Artisti che hanno abbandonato l’arte -definitivamente e non- per varie ragioni. Nella storia parecchi artisti hanno optato, a un certo punto della propria carriera, per un mondo diverso da quello artistico. Artsy ha approfondito sette casi di sette artisti diversi.
Marcel Duchamp
Probabilmente uno tra i primi artisti più provocatori nella storia dell’arte. L’atto più radicale di Marcel Duchamp è stato forse quello di abbandonare l’arte per dedicarsi al gioco degli scacchi.
Dipinti come Nude Descending a Staircase (1912) scandalizzarono il mondo dell’arte nel 1913. E readymade come Fountain (1917) – un orinatoio presentato come scultura – hanno cambiato per sempre il modo in cui interpretiamo l’arte. Successivamente però, nel 1918, Duchamp iniziò ad essere stufo di quel mondo. Complice anche la sua avversione per le avanguardie che stavano nascendo a Parigi. Decise così di smettere di dipingere. Sostenendo che non aveva mai avuto l’entusiasmo di un pittore professionista. Iniziò a giocare a scacchi per la maggior parte del suo tempo, partecipando anche a gare nazionali. Ricominciò solo in seguito a produrre arte segretamente, lavorando a quello che sarebbe stato uno dei suoi capolavori – Étant donnés (1946-1966).
Duchamp rimarrà per sempre il padre dell’anti-arte. Forse soprattutto per il fatto di aver trasformato il suo abbandono in un’altra forma d’arte.
Agnes Martin
Agnes Martin scomparve improvvisamente dal mondo artistico di New York nel 1967. Subito dopo che i suoi dipinti minimalisti creano scalpore tra galleristi come Betty Parson ed artisti quali Jasper Johns e Ellsworth Kelly. Martin era sempre stata un’artista abbastanza solitaria. Sfuggiva ai riflettori.
Dopo un periodo di pausa durato 18 mesi – mesi nei quali l’artista ha viaggiato per gli angoli più remoti degli Stati Uniti e del Canada – riprese a dipingere. Siamo nel 1971. Un suo amico sostenne che fu solamente la solitudine a riavvicinarla alla pittura. Interessante dire che, allontanandosi dal mondo dell’arte per un po’, l’artista evolse il suo lavoro a base grigio producendo dipinti più trascendenti e colorati. Un esempio è With My Back to the World del 1997. La sua arte diventò più forte, energica. Una scelta di allontanamento che le ha permesso di continuare a creare arte.
Sturtevant
Sturtevant è ricordata come un’audace precorritrice dell’appropriazione d’arte. O ripetizione, come preferiva descriverla. Reinterpretazione di quadri iconici. Basti pensare all’opera Warhol Flowers del 1969-1970.
Dopo aver studiato psicologia, si sposò ed ebbe due figli. Nel 1960 divorziò e cominciò a lavorare come artista. Frequentò persone come Robert Rauschenberg e Andy Warhol. Subì diverse accuse di plagio nel settore e ciò le creò qualche antipatia. Come l’avversione nei suoi confronti da parte di Claes Oldenburg.
All’inizio degli anni Settanta smise di dipingere, fino al 1985. Continuò poi a fare arte per tutto il resto della sua vita.
Lee Lozano
Lozano si affermò all’interno del mondo dell’arte degli anni Sessanta. Un mondo che era dominato da artisti uomini. Lei ne prese parte creando dipinti di macchine somiglianti ad organi sessuali. Alla fine di quella decade iniziò un’opera – Dropout Piece – il cui termine culminò con la sua uscita dal mondo dell’arte. Nonostante i suoi successi a New York, Lee Lozano non era certamente affascinata da quella che definì la vanità del mondo dell’arte. Creò così una serie di lavori concettuali intitolati Language Pieces (1967-1971). Una sistematica e feroce eliminazione dei fallimenti del sistema commerciale artistico.
Scrisse infatti nel suo diario del 1968 “Artist, critic, dealer and museum friends, in fact, almost everybody: I still smell on your bad breath the other people’s rules you swallowed whole so long ago.”
Questo sentimento di astio raggiunse l’apice con l’opera General Strike (1969). In cui documenta il suo ritiro dal mondo dell’arte tramite una serie di ultime apparizioni. Come “Last time at an opening: March 15. Last big party: March 15. Last museum visit: March 24…”
La sua ultima vera opera fu però Dropout Piece del 1972. Descritta dalla curatrice Sarah Lehrer-Graiwer come il miglior atto artistico e di tolleranza della Lozano.
I suoi lavori sono stati per lo più dimenticati. La sua influenza come artista minimalista e concettuale è resuscitata solo recentemente. In collegamento ad artisti come Vito Acconci e Adrian Piper, il cui lavoro fonde la critica istituzionale con una forte esperienza personale.
Charlotte Posenenske
Nel 1968, dopo quasi un periodo di dieci anni in cui mostrò le sue sculture minimaliste accanto ad artisti come Donald Judd, Carl Andre e Dan Flavin, Posenenske smise di fare arte. Era dell’idea che, sebbene lo sviluppo formale dell’arte progredisse, la sua funzione sociale fosse regredita. È difficile per me concordare con il fatto che l’arte non possa contribuire a risolvere gli intensi problemi sociali, scrisse nel 1968.
Charlotte Posenenske dedicò il resto della sua vita alla sociologia ma lasciò potenti opere e scritti che avrebbero influenzato la direzione di molta arte minimalista e concettuale. Indirizzandola verso una critica sociale ed istituzionale.
Cady Noland
Da sempre le sculture e le installazioni di Cady Noland sono state mosse dal suo disgusto per le tendenze mediatiche e l’ossessione di fama tipiche della cultura Americana. In una serie di opere stampò immagini di celebrità uccise o spaventate su metallo. Perforandole fino a cancellarle, o adornandole con bandiere americane. Fu continuamente interessata nel modo in cui le persone trattassero altre persone come oggetti. Questo sentimento crebbe sempre di più a contatto con l’avversione verso il mondo dell’arte commerciale. E la sua posizione come artista famosa all’interno di esso.
Il tutto culminò con il suo ritiro dalla scena artistica nel 1999. Da quel momento gallerie ed istituzioni hanno ancora esposto dei suoi lavori, ma senza il suo coinvolgimento.
Maurizio Cattelan
2011. Maurizio Cattelan va in pensione? Un’opera d’arte anche questa.
L’arte mi stava soffocando. Non riuscivo più a dormire di notte. Stavo preparando la mostra della mia carriera al Guggenheim di New York. Nel momento in cui ho detto basta ho cominciato a divertirmi.
Una pausa durata cinque anni un cui l’artista padovano si è dedicato interamente alla rivista d’arte Toiletpaper. Per poi riemergere, rinascere, con una grande retrospettiva parigina. Una finta pensione finita. Archiviata definitivamente – dopo il wc placcato d’oro installato nel bagno del Guggenheim di New York – dalla mostra Not Afraid of Love alla Monnaie de Paris.