Un approfondimento del personalissimo espressionismo di Alfred Kubin, a confronto con Kandinskij, Klee, Marc e altri, in una grande mostra con opere provenienti dalla collezione della Lenbachhaus di Monaco di Baviera, la città dove Kubin mosse i primi passi della sua carriera artistica. Fino al 27 febbraio 2019.
Monaco di Baviera. Artista dalla personalità introversa e complessa, dotato di una capacità immaginativa fuori del comune, il boemo Alfred Kubin (1877-1959) fu scrittore, pittore, illustratore dalla profonda poetica espressiva, densa di riferimenti ai più svariati ambiti dell’arte e della vita. Il risultato è una produzione artistica che non manca di destare profonda meraviglia sia per le soluzioni spesso innovative adottate a livello estetico, sia per la concettualità, spesso drammatica, che esprimono. L’esistenza di Kubin fu infatti segnata non soltanto dal difficile momento storico che attraversò l’Europa tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento, ma anche e soprattutto dalla perdita di molti affetti, a cominciare dalla madre (morta di tubercolosi quando lui aveva appena undici anni), e dal difficile rapporto con il padre.
Dalla natia Leitmeritz, in Boemia (allora parte dell’Impero Austroungarico, oggi parte della Repubblica Ceca), frequentò le scuole a Salisburgo, senza però riuscire a concludere gli studi artistici a causa del malessere della sua adolescenza, causato come detto dalla perdita della madre e dalle scarse attenzioni ricevute dal padre. Soltanto dopo il servizio militare a Lubiana, che non terminò perché riformato a seguito di un esaurimento nervoso, nel 1898 tentò di riprendere gli studi a Monaco di Baviera, prima come allievo di Ludwig Schmitte-Reutte, poi dell’Accademia di Belle Arti, che però abbandona dopo pochi mesi nel 1899.
Tuttavia, grazie alla sua frequentazione di Schwabing, l’allora quartiere degli artisti di Monaco, conobbe gli scrittori Max Halbe e Frank Wedekind, e il collezionista Hans von Weber, che acquista alcune sue opere e lo propone per una personale alla galleria berlinese di Paul Cassirer, nel 1902.
Comincia da qui un percorso artistico affascinante e complesso che lo porterà a contatto con Vasilij Kandinskij, Paul Klee e Gabriele Münter, e che la mostra FANTASTIC! Alfred Kubin e il Blaue Reiter racconta focalizzandosi appunto sul periodo iniziale dell’artista, fino agli anni immediatamente successivi alla Grande Guerra e propone numeroso materiale inedito proveniente dall’archivio della Lenbachhaus, che nel 2016 è stato completamente riordinato e digitalizzato. Sono così emerse lettere e fotografie che documentano i rapporti di Kubin con i colleghi pittori, ma anche con altri esponenti della scena culturale tedesca. Fra i pezzi più notevoli, i portfolio completi che l’artista realizzò per promuovere i suoi disegni, gli acquerelli e le illustrazioni a china, ognuno dedicato a uno specifico tema, ma comunque quasi sempre caratterizzati da atmosfere cupe e angosciose, violenza, oppressione e sofferenza psicologica.
Da un punto di vista concettuale, queste opere riflettono la difficile condizione esistenziale di Kubin, che nel 1903 ebbe un altro lutto: perse infatti la fidanzata Emmy Bayer, uccisa dal tifo. Oltre all’angoscia della solitudine, emerge da quelle opere, oltre alla metabolizzazione del difficile rapporto con il padre, anche quello controverso con le donne (ebbe a undici anni la sua prima esperienza sessuale), sempre viste come figure dominatrici, al limite del sadomasochismo. Una visione non dissimile da quella di Jean Jacques Rousseau. Da questo punto di vista è emblematico il Sogno del prigioniero (1899), con la diafana figura femminile, quasi un fantasma, che incede verso l’uomo impossibilitato a fuggire.
Mentre circa il rapporto con il padre, Follia (1899) è riferito al tentativo di suicidio di Kubin di pochi anni prima, estremo episodio di disagio familiare. A questo primo strato di esperienze personali, si sovrappone il controverso clima sociale e politico dell’epoca, con l’Europa già dilaniata dalla crisi che la porterà alla Grande Guerra; un clima di incertezze che il sensibile Kubin avvertiva, e traduceva in immagini metaforiche profondamente significative.
Fra queste, Il potere (1903), in cui un leone marino troneggia su una piramide di ossa umane e animali, un chiaro riferimento al clima di tensione che si respirava in Europa, con le prime avvisaglie di guerra nei Balcani e le ricorrenti crisi nelle colonie africane. Ci sono però anche riferimenti alla politica internazionale conosciuta attraverso i giornali, di cui era avido lettore, soprattutto per quanto riguardava le illustrazioni. E infatti, Dalla Cina (1902), è direttamente ispirata ai drammatici eventi della rivolta dei Boxer dell’anno precedente. Da un punto di vista stilistico, è evidente l’influenza di Max Klinger, la cui opera conobbe a Monaco, e di Francisco Goya, filtrato attraverso il primo.
L’atmosfera è drammatica, le figure umane hanno espressioni di dolore deformato, o ghigni grotteschi, mentre le figure animali sono rappresentate sia con precisione abbastanza aderente alla realtà scientifica (grazie alla sua fornita biblioteca di riviste e manuali di scienza), ma anche create seguendo la propria fantasia: nascono così creature fra il mostruoso e il fiabesco in certi casi con elementi fisici umani, e l’effetto che ne deriva è disturbante e affascinante insieme. Una poetica che ha un possibile omologo in Klemens Brosch, anch’egli austriaco, anch’egli personalità sensibile e tormentata.
