Bruno Munari (1907-1998) è uno degli artisti più significativi del novecento italiano. Poliedrico e innovativo, viene raccontato dall’esposizione Creatore di forme. Alla Galleria 10 A.M. ART di Milano, fino al 23 giugno.
“Quando qualcuno dice: questo lo so fare anch’io, vuol dire che lo sa rifare, altrimenti lo avrebbe già fatto prima“
Bruno Munari
Bruno Munari è stato un delle figure più iconiche e geniali dell’Italia del XX secolo. Artista ed intellettuale dalla mente finissima è riuscito a spaziare in campi disparati, dall’arte al design, dalla grafica al disegno industriale. È proprio la sua trasversalità ad averlo proiettato nella cerchia ristretta di chi è stato in grado di condurre la cultura italiana, ma non solo, verso il futuro che lui prima degli altri ha intravisto.
La mostra Creatore di forme, curata da Luca Zaffarano nella sede milanese della Galleria 10 A.M. ART di Christian Akrivos, racconta le sue sperimentazioni artistiche attraverso alcune delle sue opere più rilevanti. Su tutte Concavo-Convesso, mai più esposto a Milano dopo l’antologica di Palazzo Reale del 1986, ma anche una Macchina Inutile del 1956, alcuni Negativi-Positivi su tavola dei primi anni ’50, un esempio di pittura cromo-cinetica realizzata con filtro Polaroid e altri importanti lavori.
Luca Zaffarano ci introduce grazie alle sue parole nel mondo complesso e sperimentale di Munari.
1) Bruno Munari è stato artista e designer, ma anche scrittore e grafico. È presente in questa mostra un’opera in grado di sintetizzare le diverse spinte creative di questa figura così poliedrica?
Bruno Munari è come dice lei un artista dalle mille facce. Una buona definizione, che deriva da un lessico futurista, è quella di “artista totale”. Come artista, per esempio, è stato futurista da giovanissimo, astrattista e cinetico in età più matura, ma anche molto concettuale in altri momenti (ne ricordo uno fra tutti: la sala personale “olio su tela” alla Biennale del 1986, dove su grandi teli sperimentava le macchie di olio di tutti i tipi, di lino, di canapa, di teak, con tanto di scheda tecnica, e questo per rispondere alla domanda che molti collezionisti, a quel tempo, facevano in galleria: «perché, maestro, non ci prepara qualche olio su tela?»). Nell’ambito del design allo stesso modo è stato art director, graphic designer, industrial designer, teorico, scrittore, docente. In mostra per capire questa figura così varia ci sono alcune opere molto al limite, in cui le parole perdono ogni semantica e diventano illeggibili, puri elementi grafici all’interno di una composizione più complessa. In particolare una di queste, del 1956, è stata definita da uno dei più noti galleristi italiani troppo “grafica” per l’ambito artistico. A mio parere invece si tratta di un’opera molto raffinata, un collage che prelude a un ciclo di lavori intitolati “Ricostruzioni teoriche di oggetti immaginari”, dei quali parla in alcune pagine del libro “Arte come mestiere”. Munari per alcuni lavori usava la definizione di “oggetti a funzione estetica”, in un certo senso evidenziando con la parola “oggetti” e non “opere” che il suo modo di esprimere un pensiero poetico era imperniato sulle tecniche industriali, un approccio che, in fondo, deriva ancora dall’idea futurista di artista totale o dell’artista come produttore tipica del costruttivismo russo.
2) Concavo-Convesso è probabilmente uno dei lavori più celebri dell’artista. All’immediato impatto delle sue qualità estetiche non sempre lo spettatore riesce ad accostare un adeguato, anche se non indispensabile, apparato critico. Quali possono essere i concetti chiave utili a comprendere al meglio quest’opera?
