L’annosa contesa legata alla restituzione di un nucleo di opere provenienti da un monastero di Sijena sale di livello e diventa strumento di lotta agli indipendentisti catalani in vista delle elezioni del 21 dicembre
Che l’arte occupi per giorni le prime pagine di giornali e newsmagazine web accade assai di rado; ma ancora più di rado accade che una questione legata all’arte si trasformi in strumento nel quadro di un’accesa battaglia politica. È quel che succede ora sull’asse fra Spagna e Catalogna, dove lo scontro notoriamente alimentato dal referendum indipendentista della regione autonoma sta salendo di livello in vista delle elezioni anticipate convocate dal premier (spagnolo) Rajoy per l’ormai prossimo 21 dicembre. Una contingenza politica che ha trasformato in “guerriglia” culturale quella che era una normalissima contesa attorno alla restituzione di un nucleo di opere d’arte da un museo al luogo di provenienza, che peraltro si trascina da decenni senza particolari sussulti.
Nella fattispecie si tratta del Museo de Lérida, chiamato a rispondere alle pretese del monastero di Villanueva de Sijena, ricchissima struttura risalente al XII secolo ma progressivamente entrata in crisi, fino ai gravi danneggiamenti subiti negli anni ’30 del secolo scorso nella guerra fra repubblicani e franchisti. Con conseguente trasferimento di consistenti nuclei di opere verso altre strutture culturali, prevalentemente catalane, vista la collocazione geografica del monastero. Già, è proprio qui che si giunge al vero nocciolo dell’attuale questione: perché Sijena, pur distante solo una settantina di chilometri dalla catalana Lérida, appartiene territorialmente all’Aragona, e nelle more della contesa indipendentista il governo centrale ha eletto la contesa a simbolico braccio di ferro con i seguaci di Puigdemont.
Conta poco in questa sede disquisire sullo specifico delle opere, un gruppo di 97 manufatti (dipinti, casse sepolcrali), non certo capolavori, tanto da restare per anni in un piccolo museo di provincia. E conta poco anche seguire i termini della diatriba, con il museo pronto a documentare di averle regolarmente acquistate dalle suore titolari del monastero e di averne negli anni curato il restauro e la valorizzazione, e il ministero della cultura certo invece che la transazione sia stata illegale (l’Aragona non ne fu avvertita, e non potè esercitare la prelazione) e che quindi le opere vadano restituite. Ma conta invece constatare l’escalation di tensione scatenata dalle resistenze del museo: che alla fine ha ceduto ad una mobilitazione che ha visto scendere in campo la polizia con blindati in assetto antisommossa arrivati per prelevare le casse alle 4 del mattino, in un crescendo di proteste alimentate da un gruppo di 500 persone al grido dell’”espoli” (spoliazione). Un’improvvisa urgenza di ritornare in possesso di opere minori (urgenza non avvertita con altri più importanti dipinti provenienti da Sijena, ed esposti ad esempio al Prado) che tradisce la strumentalizzazione della vicenda in chiave politica: un lato grigio nella contesa che forse poteva anche essere risparmiato ai già disorientati elettori…