Giovedì 12 luglio 2018 al Glyptothek Museum di Monaco di Baviera ha inaugurato la prima mostra personale di Fabio Viale in un museo tedesco. Un progetto monumentale, esteso anche nell’antistante Königslpatz, che vede collocata, per la prima volta in assoluto nella sua storia, un’opera d’arte contemporanea. Ecco tutte le immagini e la presentazione in anteprima
L’arte è sempre in qualche modo ricerca di un equilibrio perfetto tra forma e contenuto.
Il virtuosismo, in sé, non basta. Come oggi, però, non sembra bastare nemmeno il contenuto senza una forma estetica che attragga, preferibilmente “instagrammabile“.
Delicato tuttavia è il confine e l’equilibrio, appunto, fra i due estremi.
Per questo, molti tentativi di rifare l’antico ci appaiono ormai come calchi accademici mal fatti, freddi, del tutto anacronistici a confronto con la nostra percezione veloce di oggi. Ma, al contempo, con uno “sguardo da storici dell’arte” guardiamo criticamente alle scintillanti e colorate installazioni monumentali che dominano le piazze delle capitali moderne, come i Baloons di Koons.
Eppure, lo stupore estetico esiste ancora. Ed entrando in una gipsoteca, come quel magnifico tempio della Glyptothek di Monaco, è inevitabile rimanere estasiati, catturati, dalla bellezza della forma simbolica senza tempo. Poco importa se sia una copia. Il giudizio rimane sospeso, nello spettacolo estetico che cattura.
Questo pare sia però lo stesso stupore che riesce ad esercitare ora anche il monumentale Lacoonte di Fabio Viale davanti alla Glyptothek di Monaco, a dominare la piazza della città, storico luogo di incontro civile e culturale, e per la prima volta apertosi al contemporaneo, con un progetto di proporzioni internazionali che si estende dal museo alla piazza, e realizzato con il supporto della Galleria Poggiali.
E’ appunto, come dicevamo all’inizio, tutto un problema di equilibrio, misura, ma anche di forma e di senso.
La cosiddetta (assai generalmente) “statuaria classica”, è emblema di questo equilibrio, di forma e contenuto. Proprio per questo è ancora capace di lasciarci ammaliati, oggi forse più di sempre, nel suo contrasto stridente con la nostra estetica piatta da schermo, della percezione veloce e dell’assoluta negazione della contemplazione.
Le statue, in qualche modo, ci obbligano invece ancora alla contemplazione, ponendosi e imponendosi di fronte a noi, come effigi o ombre del passato, ma con la nostra stessa dimensione spaziale, ancora presenti nel presente, davanti a noi che le guardiamo.
D’inevitabile impatto, allora, è quando l’arte statuaria informa un confronto dialettico fra passato e contemporaneità, e quando fra i due si crea un stridente cortocircuito. Proprio per questo risulta potente il confronto del Lacoonte tatuato di Viale, con il tempio di purezza Neoclassica della Glyptothek, scrigno della bellezza del nostro glorioso passato, oggi uno dei musei tedeschi più frequentati e conosciuti, grazie alla sua ricca collezione, tra cui spiccano capolavori assoluti come il Fauno Barberini (220 a.C.).
Accolto l’invito del Glyptothek Museum di Monaco di stabilire un dialogo tra epoche nel onfronto fra opere in marmo e le loro differenti poetiche, l’artista ha esposto nuove versioni di lavori rappresentativi della sua carriera: 11 opere, per lo più di grandi dimensioni, (tra le altre Star-Gate, Aereo, Orbitale, Nike di Samotracia, Infinito, Door Release, Venere Italica, Anchor), offrono una sintesi perfetta dell’ l’intero terreno di indagine di Viale, da sempre intento ad esplorare la possibilità di recupero di un’arte antica come quella della scultura, e della sua storia, sia tecnica che iconografica, attualizzandola però sempre tramite uno scarto semantico e percettivo spiazzante che la ravviva di nuovo senso.
