Neruda di Pablo Larraín, il regista di El Club e Jackie, dal 13 ottobre al cinema.
Cile, 1948: la Guerra fredda è iniziata. Al congresso, il Senatore Pablo Neruda (Luis Gnecco) accusa il governo di tradire il Partito Comunista, di lì viene messo sotto accusa dal Presidente Gonzalez Videla (Alfredo Castro). Pablo Neruda, il poeta, diventa un ricercato.
Al Prefetto della polizia, Oscar Peluchonneau (Gael García Bernal), il compito di arrestarlo.
Scappare? Costituirsi? Cosa può giovare maggiormente alla causa?! Il partito comunista è diviso.
Neruda inizia così una fuga piena di dubbi assieme alla moglie -la pittrice Delia del Carril (Mercedes Morán).
Dopo essere stato presentato a Cannes 2016 arriva in sala, dal 13 ottobre, il nuovo dilm di Pablo Larraín: Neruda.
Traendo ispirazione dai drammatici eventi della sua vita di fuggitivo Neruda scrive la sua epica raccolta di poesie, Canto General. Nel frattempo, in Europa, cresce la leggenda del poeta inseguito dal poliziotto e alcuni artisti capitanati da Pablo Picasso iniziano a invocare la libertà per Neruda.Il film si sviluppa come una battaglia intellettuale, come una partita a scacchi, in cui Neruda vede questa gara a nascondino contro la sua nemesi, Peluchonneau, come un’opportunità per reinventare se stesso (e il mondo che lo circonda assecondandolo alle regole della letteratura, in cui la vera vittima sembra essere, infine, proprio il cacciatore).
Neruda gioca con l’ispettore, gli lascia indizi architettati per rendere più pericoloso e intimo il loro gioco tra gatto e topo, come Hannibal e Clarice.
In questa vicenda del poeta perseguitato e del suo avversario implacabile, Neruda intravede per se stesso dei risvolti eroici: la possibilità, cioè, di diventare un simbolo di libertà, oltre che una leggenda della letteratura.Pablo Larraín sulla storia cilena ha costruito un’intera filmografia: Tony Manero, Post-mortem, No – I Giorni dell’arcobaleno (con Gael García Bernal); con Neruda quindi, dopo un breve pausa con El Club e Jackie (presentato a Venezia 73), torna su territori a lui cari. Un film in sospeso tra storia e invenzione letteraria, con il fascino di un racconto, di una poesia. La fotografia fatta di viraggi in contrasto tra toni violacei e palette terrose di ocre e ambre dà alla pellicola un fascino sospeso, come appannato, l’impressione di un sogno -o di un ricordo- che va ricostruendosi dietro le palpebre quando ci si appena svegliati.
>> Neruda non ha la rabbia e l’energia dei precedenti film di Larraín, ma una grazia emotiva che lo rende altrettanto potente.
La fuga di Neruda è -specularmente- la rincorsa del fantomatico Peluchonneau per un posto nella storia, la lotta di un personaggio (secondario) per ottenere una parte da protagonista. Un viaggio sospeso tra la poesia, una caccia con l’atmosfera di una favola, di un mito. García Bernal dà al suo ispettore un inaspettato e raffinatissimo lato comico, che in questa caccia al poeta ci accompagna verso un finale sorprendentemente toccante. Neruda non è un film biografico sulla vita di uno scrittore, ma un film che riflette sul ruolo dello scrittore nel mondo.