“Le gallerie tedesche hanno il 70% di artisti tedeschi e il 30% di stranieri, da noi anche le gallerie italiane hanno una prevalenza di stranieri”. Una delle chiavi della debolezza del sistema italiano del contemporaneo: che emerge dalla chiacchierata con Ilaria Bonacossa in chiusura di Artissima, la prima edizione della fiera da lei diretta.
Qual era la prima priorità che ti eri posta? A fiera chiusa, credi di averla centrata?
La mia prima priorità era di spingere sull’identità sperimentale di Artissima, e secondo me ci siamo riusciti. Girando per gli stand, l’impressione che si ha è che davvero non vi siano oggetti d’”arredamento” per le case, ma opere d’arte. La gallerie hanno supportato progetti coraggiosi, ci sono una diversità e una qualità a mio parere molto alte. Un altro dei progetti che ha funzionato molto bene è stato il lavoro fatto sulla mappa della fiera: questa razionalizzazione degli spazi, che ricorda un po’ una città barocca, con vie parallele e grandi piazze, a detta di molti ha funzionato molto bene. Qualcuno ha notato che era possibile girare la fiera senza la mappa, e questo consentiva di dedicare più attenzione alle opere.
Sei soddisfatta anche delle presenze, specie dei collezionisti?
Siamo riusciti a portare un pubblico di giovani appassionati e collezionisti. I grandi collezionisti vengono sempre, ne sono venuti tanti quest’anno anche stranieri che si sono complimentati con me e di questo sono fiera; ma credo che l’obbiettivo di Artissima si sia realizzato nell’avere tanti giovani collezionisti, diciamo tra i 35 e i 50 anni, che per l’Italia significa essere ancora “giovani”, un nuovo substrato che fornisce linfa vitale necessaria a sostenere questo nostro ecosistema.
Cosa rispondi ai tanti che osservano che Artissima abbia negli anni perso la sua identità di fiera di ricerca, avvicinandosi progressivamente al mainstream?
Forse un po’ è vero, anche se io avevo notato qualche segnale positivo già dalla scorsa edizione: quest’anno abbiamo cercato di equilibrare molte scelte, assieme al comitato di selezione delle gallerie, con cui abbiamo molto spinto per le gallerie che fanno ricerca e che sostengono la carriera degli artisti. Io ho scelto di avere al mio fianco curatori giovani, free lance, per le sezioni curate della fiera: mi piaceva vedere al lavoro qualcuno che rischiasse, che non invitasse solo gallerie famose con artisti noti, ma anche players fuori dagli schemi conosciuti. La vera forza di una fiera come Artissima sta in questa libertà: è capitato con il comitato che arrivasse una application di una galleria che non conoscevamo, ma che presentava dai lavori di ottima qualità, e quella galleria è entrata. Ho parlato con una gallerista di Bogotà, che lavora con artisti storici sudamericani da noi pressoché sconosciuti: e lei mi ha detto che per lei essere qui conta per le vendite, ma soprattutto per creare rapporti con altre gallerie che altrimenti dalla Colombia faticherebbe ad avviare. Ora Persano è interessato ad un suo artista, Lia Rumma ad un’altra…
I premi assegnati ad Artissima sono andati solo ad artisti stranieri. Questo secondo te è un segnale della grande apertura internazionale della fiera, o è anche un segnale della stanchezza del panorama italiano?
Non direi, per esempio nella sezione “Disegni” Patrizio di Massimo è stato in corsa fino all’ultimo minuto per vincere il premio. Poi c’è il fatto che Artissima ha il 62% di gallerie straniere. E mentre all’estero, per esempio le gallerie tedesche hanno il 70% di artisti tedeschi e il 30% di stranieri, da noi anche le gallerie italiane hanno una prevalenza di stranieri. Dei 700 artisti in mostra, credo ce ne siano 500 stranieri e solo 200 italiani. Per questo le probabilità che i premi siano vinti da stranieri, anche a livello statistico, sono molto più alte…
Le fiere d’arte hanno ancora un ruolo centrale nel panorama del contemporaneo? Hanno un ruolo culturale, oltre che commerciale?
Le fiere hanno un po’ sostituito il giro del mondo delle biennali che si faceva nei primi anni 2000: oggi i collezionisti girano il mondo seguendo le fiere. Io credo che il sistema delle fiere stia andando benissimo: sono le gallerie che sono un po’ in crisi oggi. I collezionisti non vanno quasi più nelle gallerie, e questo ha messo un po’ in sofferenza un sistema: perché una fiera è un costo per una galleria. Molti arrivano a dire che a loro quasi converrebbe non avere più uno spazio fisico, e lavorare con gli artisti solo in chiave della partecipazione alla fiera. Poi, in questo mondo liquido, la fiera ha il vantaggio incredibile di regalarti tempo, una cosa preziosa anche per un miliardario: in 4 giorni vedi un panorama internazionale, nello stesso luogo incontri critici, curatori, artisti, galleristi, cosa che permette di farne un luogo di discussione, di sistema. In questo senso le fiere restano ancora importanti…
Buongiorno, sia Ilaria che ArtsLife non chiariscono se ci sono state più ombre che luci ; a mio avviso profonda notte, l’Italia (ArtsLife compresa) continua a non vedere che proprio dall’Italia é in corso la SFIDA DEL SECOLO, e questo é sorprendente, ma é proprio l’opera di Agnetti che ricorda ad Ilaria ” Sempre raccontava solo ciò che aveva dimenticato”. SA