Per Viale, infatti, non si è mai trattato di copiare accademicamente i modelli del passato.
La sua arte sta piuttosto nel ricrearli in modo sentito, aldilà di ogni vuoto formalismo, ovvero rimpersonando lo stesso spirito dell’artista originario nei vari passaggi tecnici, provocando poi scarti, spiazzamenti, inversioni di senso.
Quella di Viale, possiamo dire, che sia un po’ la tecnica del remake e dell’appropriazione tanto attuale oggi, ma in realtà da sempre propria dell’arte. Qualcosa di simile, ad esempio, a quanto sperimentato da Gus Van Sant nel rifare al dettaglio Psycho di Hitchcock, ma propria anche di altri artisti come Douglas Gordon (24 h psyco, Bootleg Empire..), Pierre Huygen (“Remake” 1995..) o Richard Prince quando si appropria addirittura di pubblicità fotografandole.
Nel caso di Viale si tratta di un remake plastico, inteso contempo però anche come una verifica della pratica scultorea, dei suoi limiti, e della sua validità ancora oggi, compiuta a partire dal confronto con un modello esemplare ripetuto attraverso una dominio della tecnica e della materia indiscutibile.
Se ci pensiamo, il Rinascimento stesso si è nutrito in realtà dell’emulazione e della reinvenzione dell’antico, come ci dimostra la storia di statue quali appunto il Lacoonte o l’Apollo del Belvedere, che hanno ispirato i più grandi artisti del tempo, primo fra tutti il genio del marmo Michelangelo. Artisti estasiati ed ispirati in realtà da opere che erano già copie, d’età romana e in candido marmo, di originali greci in marmo spesso stuccato e colorato o di bronzo parimenti arricchiti di cromie accese di smalti e paste vitree.
Per questo, come afferma anche Sergio Risaliti nel suo testo critico che accompagna il catalogo, le opere di Viale ci chiedono di valutarne il virtuosismo secondo “la scala di Wittgenstein”, cioè come lo strumento necessario per salire in alto, ma anche quello da abbandonare appena giunti in cima, per produrre poi uno scarto fra originale e reinvenzione.
Nell’opera di Viale il fascino universale e senza tempo dell’iconografia classica incontra, e si contamina, dunque, con la livida espressività del contemporaneo, collocandosi così non in un “passato ideale”, ma sulla strada di un presente sempre più smarrito. E che proprio per questo ha bisogno forse oggi confrontarsi con la solidità della sua identità storica/culturale, e soprattutto con ciò che di essa è resistito al tempo.
Viale, del resto, non è nuovo al confronto con importanti modelli del passato, ad esempio nel scolpire repliche di sculture classiche, come quella del celebre frammento del dito di Costantino o del Torso del Belvedere. Dal marmo, sia bianco di Carrara che nero del Belgio, sono però nati anche oggetti di uso comune, come pneumatici, i nuovi oggetti del culto del consumo contemporaneo. Altre volte invece sono “Icone di Culto” assolute dell’arte, come la Gioconda, che si fanno effimeri simulacri di fintopolistirolo, che ne denuncia l’assoluta assenza di consistenza, anche se di pesante marmo.
Il monumentale marmo di Viale che domina la piazza di Monaco però, forse più di tutti, si richiama esplicitamente alla statuaria classica, nella scelta di un soggetto che era stato considerato di essa massimo emblema da Wilnckelmann, il quale proprio nel gruppo del Lacoonte vedeva la massima incarnazione di quella tanto esaltata “nobile semplicità e quieta grandezza”.
Il Lacoonte, seppur soffocato dai serpenti che lo serrano famelici nella loro morsa mentre cerca di salvare disperatamente la prole, come vuole la tradizione virgiliana, riesce infatti a comunicare le proprie sofferenze in modo equilibrato, con compostezza stoica “ Come la profondità del mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l’espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un’anima grande e posata “(Wilckelmann)
L’urgenza delle passioni superata dell’epurazione dello scolpire la forma, per sublimarla all’eterno. L’idea massima della scultura, ideale neoplatonico, e michelangiolesco, della perfezione della forma.
