Inchiesta fra critici e storici dell’arte, artisti, galleristi, collezionisti, operatori culturali dicono la loro sulle ultime novità e sul futuro del museo romano Macro
A rivitalizzare un fine anno che per il mondo dell’arte pareva presentarsi con gli ormai abituali toni sommessi sono giunte le deflagranti novità per la scena museale romana, annunciate con una conferenza convocata quasi in segreto il 21 dicembre dal Vicesindaco con delega alla Crescita Culturale di Roma Luca Bergamo. Il titolo? Un nuovo Macro per il sistema dell’arte contemporanea di Roma. I contenuti della conferenza e del comunicato poi emesso ve li abbiamo raccontati con la prima puntata della nostra inchiesta con la quale abbiamo raccolto una serie di opinioni di critici e storici dell’arte, artisti, galleristi, collezionisti, operatori culturali, che ha visto intervenire Duccio Trombadori, Pablo Echaurren e Massimo Mazzone. Poi sono intervenuti Barbara Martusciello, Antonio Martino e Bruno Ceccobelli, successivamente Bruno Di Marino, Beatrice Bertini e Davide Dormino e poi ancora Giovanni Gaggia, Marco Baravalle e Paolo Martore. Ecco un nuovo step, ma tenete d’occhio gli articoli dei prossimi giorni…
Alberto Dambruoso – Critico e Storico dell’Arte
Chiamato in causa sulla questione del Museo Macro di Roma, oggetto di un acceso dibattito in rete nelle ultime settimane, esprimo la mia opinione che, premetto è negativa solo nei confronti dell’istituzione comunale.
Parlare del MACRO mi sta particolarmente a cuore, avendolo visto nascere. Alla fine degli anni Novanta avevo vinto uno stage all’allora Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma divisa nelle due sedi di via Crispi e di via Reggio Emilia (sede del MACRO a Porta Pia) e decisi di realizzare la mia tesi di laurea partendo dalla mia esperienza diretta, proprio sul MACRO, nell’ottica di diventare un giorno direttore di Museo. Sono passati diciotto anni da quel giorno e ho visto alternarsi all’interno del MACRO direttori di tutti i tipi ma l’unico di cui ho stimato sinceramente il lavoro è stato Danilo Eccher, il solo ad essere riuscito, a mio avviso, a dare un volto internazionale, seppur per pochi anni, al Museo.
Il MACRO infatti si era prefisso fin dalle sue battute iniziali di competere con i grandi Musei italiani come Il Pecci, il MADRE, il MART, realizzando mostre di carattere internazionale. Ma a parte qualche mostra di rilievo organizzata negli ultimi quindici anni certamente il Museo ha disatteso ampiamente le aspettative. La colpa di questo stato di cose è a mio giudizio quasi esclusivamente dei politici che si sono avvicendati negli ultimi diciotto anni sul gradino più alto del Campidoglio e dei loro relativi assessori alla cultura che non sono stati in grado né di scegliere dei direttori all’altezza né di garantire dei fondi adeguati alla vocazione del Museo, che ricordo ha avuto un ampliamento consistente in anni recenti ad opera dell’archistar Odile Decq.
Dopo un vuoto alla direzione di quasi due anni e dopo il mancato rinnovo a Pietromarchi, che resta di fatto l’ultimo direttore del Museo, il Comune tuttora brancola nel buio e nomina al posto di un critico d’arte, di uno storico dell’arte o se vogliamo di un curatore d’arte che abbia almeno un’esperienza acquisita sul campo per chiari meriti, un antropologo per curare un progetto sociologico da svilupparsi all’interno del Museo senza che siano previste delle mostre. Personalmente sono del parere che le cose vadano giudicate alla fine o quantomeno quando almeno tre quarti del percorso sia stato fatto e per questo auguro il meglio a Giorgio De Finis, persona perbene che ho avuto modo di conoscere personalmente. Il problema però a mio avviso rimarrà finché non verrà nominato un nuovo direttore. I Musei devono avere alla loro guida delle figure titolate per dirigerli. Quelli che dicono che è ora di andare contro il sistema non capiscono che prima di tutto vanno contro loro stessi. Senza una credibilità acquisita nel tempo grazie al costante lavoro svolto con gli artisti, attraverso la curatela di mostre, di cataloghi, di talk e il confronto e il riconoscimento da parte di altri colleghi, non si va da nessuna parte. Diventano slogan da stadio che durano giusto il tempo di una partita tra scapoli e ammogliati.
Micol Veller – Operatrice culturale
Non conosco De Finis pertanto non posso e non voglio buttarmi su polemiche sterili né dare giudizi in anticipo su qualcosa che è stato solo in parte enunciato ma che è tutto da realizzare. Dico solo che il Macro, così come lo abbiamo conosciuto e vissuto sino a poco tempo fa, appartiene alla storia di tutti noi che operiamo nell’arte a Roma, per questo ci sta tanto a cuore, è il nostro luogo. Mi ricordo quando, forse nel 1989, la dismessa Birreria Peroni fu destinata ad ospitare la Galleria Comunale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma (era lungo da scrivere!). Ricordo prima la direttrice Giovanna Bonasegale che organizzò le prime mostre e la collezione con nuove acquisizioni e successivamente la chiusura per il restauro con il progetto di Odile Decq, fino alla felice direzione di Danilo Eccher che lo rese il principale punto d’incontro dell’arte a Roma nei primi anni del 2000. Quando nel 2002 arrivò anche il Mattatoio, uno dei posti più belli e più adatti ad ospitare arte e fare sperimentazione, sembrò ancor di più l’inizio di nuove avventure di cui con le compagne di lavoro Giuliana Stella, Maria Bonmassar e Paola Cuervo, cinque anni prima, fummo le pioniere. Con il nostro progetto RiciclArt – Arte e riciclaggio al Mattatoio, gli spazi della Pelanda ospitarono per la prima volta nel 1997 una grande mostra con anche una sezione didattica dedicata alle scuole. Con sponsorizzazioni tecniche facemmo bonificare l’area dall’Ama, portare la luce dall’Acea e noi stesse con gli artisti sistemammo le pareti e le sale. Ecco se posso esprimere un parere devo dire che il Macro Testaccio è il luogo delle visioni e potrebbe essere, quello sì, davvero una sorta di “asilo” delle idee.
Lorenzo Canova – Storico dell’Arte e Docente Università del Molise
Ho molta stima di Giorgio de Finis, l’ho anche invitato a tenere una lezione nella mia università e gli sono grato per quello che ha realizzato al MAAM, che si trova in una zona di Roma dove sono cresciuto e vivo, tra l’altro a pochi metri da Metropoliz mio padre, che era un artista, ha avuto lo studio per più di cinquant’anni. A proposito del MACRO, vedo in modo positivo il progetto di de Finis; mi sembra molto valida la sua idea di valorizzare l’intera collezione del museo e di creare una nuova forma di coinvolgimento collettivo, non solo degli artisti. Nonostante tutto, il dibattito che si è creato intorno al MACRO in questi giorni mi pare dia conto delle grandi energie che si sono risvegliate nella nostra amata e spesso sonnolenta città, dialettiche che potranno trovare così all’interno del museo una canalizzazione forte e proficua. Uno degli elementi portanti delle avanguardie del resto era la volontà di fare confluire l’arte nello spazio della vita e mi pare che questo sia uno dei nuclei più significativi del progetto di de Finis. Spero che gli artisti, tutto il mondo dell’arte e il pubblico di Roma (ma non solo) sappiano raccogliere in modo costruttivo le sollecitazioni di un progetto così radicale.