Milano rende omaggio all’artista Alik Cavaliere con una mostra complessa e densa di significato attraverso un percorso che si snoda nel paesaggio milanese tra Palazzo Reale, le Gallerie d’Italia, il Museo del Novecento, Palazzo Litta, l’Università Bocconi e il Centro Artistico Alik Cavaliere.
La vasta antologica, curata da Elena Pontiggia, rivela un artista narratore di storie, un regista di personaggi e avventure affascinato dal teatro della vita. Vissuto tra le due guerre, Alik Cavaliere fa i conti con un’umanità ferita, orfana e oppressa; da qui l’incessante anelito alla libertà che trasuda dalle sue opere. “W la libertà” è il titolo di diverse opere che rivelano la spinta verso la libertà da parte di un’umanità che vive di limitazioni e costrizioni, imposte ed autoimposte. Un volo, quello verso i lidi della libertà, difficile e faticoso: gabbie di ferro, maglie geometriche, spine e rovi soffocano l’uomo con crudeltà e crudezza. A volte persino la memoria e i ricordi divengono carceri buie. Eppure Alik riesce a trovare in questa umanità angosciata e terribilmente sola un costante desiderio di vita, di fuga, di riscatto. Un riscatto possibile grazie alla natura stessa dell’uomo che nutre speranza grazie al trasmutare delle cose e al ciclo vitale delle cose stesse che continuamente nascono, muoiono e ri-nascono. La possibilità di un cambiamento emerge con forza nella figura ricorrente del manichino: un uomo che può cambiare rivestendo ruoli e vesti sempre differenti. Ecco allora la ripresa delle Metamorfosi di Ovidio: il momento in cui avviene la metamorfosi svela nel dinamismo della figura la fissità di un’immagine catturata dalla natura. La fuga disperata di Dafne attraverso il fitto labirinto di foglie, erbe e piante, rivela la fusione panteistica con la natura. La ninfa diventa essa stessa elemento della natura, una meravigliosa pianta di alloro: i suoi capelli si irrigidiscono nelle forme contorte dei rami, il suo busto nel tronco dell’albero, i suoi piedi saranno radici.
La mostra, intitolata “L’universo verde”, è dedicata in modo particolare al tema della natura, tanto caro all’artista. Si avverte il forte contrasto leopardiano tra la crudeltà di una natura che schiaccia e spazza via nel suo inarrestabile ciclo naturale e il valore salvifico di una natura che accoglie e dona i suoi frutti. L’umanità si trova figlia di un universo che affascina con le sue promesse di immensità e libertà e allo stesso tempo ferisce nella sua indifferenza meccanicistica.
Alik Cavaliere osserva con sguardo allo stesso tempo fiducioso e preoccupato questo irrisolvibile contrasto e scopre, nel groviglio dei rami, nella materia intricata e inospitale, giardini incantati e di sogno. Significativi i richiami al De rerum natura di Lucrezio, da cui recupera il tema del ciclo di nascita e morte della natura e la rivelazione della vastità nel piccolo, e al pensiero del filosofo Campanella, che lo conduce alla scoperta della vita delle cose come se una foglia, un sasso, un ramo potessero vivere di emozioni umane.
“Ogni cosa è limite e libertà di un’altra”, questo il titolo emblematico di una delle opere in cui l’atto creativo del germogliare e della gemmazione è messo in pericolo dall’aridità del terreno circostante.
Il contrasto tra la spinta alla libertà e l’oppressione soffocante che caratterizzano l’uomo torna anche nell’immagine ricorrente della mela: omaggio a Magritte, essa, nella sua rotondità perfetta, quasi a ricordare la perfezione della natura, fa spazio all’immaginazione, alla possibilità di una fuga della mente in mondi irreali o surreali, ma sempre nell’amara consapevolezzadell’inganno di questi sogni.
Negli anni Sessanta Alik Cavaliere decide di abolire basi e piedistalli nelle sue sculture, come se volesse lasciare libertà di movimento alle radici delle sue piante. La profondità del terreno si riflette allora in specchi lucenti che aprono varchi sconosciuti nel sottosuolo.
“…in quarant’anni ho usato le stoffe, il legno, la carta, le parole, l’acqua, la luce, la fotografia, i metalli, il marmo, oggetti lucidi e opachi, oggetti trovati, recuperati…e ancora il suono, il rumore, il silenzio, il vuoto…ho usato le mie mani e quelle degli amici” così Alik Cavaliere descrive i suoi strumenti. Ma al lungo elenco, manca un importante strumento di lavoro, presenza fondamentale in questa antologica: l’ombra. Le ombre dei suoi rami, dei suoi fiori, delle radici sono il prolungamento delle sue storie. Proiettate dalla luce sul pavimento, continuano a ricordare sogni e avventure, alimentandone sempre di nuove. Ecco dunque il riscatto tanto agognato: le ombre di Alik Cavaliere, sulle basi specchianti, assumono le forme dell’ immaginazione, unica, vera e sicura via di fuga verso la libertà.