Senza alcun sospetto di collusione ideologica col Ventennio fascista, l’evento espositivo “Il Regime dell’Arte. Premio Cremona 1939-1941”, è godibile nel suo meditato allestimento presso il Museo Civico di Cremona Ala Ponzone, sino al 24 febbraio 2019.
La manifestazione è firmata da Vittorio Sgarbi, il cui intervento in catalogo motiva senza equivoci la rivisitazione in chiave primariamente storica del “Premio”, imposto nel 1939 alla sua città, Cremona, dal gerarca Roberto Farinacci. L’evento inoltre si avvale della curatela meticolosa dello storico d’arte Rodolfo Bona, autore di alcuni saggi in catalogo, col supporto, a parte, della scheda critica dedicata alla lettura di ogni singola opera a colori. La struttura del volume è completata dall’indispensabile formulazione bibliografica. Funzionale al visitatore è l’antologia di fotografie in bianco e nero, mirata alla comprensione storica degli accadimenti ed illuminanti le tavole a colori fuori testo, tematiche. Il Sommario è composto da una serie di saggi rigorosi, utili alla rivelazione di un’epoca storica, per troppo tempo finita nel dimenticatoio.
La casa editrice “Contemplazioni”, ha dato un notevole contributo grazie alla direzione del comparto arte di Sara Pallavicini. Significativo in questo contesto il saggio sull’arte nazifascista fra le due guerre di Cornelia Regin dedicato a L’asse Cremona – Hannover, un gemellaggio dimenticato. Rivela un gioco di propaganda tra fascisti – con Roberto Farinacci in veste di burattinaio (in verità, un cortigiano) e gli alleati nazisti. Costoro la facevano da censori nei confronti dei pittori italiani del “Premio Cremona”, scartandoli dalla partecipazione alla loro mostra in Hannover quando presentavano lavori dalla figurazione eccessivamente intimistica, in netto contrasto con quella fredda ed oggettiva impressa dai nazismo ai loro artisti.
Rodolfo Bona è riuscito a portare a termine il reperimento e riunire per la mostra 40 pezzi, compresi i frammenti di 30 opere. Sono stati per lui sei anni di impegnativa ricerca e ricostruzione di un mondo dormiente da 77 anni negli archivi comunali e del Museo Civico di Cremona, nei magazzini di alcuni musei italiani, e appeso alle pareti dei collezionisti e dei famigliari dei pittori. Inoltre molti lavori necessitavano di un restauro.
Gli artisti partecipanti al Concorso intitolato “Dipingere l’Ascoltazione alla radio di un discorso del Duce” – idea guida del “Premio Cremona” – venivano scartati se non ottemperavano alla tematica imposta. E’ significativo che l’evento abbia segnato il percorso iniziale con la gigantesca installazione di 12 Radio Balilla degli anni Trenta; da fare gola alla miriade di collezionisti del Modernariato. Da questo strumento radiofonico, le famiglie italiane subivano violenza proveniente dai messaggi farneticanti del duce, legati a tematiche suggestive per la la massa indifesa delle classi subalterne, le quali presto avrebbero appreso dalla stessa voce – proveniente dal balcone di Palazzo Venezia – dell’entrata in guerra dell’Italia a fianco della alleata Germania nazista.
Negli anni precedenti dallo stesso balcone e con lo stesso uditorio di “numeri semplici”, Benito Mussolini aveva invitato il mondo contadino ad accorrere alla Battaglia per il Grano; in altra occasione, aveva annunciato che l’Italia, finalmente, aveva il suo Impero. I “Film Luce” nei cinema proiettavano, in ogni contesto, la presenza di folle deliranti riunite nelle piazze d’Italia, in ascolto.
Lo scenario dei quadri ora esposti al Museo Civico di Cremona è quello umiliante di artisti che hanno messo la propria anima al servizio del regime totalitario, accettando supinamente tematiche fissate da uno dei discorsi radiofonici del dittatore. Ma se si osserva con attenzione il singolo dipinto, l’osservatore viene gratificato sempre da suadente bella pittura, eseguita da pittori di scuola, da professionisti che ben conoscono l’arte della tavolozza, dei contrappunti tonali, del gioco di luci ed ombre, l’importanza basilare del disegno preparatorio. Sono virtuosi che in ogni contesto figurativo anche se compiacente al Regime, non rinunciano alla loro sigla espressiva.