Il Lacoonte però, si dimenticava (o tralasciava volontariamente) Wilckenmann, era in realtà il prodotto già di una società in crisi, di una grecità lontana ormai dall’età d’oro della polis , e già nei tumulti della resistenza ellenistica. Il Lacoonte nelle sue esasperate torsioni riflette l’inquietudine di un’età che avverte ormai prossimo il crollo di ordini e valori secolari, ma è anche emblema di una grande cultura rivendicata tra tempests e falsa tranquilliatas di una civiltà ormai dispersasi e confusasi in un impero più grande, sovranazionale e di un re-dio.
Lo testimonia l’espressione dolorosa del viso tormentato, la psicologia caricata e amplificata dalle torsioni estreme del corpo di un complesso già teatrale, come tipico delle opere del “barocco ellenistico, e per questo, non a caso ( ma probabilmente non consci delle vere ragioni) apprezzate anche nel pieno neoclassicismo: queste diverse epoche storico/artistiche, con le relative caratteristiche, sono state in realtà tutte sintomo e prodotto di una crisi in atto, e nei loro caratteri e soggetti, spesso espressione di un individualità che vuole fuggire ed evadere dalla morsa una realtà soffocante, deludente, per mondi alternativi.
La crisi della polis dell’età ellenista, la crisi del potere indiscusso della verità della Chiesa cattolica, la crisi dl’ancien regime e dell’illuminismo conseguente. E la crisi di valori e di identità nazionali, politiche, culturali e individuali, di oggi, non sono così lontane.
Il marmo delle statue di Viale è concepito come soggetto reale nato nella contemporaneità a confronto con il suo grande passato, proprio per questo non ha quel candore d’illusione della classicità Wilnckelmanniana, ma è in realtà molto più vicino alla realtà storica, ricoprendosi nuovamente, come era appunto nelle piazze dell’Antica Grecia, dell’energia della policromia dionisiaca della vita, della vera anima dionisiaca della civiltà greca, dove il colore e l’atto artistico in generale era in realtà celebrazione della sensorialità e della vita.
Se un antico greco potesse osservare uno squarcio delle nostre città cadrebbe probabilmente in depressione, davanti ad un’epoca dove la freddezza formale e l’azzeramento concettuale del lavoro manuale ha spinto anche l’arte contemporanea ad apparentarsi più con il discorso verbale e la filosofia, con l’idealismo e il formalismo simbolico, o viceversa convertirsi in design e artigianato decorativo. Le nuove tecnologie, inoltre, azzerano la distanza tra passato e presente, schiacciando il tempo in un piano orizzontale, di eterno presente senza futuro, che ha perso memoria del proprio ricco passato.
Le pelli dei marmi di Viale, in dialogo proprio con esso, si ricoprono invece ancora dei colori della contemporaneità, dei suoi simboli, ma anche anche delle sue impurità, delle sue escoriazioni di iconografie effimere, di una ritualità simbolica ormai esaurita del tatuaggio diventato mero estetico ornamento. Nelle vene delle muscolose anatomie perfette scorrono così spesso i detriti della nostra cronaca (come nell’ultima provocatoria opera Lucky Hei, nella Galleria Poggiali di Milano) che rianimano il significato universale delle vicende racchiuse in quei corpi simbolici, capaci di narrarci qualcosa anche del nostro oggi.
