Riflessioni attorno all’installazione Solarium di Iginio De Luca, ideata per lo spazio ligure Fourteen ArTellaro. Un nuovo step della rassegna “La superficie accidentata”
L’estate si conclude insieme con la chiusura della installazione Solarium di Iginio De Luca ideata per lo spazio Fourteen ArTellaro, nell’ambito della rassegna “La superficie accidentata” curata da Gino D’Ugo. Si tratta di un’installazione site specific che affonda le proprie radici in un precedente lavoro fotografico di De Luca con soggetto i fiorai notturni romani, completamente decontestualizzati dall’artista, secondo uno stravolgimento di significato, dall’acuito simbolismo quasi metafisico. Lo spazio ligure diventa spunto per tradurre in tridimensione e in realtà quanto era negli scatti, lasciando emergere una sinestesia estremizzata nel dialogo fuori/dentro, ricco di contrasti percettivi a tutto tondo.
Entro la piccola vetrina che affaccia sulla vivida piazzetta di Tellaro, l’artista porta in scena una sorta di serra fiorita che, in 14 giorni, compie il proprio corso vitale, con fredde luci a basso consumo ad illuminare lo spazio interno. Il dualismo messo in evidenza è la sublimazione tra la natura gioiosa legata all’emblema allegorico del fiore ed allo spazio esterno, rispetto alla costruzione interna, fittizia, ove fiori recisi, vasi di plastica, quinte, sottendono una differente verità intrinseca alla “vetrina”. Dalla vita chiassosa e gaia della piazzetta dalla quale si percepisce una visione iniziale esteticamente emozionante ed ideale di Solarium, si entra in un’atmosfera meno “graziosa”, decadente, in cui il profumo di fiori diventa, nei giorni, stordente odore di putrescenza, lo spazio claustrofobico, i “bei fiori”, man mano, piante che seguitano la morte. Ecco, dunque, il rammentare della fugacità della vita, dell’effimera bellezza e, come afferma lo stesso Iginio De Luca, “lo svelamento di qualcosa di molto più forte e potente” all’interno di una dimensione ontologica profondamente caduca, tesa verso una allegorica delineazione.
La metafora inscenata dall’artista ha originato un lavoro a latere di documentazione video fotografica attuato con Gino D’Ugo, in grado di restituire l’intero processo delle dinamiche di costruzione, e successiva decostruzione, di quell’atto di ribaltamento semantico, concettualmente primigenio, legato, peraltro, ad un universo emozionale di plurima valenza, tale da offrire un’inusitata visione d’alterità entro un alveo spaziotemporale di matrice perturbante. Da ciò emerge il missaggio di elementi “quotidiani” traslati in grammatica esistenzialista più complessa, fusa con l’oggi grazie alla tecnologia – parallela ad una land/nature art in scala – che resterà a memoria futura di un’opera altrimenti destinata a scomparire.
Un lavoro che convoglia trasversalmente una ampia visione della storia dell’Arte – vi si può leggere un rimando persino a Caravaggio nella tensione verso un “vero” non più ideale ed ai monumenti funebri del Canova – e torna poi indietro secondo la tradizione primorinascimentale della costruzione di apparati effimeri, metaforiche simbologie che, “dal dì di festa” son scivolate nei memento mori delle nature morte secentesche.
Azzurra Immediato