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Rehang Maramotti: la Collezione rinnova il suo spazio espositivo con importanti “novità”, da Chantal Joffe a Pessoli

Jules de Balincourt Jules de Balincourt
Thomas Scheibitz, Il fiume e le sue fonti
Thomas Scheibitz, Il fiume e le sue fonti

Per la prima volta nella sua giovane storia la Collezione Maramotti di Reggio Emilia rinnova il suo spazio espositivo. Si tratta del riallestimento di 10 sale del secondo piano dell’esposizione permanente, che andranno ad ospitare alcuni dei progetti presentati nei primi dieci anni di apertura. Il 3 marzo l’inaugurazione.

Rehang 2019 è un’iniziativa che tocca trasversalmente passato, presente e futuro della Collezione Maramotti, aperta al pubblico nel 2007 a Reggio Emilia. Il recupero di una serie di esposizioni personali, ognuna espressione di un particolare momento nel percorso di ricerca e sviluppo della Maramotti, segna un punto di raccordo tra ciò che è stato e ciò che sarà. Un modo di riassumere, seppur parzialmente, il lavoro svolto fin ora. Un ottimo lavoro, dal momento che queste opere sono entrate a far parte della collezione dopo essere state presentate per la prima volta al pubblico proprio presso l’ex stabilimento della casa di moda Max Mara.

Come Casa Malaparte di Enoc Perez (2008), il primo progetto esposto nel 2008 nella Pattern Room della collezione: una curiosa e complessa indagine pittorica, svolta sulla tela senza ricorrere al pennello. Il risultato sono una serie di edifici anni Venti trasfigurati e trasferiti in una dimensione immaginaria collettiva, dove diventano simbolo di potere e ideali disillusi. Altrettanto interessante la pittura ibrida di Jacon Kassay (2010), che unisce al colore sezioni riflettenti che riempiono la tela di presenze fantasmagoriche.

Jacob Kassay durante l'allestimento presso la Collezione Maramotti
Jacob Kassay durante l’allestimento presso la Collezione Maramotti

La sala/ambiente che accoglie il progetto di Gert & Uwe Tobias (2009), presenta invece xilografie di grandi dimensioni, disegni e sculture che fondono la cultura popolare della Transilvania con immagini di folclore europeo. Jules de Balincourt (2012) e Alessandro Pessoli (2011) abitano due sale concepite per il dialogo delle loro rispettive opere. Parallel Universe di de Balincourt è imperniato sul concetto di polarità di forze e di energia, espresso dal confronto serrato di diverse tavole realizzate con un medesimo processo creativo. Nelle tre grandi tele della Crocifissione di Pessoli possiamo apprezzare invece una pittura poliedrica, risultato della stratificazione di memorie personali e di suggerimenti Metafisici e Surrealisti.

Se l’attenzione alla dimensione pittorica è sempre intensa, non mancano però esplorazioni verso nuovi linguaggi. Evgeny Antufiev (2013) coinvolge nell’opera numerosi oggetti come stoffa, cristalli, meteoriti, ossa, insetti, marmo, legno e li forza a dismettere la propria funzione e identità. Questi vengono allora semanticamente plasmati a nuovo nell’istallazione artistica, frutto di un processo poetico-alchemico.

Jules de Balincourt
Jules de Balincourt

Il fiume e le sue fonti, progetto concepito da Thomas Scheibitz (2011), torna parzialmente alla pittura includendo tre grandi tele astratte, alle quali affianca una scultura che appare come la versione monumentale di un geroglifico estrapolato da un linguaggio sconosciuto.

Ritratto di donne è l’ultimo progetto in esposizione e racchiude due cicli di opere a confronto. In Moll Chantal Joffe (2014) riprende la tradizione quattrocentesca del ritratto stravolgendone disegni e confini, lasciando che il colore costruisca fluidamente visi e vestiti, che finiscono con il confondersi e mischiarsi tra loro e con lo sfondo. Soggetto di questi lavori è la nipote, all’epoca sedicenne, la cui irrequieta dimensione interiore ben si allinea allo stile rappresentativo. Alessandra Ariatti (2014) sceglie invece una precisione iper-fotografica per i sui Legami, inseguendo però lo stesso obiettivo: indagare l’imperscrutabile profondità umana.

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