Quest’anno, accanto alla mostra principale della 57. Esposizione Internazionale d’Arte Viva Arte Viva, curata dalla parigina Christine Macel, la Biennale di Venezia presenta 86 Partecipazioni Nazionali negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e sparpagliate nel centro storico della città lagunare. Tre i paesi presenti per la prima volta: Antigua e Barbuda, Kiribati – un minuscolo stato insulare nel mezzo dell’Oceano Pacifico – e Nigeria. Considerato che l’impresa di visitare tutti i Padiglioni, può risultare difficile ai più, ecco la nostra top 5 degli imperdibili.
Padiglione Germania
Sede: Giardini
“Un’installazione potente e inquietante che pone domande urgenti sul nostro tempo e spinge lo spettatore a uno stato di ansia consapevole. Risposta originale all’architettura del padiglione, il lavoro di Imhof è caratterizzato da una scelta rigorosa di oggetti, corpi, immagini e suoni”: queste le motivazioni della giuria internazionale che ha assegnato alla Germania il Leone d’Oro come miglior Partecipazione Nazionale, riconoscimento che ha trovato d’accordo molta dell’opinione pubblica, nazionale ed estera.
L’artista tedesca Anne Imhof (Gießen, 1978) accentua la severità dell’architettura di epoca nazista del padiglione, sostituendo gli ingressi con saracinesche e circondando il perimetro esterno con una recinzione e tanto di cartelli che avvertono della presenza di cani da guardia addestrati. All’interno, in un ambiente ancor meno rassicurante e accogliente, abita un gruppo di giovani donne e uomini. Se ne stanno immobili, in esposizione su pedane sopraelevate, vigili sul cornicione, rannicchiati sotto il contropavimento in vetro, persino arrampicati sul tetto. Pallidi, lo sguardo fiero e diffidente, vestiti come fossero appena usciti da un club underground di Berlino, si muovono con prepotenza tra il pubblico, occupano l’edificio come animali reclusi, mettono in scena un’umanità nuda e spietata, esponendo il visitatore ad un senso di turbamento e disagio. La performance – dal titolo Faust – dura circa 5 ore e, generalmente, ha inizio intorno alle 13.
Padiglione Italia
Sede: Arsenale
Dopo anni di figure pessime e mostre raffazzonate in fretta e furia, finalmente il Padiglione Italia si fa notare con un progetto espositivo ragionato e ambizioso, tanto che molti avrebbero scommesso che il Leone d’Oro stavolta sarebbe rimasto in casa.
Curata da Cecilia Alemani – direttrice del programma di arte pubblica sulla High Line di New York – la mostra Il mondo magico è un’esperienza che allerta i sensi, olfatto compreso, e sveglia l’immaginazione del visitatore sin dall’ingresso, quando gli occhi si adattano alla penombra e ci si ritrova nel laboratorio-fabbrica di Roberto Cuoghi (Modena, 1973), dove, giorno dopo giorno, vengono prodotti Cristi in croce in serie. Lo stampo è uno solo; cambia invece il composto, una miscela di materiale organico che determina risultati sempre diversi nella successiva fase di decomposizione delle sculture, che avviene all’interno di celle plastiche, accessibili ai visitatori.
Passando per la sala dedicata al video The Reading / La Seduta (2017) di Adelita Husny-Bey (Milano, 1985), sino all’inaspettata installazione ambientale di Giorgio Andreotta Calò (Venezia, 1979), il potere magico dell’arte si schiude e si rivela in tutta la sua sconfinatezza. Alchimisti della contemporaneità, i tre artisti rivendicano la capacità di trasformare la realtà e di evocare mondi impensati e meravigliosi.
Padiglione Francia
Sede: Giardini
Se una delle questioni della Biennale riguarda il come prolungare la vita dei padiglioni nazionali dalla sola settimana della vernice a tutti i 7 mesi di durata della mostra, Xavier Veilhan (Lione, 1963) trova una soluzione trasformando il Padiglione francese in una sala prove con studio di registrazione e ampia selezione di strumenti musicali. Progettato per offrire qualità sonore differenti di sala in sala, Studio Venezia è un luogo di produzione, sperimentazione e collaborazione tra compositori, produttori e tecnici del suono con differenti background, dalla classica all’elettronica, passando per il jazz sperimentale. Ogni giorno, sino al 26 novembre, il pubblico potrà assistere a sempre nuove sessioni musicali, tra improvvisazione e programmazione, immerso in un’architettura decostruita di legno, che, dichiaratamente, trae ispirazione dal Merzbau, la famosa installazione ambientale a cui il dadaista tedesco Kurt Schwitters lavorò dal 1923 al 1937.
Xavier Veilhan rinuncia al ruolo da titolare per condividere lo spazio espositivo con altri artisti e concedere al visitatore una pausa dai ritmi estenuanti della maratona biennalesca, in un luogo ovattato dove l’unico tempo che conta è quello perfetto della musica.
Padiglione Brasile
Sede: Giardini
A dettare le regole spaziali del Padiglione brasiliano è una grata inclinata che ricopre l’intera pavimentazione dell’edificio situato di fronte al ponticello attraverso cui si accede alla porzione est dei Giardini. L’artista sudamericana Cinthia Marcelle (Belo Horizonte, 1974) cita il paesaggio urbano e industriale del suo paese per costruire un ambiente scomodo in cui denunciare la crisi della società contemporanea brasiliana: dalla corruzione della classe politica, all’ondata di violenza nelle carceri locali registrata dall”inizio del 2017. Non una voce documentarista, la sua, ma poetica e sussurrata e, non per questo, meno lucida ed espressiva. Merita una sosta, il video che Cinthia Marcelle ha realizzato in collaborazione con il filmmaker Mata Machado.
Il Padiglione si è aggiudicato una menzione speciale come Partecipazione Nazionale “per un’installazione che crea uno spazio enigmatico e instabile in cui non ci si può sentire sicuri.”
Padiglione Nigeria
Sede: Scoletta dei Battioro e dei Tiraoro, Campo San Stae 1980
Per la prima volta nella storia della Biennale di Venezia, la Nigeria partecipa con un suo Padiglione nazionale, allestendo negli spazi settecenteschi della Scoletta, accanto alla Chiesa di San Stae, la mostra How About NOW?. Un titolo che impone un’urgenza, quella di affrontare l’adesso e di restituire la temperatura di un paese fragile, stretto tra un passato colonialista e un presente di violenze e incertezze.
Sono tre gli artisti a cui è stato affidato il compito di interpretare la Nigeria contemporanea: Peju Alatise (1975), Victor Ehikhamenor (1970) e Qudus Onikeku (1984). Nei loro interventi, che si differenziano tra installazione, scultura, video e danza, si legge una lucida presa di coscienza della memoria storica del paese come presupposto alla costruzione di un futuro libero e consapevole. Commoventi, le voci spensierate di bambine, che si diffondono dall’installazione Flying Girls (2016) di Alatise, al secondo piano della Scoletta, mentre è notizia degli ultimi giorni la liberazione di 82 studentesse nigeriane, rapite tre anni fa dai miliziani di Boko Haram…