Avvicinandosi al complesso monumentale si può infatti riconoscere il tatuaggio sul corpo di Laocoonte, che rappresenta alcuni passi dell’Inferno di Dante, secondo l’interpretazione del dipinto di Giovanni di Modena conservato nella Chiesa di San Petronio a Bologna, e rafforza così la qualità maniacale della resa scultorea di Fabio Viale, ma soprattutto la necessità di stabilire connessioni culturali universali, che attraversano le epoche, fino ad arrivare vivide al nostro presente. Le violente scene di punizione infernali di questa versione sono infatti famose perché vi si trova anche Maometto seminudo,avvolto dalle fiamme e seviziato da feroci demoni: Viale apre così, sulle pelli del marmo levigato, un discorso ardente ancora oggi, che concerne la punizione e colpa, la giustizia divina e il conflitto religioso, mirando far riflettere sull’odio che perseguita gli esseri umani e di cui le società non riescono a liberarsi.
E’ questa, dunque, la potente poetica di Viale, dove l’assoluto virtuosismo formale frutto di un’abilità scultorea eccellente, non si sostituisce mai al contenuto. Aldilà di un apparente “facile” reinterpretazione kitsch di soggetti della storia dell’arte, c’è un recupero invece delle sue potenti iconografie volto restituire loro un valore simbolico ancora attuale, nell’interazione con il nostro presente.
Per Fabio Viale il lavoro artistico ha valore solo e quando forma e contenuto si ritrovano allineati, quando si giustificano e completano a vicenda, perché solo così è possibile rinnovare nell’arte un senso e una funzione di portata neo-umanistica, e quindi un significato universale che permette di trascendere poeticamente la pura dimensione estetica del manufatto, o quella comunicativa del discorso.
L’artista è però consapevole di come soprattutto nell’assuefazione a stimoli visivi d’oggi, un confronto dialettico e critico con un oggetto, può nascere solo dalla non corrispondenza tra codici, abitudini e la nuova esperienza, che crea così spiazzamento. Viale cambia per questo le misure, sconvolge il materiale e le consuete iconografie ad esso associate, aprendolo a nuove capacità simboliche.
Esempio emblematico in mostra di ciò anche Star Gate, una scultura che rappresenta nient’altro due cassette di plastica della frutta accoppiate, ma che nel marmo arabescato di oltre due metri e cinquanta si trasformano in una cella che anche nella reinvenzione semantica del titolo, può alludere a viaggi nell’oltremondo, a un percorso possibile di trasmutazione fisica e di spostamento in dimensioni fuori del tempo e dello spazio che conosciamo, a cui la scultura può condurci.
L’opera ancora una volta è aperta, perché la decifrazione del messaggio dipende dalla posizione che assumiamo nei suoi confronti, sia storica che umana.
Con questa personale Viale rinnova così in grande il suo dialogo con la storia della scultura e l’intera storia dell’arte, nell’intento di ancorare ad essa la propria opera, e dargli così una pari capacità di potenza simbolica universale, da ravvivare nell’interferenza con le simbologie e l’immaginario dell’oggi, per una diversa solidità e sensorialità dell’arte contemporanea, a contatto con la propria realtà attuale.
Come dice anche il testo di Sergio Risaliti “Il fatto straordinario di questa operazione è di creare un monumento anticlassico e classico ad un tempo in un luogo di grandissimo valore simbolico e memoriale come Königslpatz. D’altronde se l’artista vuole conquistare una posizione di rilievo nel dibattito contemporaneo e farsi apprezzare fuori dal ristretto circolo degli addetti ai lavori deve tornare a creare monumenti, cioè opere che possano scuotere le coscienze, proponendo immagini universali dal significato aperto”.
Se siete di passaggio per Monaco questa estate, direi che è impossibile mancare una visita a questo luogo d’incanto e a questa mostra di Viale, che si conferma uno dei pochi grandi artisti connazionali capace di rinnovare efficacemente la grande tradizione dell’arte scultore italiana, con una scultura capace ancora di farsi monumentum del momentum contemporaneo.
Informazioni utili
Glyptothek Museum – Jonigspltaz Monaco di Baviera
FABIO VIALE
12 luglio – 30 settembre 2018
Mostra realizzata con il supporto di Galleria Poggiali
Non ricevo più dal 23 Giugno vs. Aggiornamenti e non capisco perché