume un’importanza cruciale:
Trovo che il 3D sia uno degli strumenti più dolce, più gentile, direi quasi pacifico del cinema contemporaneo. Ha la capacità di metterti in un posto e farti percepire di essere davvero dentro alla sua atmosfera, con quelle specifiche persone. È l’opposto di ciò che tutti credono, L’errore sta nell’associarlo soltanto agli effetti speciali grandiosi; io ho scelto di utilizzarlo anche per un film ambientato in un giardino tranquillo, con gli alberi verdi, gli uccellini che cantano e il Parigi sullo sfondo.
Un ruolo non certo secondario è affidato anche alla selezione musicale. Molti i grandi pezzi presenti nella colonna sonora, fra cui – ci tiene a specificare lo stesso Wenders – un fantastico Lou Reed, ma l’attenzione è inevitabilmente catturata da un’inaspettata performance di Nick Cave:
La musica è molto importante e contribuisce a raccontare la storia. In questo film in particolare, la musica viene da un Juke Boxe, che finisce per diventare un personaggio centrale. Nick Cave non viene fuori all’improvviso solo per il gusto di mostrarlo, ma è come se uscisse da quel Juke Boxe e con la sua musica contribuisce al discorso dei personaggi.
Les Beaux Jours d’Aranjuez arriva trascinato dall’onda di una grande carriera e forse proprio per questo divide in due il pubblico al Lido: chi sostiene l’esperimento e rivendica l’importanza della contestualizzazione, chi invece accusa la lentezza e la noia di un intellettualismo esagerato.
La domanda da cui sono partito per questo film è semplice: qual è la differenza fra uomo e donna? Credo che ognuno di noi, in modo differente, più o meno consapevolmente, si sia posto – e si continua a porre – questa domanda. Il cinema nella sua storia lo fa di continuo: nel cinema italiano, ad esempio, mi viene in mente Michelangelo Antonioni, la cui principale abilità era proprio mostrare l’anima delle donne. Io ho provato a dare la mia risposta, ma la verità è che ogni film esiste nella testa dello spettatore: tutti vedono un film diverso e guardandolo provano a rispondere a domande diverse.
Al di là dei giudizi sul prodotto finito, resta interessante chiedersi che cosa possa aver spinto un narratore affermato come Wim Wenders a confessarsi sul grande schermo in un modo tanto intimo, da diventare in alcuni momenti perfino eccitante.
>> “Ogni film è una domanda aperta – dice il regista in conclusione, mentre si sistema il ciuffo argentato – e se devo essere onesto, personalmente amo i film per cui, una risposta, ancora non l’ho trovata!”.