Il “Concavo-Convesso” è forse l’opera che più mi ha impressionato fin dal primo incontro con il lavoro di questo artista. Ricordo l’ambiente creato nella mostra antologica di Palazzo Reale a Milano nel 1986. Nella semi-oscurità c’erano queste forme morbide e naturali, uno strano oggetto fluttuante nello spazio che disegnava film astratti sulle pareti, ideato nel 1947, poco prima che Lucio Fontana esordisse con il suo ambiente nero, molto barocco per la verità. Getulio Alviani ne ha scritto con grande intelligenza soffermandosi sulle tante caratteristiche: forma, movimento, utilizzo della luce, leggerezza, programmazione, imprevedibilità. Ha così tante peculiarità che ritengo sia una delle sue opere più riuscite. Munari parte dalla distorsione di una forma geometrica di base, il quadrato, per costruire una forma indefinita, quasi fluida, grazie alla quale è possibile creare un ambiente in cui si attuano momenti di trasformazione di una immagine. Munari cerca di superare la staticità del quadro o della scultura attraverso il movimento reale o percepito, l’ambiente interattivo, immersivo, la molteplicità delle forme.
3) Dagli esordi futuristi alla realizzazione delle Macchine, il movimento è sempre stato al centro della poetica di Munari. Sembra addirittura essere un elemento trasversale, in grado di essere declinato tanto nella scultura quanto nella pittura. La mostra come riesce a raccontarci questi passaggi?
Spero che la mostra riesca a raccontarlo nei tanti modi in cui Munari ci ha provato, nella prima sala “Macchina Inutile” e “Concavo-Convesso” si muovono creando, con le loro ombre, astrazioni molto cinematografiche. La “Macchina Aritmica” del 1951, una volta che viene caricato il meccanismo a molla, sussulta buffamente, sventolando anche una piuma ed una bandierina. Nelle “Xerografie Originali” il movimento è quello che viene catturato durante la scansione, attraverso un atto creativo irripetibile, legato al momento. Nei “Negativi-positivi” il movimento è percettivo, con il “Polariscop” invece è la scomposizione della luce con il filtro Polaroid che ci consente di creare a piacere, in modo del tutto interattivo, pitture cromo-cinetiche. Poi ci sono le “Sculture da viaggio”, già pronte per la partenza, basta metterle in valigia. Insomma credo ci sia materiale a sufficienza per divertirsi e fare qualche ragionamento su un’arte non banale.
4) Dal movimento, alle forme. Ordine e caos rappresentano una dicotomia che si rincorre continuamente nei lavori dell’artista. Le sue opere sembrano invitare ad una creazione controllata, ad un’ispirazione ragionata capace di modellare le forme in soluzioni quasi mai definitive. Risulta scorretto applicare questa idea, ad esempio, alle Macchine Inutili?
Si, per Munari il funzionamento della Macchina va in qualche modo “rotto”, altrimenti risulta noioso, anche la programmazione va bilanciata con la casualità, così come la ragione va compensata dalla fantasia. Nel caso delle “Macchine Inutili” basta un leggero colpo d’aria, la presenza di uno spettatore, una alterazione termica affinché gli elementi, leggerissimi, si mettano in movimento mostrando una vita quasi autonoma. Le “Macchine Inutili” vengono classificate, ragionevolmente, nella corrente dell’arte cinetica, ma hanno anche molti contatti con i fenomeni naturali. La natura per molti artisti è stata fonte di ispirazione e in particolare Munari è sempre stato interessato a mettere in relazione le forme con i processi evolutivi, ovvero capire come una forma naturale evolve, in funzione dei vari condizionamenti ambientali, e perché assume una certa struttura.
5) In quanto curatore si sarà certo trovato di fronte a produzioni artistiche di difficile interpretazione, soprattutto in una realtà contemporanea dove spesso l’apparenza sovrasta il contenuto. Quanto valore aggiunge, dunque, il supporto metodologico e contenutistico che Munari ha sempre allegato, tramite scritti e pubblicazioni, alle sue opere d’arte?
Questo è un aspetto molto interessante. Munari è rilevante, credo, anche per il suo pensiero, espresso in molti libri, leggeri in superficie ma profondi nella sostanza. Credo che visitare una mostra di Munari provochi non solo stupore o divertimento, ma anche e soprattutto apprendimento. Munari è sempre fortemente didattico anche quando parla delle sue opere, non ha mai nascosto, a differenza di tanti altri artisti, scoperte, tecniche, processi, è un libro aperto, direi che il suo paradigma è open-source. E un po’ come nella scienza, dove tutto è ben chiaro, discutibile, migliorabile. E’ un approccio molto generoso, direi. In questo modo la sua opera assume anche una funzione divulgativa e non solo esperienziale.