Venezia 73. James Franco arriva alla Mostra del Cinema di Venezia per presentare il film In Dubious Battle. Lo abbiamo intervistato.
Il 30 giugno è stato pubblicato su YouTube il trailer di Why Him? (Perché proprio lui?) di John Hamburg, che lo vede protagonista insieme a Bryan Cranston, ma James Franco non ha né tempo né voglia di riposarsi. Così sabato 3 settembre, sotto il sole sempre più caldo del Lido, l’attore più eclettico che ci sia ha fatto una capatina alla Mostra del Cinema di Venezia per la prima del suo ultimo film da regista: In Dubious Battle, presentato in anteprima mondiale nell’ambito del Cinema nel Giardino.
Inutile girarci intorno: James Franco è, nel panorama culturale contemporaneo, un caso mediatico. Artista delirante e multitasking, la sua ultima visita alla Mostra risale al 2014, quando aveva presentato The sound and the Fury e ricevuto il premio Jaeger-LeCoultre. Per l’occasione, da buon burlone, aveva addirittura portato il set sul red carpet: durante la serata di premiazione girò infatti alcune scene di Zeroville (la cui data di uscita è ancora oggi da rivelarsi), sfoggiando il cranio rasato e agghindato da un enorme e improbabile tatuaggio di Liz Taylor e Montgomery Clift. Esigenze di copione, a quanto dissero.
>> Il suo arrivo ha portato inevitabilmente un certo scompiglio: “Avrei voluto vedere se stasera avessero proiettato Il Marchese del Grillo!”, ha urlato un simpatico buttafuori davanti all’ennesima lamentela del pubblico che non è riuscito a entrare in sala.
È domenica mattina: l’umidità è alle stelle, ma non mancano i drink rinfrescanti sulla Terrazza Biennale, dove i giornalisti – insieme a qualche curioso che ha notato del movimento sospetto – attendono l’arrivo della star. Il buon James si presenta con dieci minuti di ritardo, luminoso sotto i raggi del sole che riflettono sulla bomber-jacket argentata di Gucci e, da vero Child of God, accecano chiunque gli si avvicini troppo. “Siamo pronti?”, chiede guardandosi intorno.
>> Sfoggia un baffo anni Settanta che accarezza di continuo e prima di cominciare si schiarisce la voce in un modo tanto virile da diventare erotico. Parlare con lui non è certo un’operazione che mette a proprio agio: dimostra disponibilità, sorride di continuo, si siede accavallando le gambe con una classe inaspettata. Il vero disastro si stabilisce con il contatto visivo: non ti guarda, ma ti divora con gli occhi. Il suo sguardo penetra quello di chi gli sta davanti, costringendo ad abbassare la testa per evitare un sorriso imbarazzato, o ancora peggio, emozionato.
È quello il momento in cui tutto diventa chiaro: James Franco non parla, flirta. Inutile dire che lo fa molto bene.
“In Dubious Battle” è ambientato negli anni Trenta, durante il periodo della Depressione in America. Nei primi anni del Novecento, molti lavoratori stagionali confluirono in California da tutto il Paese attratti dalla promessa del lavoro, ma nel momento in cui arrivarono e sistemarono le proprie famiglie, i proprietari terrieri abbassarono i compensi concordati, lasciando tutti i lavoratori a mani vuote. Avendo sconvolto la propria vita per trasferirsi, l’unica soluzione per molti fu accettare il compromesso. Io ho deciso di raccontare la storia di un gruppo di attivisti che non si è abbassato a queste condizioni disumane, ma ha continuato a inseguire il mito della giustizia sociale.
Il film conferma la passione dell’artista per la rivisitazione dei classici della letteratura americana. Se The Sound and the Fury era tratto dall’opera di William Faulkner (così come Child of God, del 2013), il romanzo a cui si ispira In Dubious Battle è quello omonimo di John Steinbeck.
Sono cresciuto in California –ci ha raccontato James Franco– vicino alla contea di Steinbeck. Ha vissuto nella mia città quando era studente a Stanford. La mia ossessione per la sua scrittura è iniziata non appena ho imparato a leggere, è parte del tessuto della mia infanzia. “In Dubious Battle” è il testo meno noto della sua trilogia non ufficiale, che comprende “Of Mice and Men” e “The Grapes of Wrath”.
Lo sciopero nel film si basa su un idealismo che il regista stesso ha definito “tragico” e proprio in virtù di questo, molto interessante è il riflesso automatico che la storia del film può avere sulla nostra contemporaneità.
Il film ha molta rilevanza sul presente! – conferma a gran voce James Franco – A causa soprattutto della continua crisi economica americana, le persone sentono di avere sempre meno controllo su quello che fanno e la questione delle condizioni dei lavoratori è ancora aperta, almeno negli Stati Uniti. Senza pensare alla delicatezza di un tema come l’eguaglianza sociale, scottante per molte persone, oggi più che mai. La storia raccontata può essere ambientata quasi un secolo fa, ma la vedo rilevante ieri quanto oggi.
Il film vanta un cast d’eccellenza, riunito per l’occasione dal carisma dello stesso James. Vincent D’Onofrio, Robert Duvall, Bryan Cranston, coraggiosamente accostati a giovanissimi come Nat Wolff, Josh Hutcherson e Selena Gomez (con cui il vecchio James aveva già lavorato in Sprink Breakers, di Harmony Korine).
Il gruppo era enorme: da una parte c’erano gli attori più giovani, molti dei quali però già amati dal grande pubblico, dall’altra vere e proprie leggende. Due generazioni a confronto, un ottimo mix di persone incredibili: è stato fondamentale per stimolarci a vicenda.
La domanda è spontanea: com’è stato gestire la vita sul set con una banda così eterogenea di pezzi da novanta?
Lui sorride malizioso, non ha bisogno di prendersi troppo tempo per pensare.
Le persone perdono la loro casa, le loro vite… vengono uccise… non sono argomenti molto divertenti, quando devi portarli a un pubblico. Per certi versi, le riprese sono state molto difficili: senza contare che non avevamo moltissimi soldi, piuttosto un tipico ‘low budget’ che cercavamo continuamente di aumentare.
Il tempo sta per volgere al termine, dalla regia ci dicono che questa deve essere l’ultima risposta. A malincuore, è ora di alzarsi e stringergli la mano. Quand’eccolo incalzare le ultime parole: “Se vuoi un aneddoto divertente, ti posso dire questo: nel momento in cui giravamo non lo sapevo, ma in seguito gli attori mi hanno detto che avevano chiamato il set ‘Movie Camp’. Come se fosse un campo estivo! Direi che è stata per tutti un’avventura.”
La tappa veneziana non è che la prima di un tour mondiale: prima l’appuntamento al Deauville American Film Festival, quindi il grande passaggio al Toronto International Film Festival.
Una data d’uscita italiana ancora non è prevista, ma non sarà necessario attendere molto per rivedere il volto del caro James Franco: grazie al cielo, i suoi post sui social non danno il tempo di chiedersi dove sia finito, garantendo una presenza mediatica che padroneggiata con grande eleganza. Esserci sempre e comunque: in fondo, è forse questa la principale costante del suo personaggio, tanto affascinante quanto inafferrabile.