Queste opere devono però essere considerate anche alla luce di due disegni realizzati da Kubin ad appena sei anni, in tecnica mista di acquerello, pastello e matita, e che già contengono in larga parte l’immaginario figurativo che accompagnerà la narrativa delle sue opere. I due non si conobbero mai di persona, e forse nemmeno attraverso le opere. Questa comunanza espressiva è forse spiegabile solo con la sensibilità che li caratterizzava, e che non poteva essere espressa in altro modo, considerando anche il difficile periodo storico. È significativo il fatto che certi loro accostamenti anticipano la fotografia di Man Ray.
Intanto, nel 1904, Kandinskij invita Kubin a partecipare alla mostra di Phalanx, il gruppo d’avanguardia che precede il Blaue Reiter, e si tratta della sua prima mostra a Monaco, che segna anche l’inizio di una lunga amicizia e stima reciproca fra l’artista austriaco e l’artista russo. Tuttavia, nonostante la frequentazione di altri colleghi, Kubin mantenne sempre una caleidoscopica indipendenza creativa, ispirata ora alla Secessione, ora a Klinger, ora all’Espressionismo di Grosz e Dix, ora alle stampe fiamminghe e francesi del XVII Secolo.
Il suo fu quindi un percorso parallelo ma non convergente a quelli di Kandinskij, Münter, Marc e Klee, una selezione di opere dei quali viene proposta in mostra proprio per suscitare nel pubblico il confronto stilistico. A proposito di Klee, fu Kubin a introdurlo nel Blaue Reiter nel 1912, dopo che l’elvetico si era recato per mostrargli alcune sue opere nel castello di Zwickledt, dove risiedeva dal 1906 con la moglie Hedwig Gründler. In questo isolato buon retiro, Kubin mantenne contatti epistolari con i colleghi, e rompeva l’isolamento solo per partecipare alle mostre, ch si fanno comunque sempre più numerose, dato il successo di critica, ma anche di pubblico, delle sue enigmatiche opere. Le quali, quasi sempre sono disegni o gouache in bianco e nero, e solo raramente si tratta di pitture a colori, mentre l’Espressionismo dei suoi colleghi fa al contrario largo uso del colore.
Intanto, il 1909 aveva segnato il debutto di Kubin come scrittore, con il romanzo fantastico Die andere Seite (L’altra parte), scritto poco dopo la morte del padre e durante un periodo di malattia della moglie; si tratta di un romanzo che getta le fondamenta del Surrealismo tedesco, in parte ispirato alle atmosfere gotiche di Edgar Allan Poe, che Kubin conosceva e apprezzava, e forse in parte ai Canti di Maldoror di Lautréamont. Il libro è corredato dalle illustrazioni dello stesso Kubin, da cui emerge il suo carattere di metafora: l’apocalittica caduta del regno cui si fa riferimento all’inizio, è un chiaro riferimento all’Europa dell’epoca, che nel 1909 viveva l’ennesima crisi balcanica che avrebbe innescata la Grande Guerra.
E di nuovo si incontrano il tormentato mondo interiore dell’artista, e la non meno tormentata realtà politica dell’epoca, con le sue incertezze e i sentori di guerra. Ma il capolavoro di Kubin è forse Sansara, il portfolio realizzato nel 1911 che costituisce un racconto per immagini dell’Europa dell’epoca, sospesa fra il vecchio mondo ottocentesco ormai pericolante, e le incertezze di un oscuro avvenire. I raffinati disegni a china rivelano un’approfondita conoscenza dell’arte del passato, dall’impianto di gusto teatrale delle incisioni seicentesche di Jacques Callot (Serpenti in città), alla pittura fiamminga (L’organista), fino allo stile grafico delle riviste di moda parigine (Promenade), passando per una parodia dei Mangiatori di patate di van Gogh (Al sanatorio) e le suggestioni letterarie del Don Chisciotte.
In Sansara prende forma uno straordinario universo umano, a tratti apocalittico, a tratti sardonico, che rientra in quel clima di riflessione critica sulla società europea che aveva preso le mosse dai romanzi di Zola e il Decadentismo di Oscar Wilde, aveva attraversata la Secessione e la drammaturgia di Ibsen, e adesso trovava espressione nel vasto movimento dell’Espressionismo europeo. Quello di Kubin è però un Espressionismo assai personale, moderno nei concetti, più votato al passato circa i riferimenti stilistici, tradotti però in un tratto moderno e incisivo.
I serpenti che invadono la città mentre la borghesia continua a sorbire il suo caffè senza scomporsi, le creature mostruose che sbucano dal sottosuolo, le scene di distruzione in mezzo a paesaggi apparentemente idilliaci, sono le testimonianze di un impegno artistico profondamente sentito, partecipe della gravità del momento storico, in controtendenza con l’euforia guerriera che soffiava sull’Europa. Quanto Kubin avesse ragione lo si sarebbe visto nel 1918, con i milioni di morti e invalidi della Grande Guerra. Un argomento che solo una volta Kubin affrontò in maniera diretta, con la china acquerellata Attacco della Baviera (1918), che riecheggiando Grosz ritrae un assalto alla baionetta di soldati bavaresi.
Con il 1918 si chiude l’arco temporale di una mostra che ha il merito di riportare all’attenzione del pubblico una personalità artistica fra le più sensibili e talentuose dell’epoca, afflitto da sventure personali che acuirono la sua introversione, ma che non spensero la sua creatività.
Informazioni utili
FANTASTIC! Alfred Kubin e il Blaue Reiter
Lenbachhaus, Luisenstraße 33, 80333 München, Germania
A cura di Annegret Hoberg
Fino al 27 febbraio 2019
*Alfred Kubin – Al popolo piace ballare, 1899 Städtische Galerie im Lenbachhaus und Kunstbau München Ph. Lenbachhaus