PARIGI, PERCORSI OFF DEDICATI AL DISEGNO – 500 OPERE IN OMAGGIO A HIERONYMUS BOSCH. Una conversazione con Bianca Cerrina Feroni, curatrice di “Les délices” di Damien MacDonald
Con l’apertura del Salon du Dessin e di Drawing Now, Il disegno è protagonista a Parigi nella settimana dal 22 al 27 marzo. In tutta la ville lumière si moltiplicano le iniziative legate alla forma d’arte più primordiale. Allenati gli occhi con i due saloni dedicati il primo al disegno dall’antichità ai giorni nostri, il secondo esclusivamente al disegno contemporaneo, ci siamo soffermati sulla mostra “Les Délices” dell’artista franco-scozzese Damien Mac Donald, aperta fino al 22 aprile 2017.
All’interno del dinamico spazio della Galerie 24b (http://www.24b.paris/), l’esposizione, curata dall’italiana Bianca Cerrina Feroni, è un omaggio a Hieronymus Bosch in versione contemporanea. Tutti tracciati a china con la stessa leggerezza, i 500 disegni, tanti quanti gli anni che ci separano dalla morte del visionario pittore olandese, sono elegantemente allineati nelle sale che si susseguono nei 300 metri quadri di uno spazio storico adiacente alla chiesa St.Roch, dietro alla rue St. Honoré.
Ci fa notare la curatrice che le opere sono esposte senza titoli. La scelta non è casuale. Serve a lasciare lo spettatore senza punti di riferimento. “E’ un invito a perdersi, a cercare il proprio simbolismo interiore ed entrare così in connessione con l’artista e con la parte universale dell’opera, quella che appare legata a un archetipo. E’ anche così che le immagini viaggiano e si trasformano”.
Damien MacDonald, classe 79, ha viaggiato molto. Prima di stabilirsi a Parigi, ha passato 4 anni vivendo con la compagna tra diversi paesi e si è nutrito di ogni sorta di immagine e di esperienza. Si ritrovano infatti nei disegni tracce di molte culture.
La prima cosa da dire è che Damian MacDonald è un gran divoratore d’immagini. “Sono onnivoro” dice in un’intervista a RadioFrance. La mano inizia a scorrere sulla carta durante o alla fine del processo digestivo quando tutti i riferimenti immagazzinati si attivano. Non ha alcun timore a giocare con le fonti, al contrario, è proprio di questa relazione che si nutre il suo rapporto con l’immagine.
Tanti i riferimenti alla cultura italiana: una maternità ispirata a Giovanni Bellini, figure misteriose che fanno pensare a Giorgio De Chirico, uomini che volano come nel film “Miracolo a Milano” di Vittorio de Sica e tanti riferimenti al fumetto. Oltre al francese Moebius ci accorgiamo anche della sua ammirazione per il nostro Manara.
Facendoci visitare la mostra, la curatrice ci dice che “i disegni sono 500, ma le immagini almeno 5000! Le figure che l’artista mostra viaggiano nel tempo. Così tutti i simboli conservano la loro forza evocatrice assumendo nuove significazioni. In questa evoluzione iconografica, MacDonald tocca il cuore della nostra epoca e mostra la potenza attiva delle immagini”. Benché eseguiti da un’unica mano, molti disegni sembrano il risultato del “cadavre exquis”, il celebre gioco surrealista che si proponeva di esplorare i contenuti dell’inconscio. “MacDonald ha detto più volte come Hieronymus Bosch sia la droga più forte che ha preso. La sua opera più celebre, “Il giardino delle delizie” , a cui si ispira infatti il titolo della mostra, fornisce già molti mezzi per perdersi. Nell’incredibile ricchezza di particolari, i disegni di MacDonald ci danno molti spunti per errare.
I vari simboli utilizzati, sia che siano vicini alla nostra cultura, sia che provengano da lontano, non hanno significazioni univoche, si mescolano come in un sogno”. Tuttavia, continua, “L’arte serve per interpretare quei caratteri della vita e della natura che restano nascosti, invisibili. Di fronte all’esuberanza delle fantasie che appare nei disegni saremmo tentati di rifugiarci in questo mondo onirico, ma per Damien MacDonald essere artisti è essere nel mondo e utilizzare la mente e lo spirito come filtri consapevoli. Il legame con la realtà esterna è fondamentale perché l’artista vuole dare forma al suo costante metamorfismo. Non solo i simboli antichi rivivono accanto alle immagini dei nostri giorni, ma umano, naturale e animale si confondono”. Il risultato sono corpi che compongono strane architetture o ibridi antropomorfi. Vediamo serie armoniose di movimenti e danze organizzate in figure geometriche composte con una certa musicalità. Ma ritroviamo anche immagini che fanno pensare al Marchese de Sade: orgie, sederi, bocche aperte; i desideri sono liberati.
Conclude la curatrice: “Paul Klee diceva che nell’opera d’arte i percorsi sono predisposti all’occhio dello spettatore che si accinge a esplorarla. Il percorso della mostra permette a ogni spettatore di trovare la propria strada, di scoprire ciò che gli è più affine, di ricordare le immagini che credeva dimenticate e che invece erano solo archiviate in quel grande computer che è la nostra memoria”.