C’è chi guarda all’Ottocento italiano, chi al “Novecento” come il trittico della pittrice lombarda Pina Sacconaghi del 1941, di 200×300 cm., dal titolo dannunziano “Non v’è sosta se non sulla cima” eseguito mirabilmente nella rappresentazione di corpi plastici in movimento. C’è il gusto di Previati simbolista, delle sue tonalità, l’interesse per l’affresco. Rodolfo Bona sottolinea che nei giovani modelli colti in pose statuarie prevale “un linguaggio intriso di reminiscenze antiche nei nudi atletici (…) che si muovono in una natura essenziale, con paesaggi costieri aspri e rocciosi, risentono della monumentalità di Novecento”. Dipinto ancora di livello museale, è l’olio su tavola di Pietro Gaudenzi “Maternità” del 1932 di 98 x 82 cm. Il maestro genovese ha fatto invio dell’opera al Concorso, rischiando l’accusa di eresia per la totale assenza di simbologia compiacente, essendo stata eseguita 7 anni prima del bando di concorso. E’ tessitura pittorica di “Novecento”, dalle sofisticate radici rinascimentali, che riportano l’osservatore a Piero della Francesca.
Di fronte a questa lezione di stile, fa pensare a una normale cartolina illustrata, il contadino di Cesare Maggi, nella composizione “La battaglia del grano” del 1940. E’ costrutto pittorico che nulla annuncia di ciò che già si sa dell’italico Ottocento post romantico. Vorrebbe esprimere qualcosa di eroico, nel suo atteggiamento ovvio mentre affila la lama della falce; al Cesare Maggi agreste fa da contro canto ridicolo il dipinto del 1939 di Mario Biazzi, dal titolo fedele “L’ascoltazione alla radio di un discorso del Duce.” Risente dell’influenza contagiosa, malinconica di Mario Sironi e dell’infantilismo di Ottone Rosai incapace a disegnare la figura umana.
Comunque, i contadini di Biazzi esprimono un messaggio struggente, al chiuso di una incolore stanza da pranzo, di un mondo semplice. E’ la presenza reale di gente di ogni età, di entrambi i sessi, dai piedi scalzi e lo sguardo di chi ascolta la radio e non capisce. Magicamente entra in scena, alle loro spalle, come il fantasma di Banco padre di Amleto, l’immagine sulfurea dal profilo virile del Capo. Forse è l’unico dipinto in mostra a superare la soglia sconfortante della piaggeria servile. Alcuni dipinti, nell’immediato secondo dopo guerra, sono stati rivisitati da pittori “redenti”, per vergogna o per motivi di vendita. Lungo il percorso espositivo sono “correzioni” non individuabili, ma correttamente rivelate in scheda di Catalogo. Sono casi di lavori poco o molto “riaggiustati”.
Rodolfo Bona oltre ad essere meticoloso studioso , è vicepresidente dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) di Cremona. Durante la visita ha reso partecipe chi scrive di alcuni lavori “rivisitati” dall’artista, sino a stravolgerne il significato storico, di ambito sociale come nel dipinto di Luciano Ricchetti “In ascolto”, vincitore del del 1° Premio Cremona , dove il bozzetto originale, un olio su compensato di 70×100 cm. presenta il giovane in piedi identificabile nella divisa di Balilla, mentre a livello di comparazione con l’olio su tela , di 250 x 350 cm. del 1939 circa, la figura in divisa del giovane è stata aggiornata nel ritocco d’abito di semplice contadino.
Da affrontare come indifferenza di messaggio, con il valore aggiunto del cinismo pertinente all’etica del pittore Mario Beltrami, è il mirabile dipinto a livello di bellezza di segno e di materia: “Le madri”. E’ una tempera su tela del 1939 di circa di 220 x 133 cm, il frammento del dipinto dal titolo eccessivamente esteso : “Italia in piedi. 2 ottobre XIII. Una famiglia di coloni ascolta alla radio del fattore il discorso del Duce”. Il quadro, pur essendo stato tagliato in più punti – per potere essere accettato dalla nuova borghesia post fascista, formata da un collezionismo di area democristiana – ha conservato un’ottima struttura, tramite lo studio di luce, ricavandone un’intensa atmosfera spirituale. Originariamente il dipinto aveva tutti i presupposti del gusto religioso di un Millet, dove le “Madri” – come riferisce Rodolfo Bona in scheda – “apparivano nella zona destra della composizione”. Inoltre, la parte tagliata dal pittore era la significativa testimonianza di totale reverenza di fronte ai dettami della Mistica Fascista.
Scrive Bona in scheda: “L’osservazione a luce radente rivela ancora le ridipinture della tela originaria che raffigura una famiglia numerosa di cloni allineati in ascolto del discorso della mobilitazione generale trasmesso dalla radio del fattore. I personaggi alzavano lo sguardo, quasi stupiti dal suono che immaginavano venire da destra. Uomini, donne, vecchi , bambini erano dipinti ai lati del giovane capo famiglia scalzo che, armato di vanga, salutava romanamente, affiancato da uno dei figli che imitava il suo saluto”.
