Arianna. Un inedito coming of age nell’opera prima di Carlo Lavagna.
Arianna, primo lungometraggio di Carlo Lavagna, arriva sul mercato italiano dell’home-video il tre ottobre. Occasione ideale per recuperare una delle visioni più genuine e dirette che il cinema italiano abbia mai avuto sul coming of age e sulla sessualità.
>> Arianna, passato al Festival del Cinema di Venezia nel 2015 – dove ha concorso per il Queer Lion, poi assegnato a The Danish Girl – ha avuto una buona fortuna nel circuito indipendente statunitense, meno in quello italiano che l’ha sempre sfiorato senza mai concedergli l’attenzione che merita.
Al centro delle vicende Arianna – la cui voce narra la storia in prima persona – un’adolescente dagli enormi occhi blu, la pelle ambrata e un casco di ricci biondo cenere che la fanno sembrare una piccola e sfuggente divinità dei boschi (il volto è quello preraffaellita di Ondina Quadri).
È estate ed è proprio ai boschi che Arianna torna, insieme ai genitori, per raggiungere la vecchia casa di famiglia sul lago di Bolsena. È stata lì da piccola ma i ricordi sono quelli confusi, ovattati, quasi secretati della prima infanzia. Bisogna ricostruire tutto, un vero e proprio lavoro di ricerca cui si affianca e intreccia in maniera sempre più intima e urgente la comprensione del proprio piacere e della propria identità.Sarà il confronto con la cugina più piccola Celeste (Blu Yoshimi, un volto che il cinema italiano deve ancora imparare a sfruttare, è lei la vera icona queer del film) a innescare in Arianna la voglia di comprendersi, di rispondere alle domande su un corpo, il proprio, che non ne vuol proprio sapere di completare il percorso biologico verso la maturità dei caratteri sessuali femminili. Al contrario di Arianna, Celeste si ama, si riconosce come donna, aiutata da forme prorompenti e una sessualità compiuta e sperimentata, serena.
Arianna aspetta ancora il suo primo menarca e nasconde la sua esile e androgina figura in magliette e bermuda troppo grandi. Il padre medico la spinge a completare la sua cura ormonale e ad avere fiducia, arriverà anche per lei il momento di sbocciare.
Arianna è la storia di un coming of age ma è anche un’indagine sulla troppo spesso sottovalutata complessità della sessualità biologica e sulla ricerca della propria identità di genere. Carlo Lavagna evita del tutto la didascalia, il suo non è un film di genere, ma un’indagine personale, un racconto di formazione delicato e coraggioso.Come in ogni buona storia di formazione bisogna che il protagonista abbia la possibilità di confrontarsi con se stesso, senza l’ala protettrice dei genitori – che qui ha i modi trattenuti e inquieti della madre Adele e la disponibilità troppo a buon mercato del padre Marcello (Massimo Popolizio) – ed è così che Arianna decide di non rientrare in città con i genitori ma di rimanere da sola nella grande casa in campagna fino al loro rientro, qualche settimana dopo.
La bellezza di Arianna sta tutta nel racconto per voce sola della sua protagonista, un modo assai genuino, sicuro e delicato di rappresentare l’ansia del cambiamento fisico, la tensione sessuale, il dolore, l’inadeguatezza e la sperimentazione. Tutto ciò è ancora più arduo per Arianna che non riesce a comprendere il proprio corpo – perché è così acerbo e spigoloso?
Perché le mestruazioni non arrivano? Perché il rapporto sessuale deve essere così doloroso e privo di piacere? – per dare risposta a queste domande Arianna partirà per una piccola odissea personale fra ospedali, visite ginecologiche, persino un gruppo d’ascolto in consultorio.
Gruppo che nel finale accoglierà la presa di coscienza di Arianna – Io sono uno più uno che però è uguale a tre, o accetto di essere un errore o devo trovare una matematica mia – parole che hanno l’emozionante appeal di un manifesto.