Tra le composizioni che non sono presenti in mostra, ma citate con scheda in un apposito capitolo del catalogo, c’è l’informazione e la riproduzione di un dipinto di Giuseppe Guarneri, dal titolo “Saluto materno” del 1941, specchio umano di un autore voltagabbana, impaurito per il nuovo corso democratico in Italia. Si legge in scheda che il figlio del pittore, di Cremona, Aristide ha ritenuto informare il curatore che il padre aveva ripreso il dipinto dopo la guerra, eliminando la camicia nera indossata dal personaggio centrale, al quale aveva aggiunto il fazzoletto rosso al collo, fornendogli l’aspetto del partigiano .
E’ tramandato per sola tradizione orale – con più ricordi concomitanti fra loro- di numerosi dipinti andati distrutti per ordine del CLN di Cremona, nella stagione intercorsa tra il maggio del 1945 e l’inizio del 1946. Il “Premio Cremona” ancora oggi nella città lombarda, è sinonimo di “Roberto Farinacci”, padre dell’iniziativa. E’ stato fascista della prima ora tra manganello ed olio di ricino; Marcia su Roma, segretario del Partito Nazionale Fascista; figura arrogante e impietosa, pare non così estranea al delitto Matteotti; gerarca dai solidi rapporti con il regime nazista. Nei giorni della Liberazione, mentre era in fuga, la sua automobile venne investita dal fuoco di una pattuglia partigiana e Farinacci si trovò bloccato, mentre l’autista moriva sul colpo. Gli uomini della Resistenza trovarono nelle sue valigie una gran quantità di denaro e di gioielli. Dopo un rapido processo venne fucilato. Era il 28 aprile del 1945 nel Comune di Vimercate.
Era stata l’idea tematica di Elda Fezzi, studiosa d’alta caratura, scomparsa prematuramente per cancro il 21 febbraio nel 1988, di una rivisitazione in chiave storica ed espositiva delle edizioni del “Premio Cremona”. Il titolo era proprio “Dipingere l’Ascoltazione alla radio di un discorso del Duce”. Tutto è preziosamente documentato in un quaderno lasciato dalla Fezzi, trascritto diligentemente e studiato con attenzione da Rodolfo Bona. Il quaderno dagli svariati appunti personali ha come primaria informazione o, meglio, come valore aggiunto, l’intervista al pittore di Cremona Carlo Acerbi, allora ottantasettenne. Artista di interesse critico d’ambito lombardo della pittura post Ottocento, in gioventù era stato allievo dell’Alciati all’Accademia di Brera. E’ venuto a mancare nel 1989.
Come riferisce Rodolfo Bona subito dopo l’intervista, Carlo Acerbi aveva ulteriormente raccontato alla Fezzi, relativamente al progetto per la mostra da dedicarsi al “Premio Cremona”, di avere dipinto nel 1939 un quadro intitolato “Campeggio”, da lui inviato per la prima edizione e “per concorrere al Premio Cremona “B” il cui tema era dedicato agli “Stati d’animo del fascismo”. La Fezzi così trascrisse: “1939 – Acerbi espone olio su tavola/’Campeggio’(Stati d’animo fascisti/ “S’eri (sic) mia tant fascista, me” e ha / scelto il tema ‘Stati d’animo’ / Ha la foto del suo Campeggio (forse 220 x 180) / l’ha rifatto – ce l’ha”. Annota Rodolfo Bona che tra le virgolette furono dunque trascritte le parole del pittore Carlo Acerbi che sottolineava in dialetto cremonese di non essere un fascista di fede e di avere scelto quindi il concorso secondario.
Ora, questa composizione, per desiderio dei famigliari non è stata esposta, ma è solo riprodotta in catalogo. A testimonianza del suo antifascismo c’è da ricordare la figura del figlio Guido che all’età di 16 anni si arruola nella Resistenza, aderendo alle formazioni “Garibaldi”. Era un comunista duro e puro. Alla Liberazione avvenuta, era come ossessionato dal ritorno del regime fascista in Italia e della riapparizione tra i suoi concittadini di criminali come Roberto Farinacci. Ma questa è tutta un’altra storia.
Informazioni utili
Il Regime dell’Arte Premio Cremona 1939-1941
Fino al 24 febbraio 2019
Museo Civico di Cremona Ala Ponzone, via Dati Ugolani, 4
A cura di Vittorio Sgarbi e Rodolfo Bona
Una mostra di Contemplazioni
*Nella prima immagine: Remigio Schmitzer – Contronti, la Cascina © contemplazioni