Ci sono mostre che lasciano il segno, e non solo per la qualità delle opere esposte.
Sempre più spesso, infatti ciò che colpisce in un’esposizione è la selezione e la collocazione delle opere, la modalità di visione, la predisposizione e la realizzazione degli apparati didattici e didascalici, insomma quello che comunemente – e a volte impropriamente – viene definito lo schema[1], il format della mostra.
Non esiste una definizione legislativa di format, né peraltro il format è elencato tra le opere dell’ingegno tutelate dalla legge sul diritto d’autore (legge 22 aprile 1941 n. 633 e succ. mod; la “Legge Autore”). Ciò nonostante è pacifico che anche il format possa beneficiare della tutela autoriale.
Come per le altre opere dell’ingegno, per ricadere nella protezione accordata dalla Legge Autore il format deve tuttavia presentare un livello minimo di compiutezza espressiva rispetto alle idee racchiuse nello schema e, ovviamente, di creatività. Non è necessaria un’esposizione minuziosa e analitica, ma è sufficiente che la descrizione del format fornisca elementi idonei a caratterizzare in modo definitivo almeno la natura e lo svolgimento degli eventi/elementi, senza quindi limitarsi ad una enunciazione schematica di successive idee embrionali che dia luogo soltanto alla generica indicazione dei temi.
Il livello di creatività richiesto è, come peraltro per le altre opere dell’ingegno tutelate dalla Legge Autore, particolarmente basso: un’opera possiede infatti tale requisito quando rispecchia la personalità dell’autore, cosa che “si verifica se l’autore ha potuto esprimere le sue capacità creative nella realizzazione dell’opera effettuando scelte libere e creative” (Corte di giustizia UE, 1 dicembre 2011, in causa C145/10 Aida. Annali italiani del diritto d’autore, della cultura e dello spettacolo. Aida 2012, pag.1463).
In concreto, per beneficiare della tutela autoriale è opportuno che il curatore definisca con precisione il tema artistico e ne sviluppi il concept espositivo, individuando le tipologie di opere e i parametri di selezione ed esposizione degli artisti e delle opere, e proceda alla stesura completa e dettagliata del progetto con l’indicazione dei caratteri salienti e distintivi del format espositivo e delle modalità di esecuzione e di realizzazione. In particolare, deve descrivere con accuratezza il tema del progetto, evidenziandone la novità, la rilevanza e il potenziale interesse per il pubblico, le linee guida dell’organizzazione e dell’esposizione, definendo le attività di carattere creativo, economico e manageriale che concorrono alla sua riuscita: selezione degli artisti, definizione delle opere, predisposizione degli apparati didattici e didascalici, gestione dettagliata del budget e cronoprogramma di attività e lavori.
La tutela del format delle mostre è da tempo riconosciuta in dottrina (Gabriella Cetorelli Schivo, La tutela del diritto d’autore nelle esposizioni di opere d’arte. Concept, project, exhibit e format in www.mecenate.info), sul presupposto della analoga protezione riconosciuta ai format degli spettacoli televisivi, e ha trovato riscontro anche in giurisprudenza, sebbene l’orientamento giurisprudenziale fosse in passato di massima nel senso di escludere la tutela del format delle manifestazioni artistiche per carenza dei requisiti minimi per la configurabilità delle opere dell’ingegno; in tal senso una (peraltro non recente) pronuncia della Corte di Cassazione: “La manifestazione organizzativa, infatti, si esaurisce in se stessa e, anche qualora costituisca attuazione di una idea organizzativa a carattere creativo, non si sostanzia in un corpus mechanicum che possa circolare separatamente dall’idea creativa” (Corte Cassazione, 1264/1988, in riv. dir. comm., 1989, 11, 25).
Più recentemente il Tribunale di Roma ha tuttavia riconosciuto che gode del, sia pur minimo, gradiente di creatività necessario ad essere protetto come opera dell’ingegno, “il progetto esecutivo di una mostra (nella specie costituito da una relazione sulle finalità, sul programma, sulla promozione, sul piano finanziario dell’evento), che presenti una certa qualche originalità e novità nell’organizzazione intellettuale del lavoro e soprattutto nell’individualità espositiva nell’elaborazione dell’opera” (Trib. Roma, 4 aprile 2006, in Aida, repertorio I.2.2).
Se e in quanto opera tutelata dalla Legge Autore, l’autore del format ha quindi “il diritto di rivendicare la paternità dell’opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, e a ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione” (art. 20 la “Legge Autore”).
Qualsiasi mancato riconoscimento del ruolo e del lavoro svolto dal curatore e/o la modifica del format dell’esposizione senza il suo consenso potrebbero pertanto costituire una violazione dei diritti morali d’autore e comportare un grave pregiudizio per il curatore, anche in termini di immagine e reputazione.
Basti ad esempio pensare come, nel campo dell’arte contemporanea, il mancato od omesso riscontro della curatela di una mostra possa svilire l’apporto e la reputazione professionale del curatore e costituire una implicita “rinnegazione” del suo valore arrivando a precludere, nella sostanza, il coinvolgimento e/o l’affidamento di nuove opportunità lavorative e/o segnalazioni per ruoli analoghi, che in tale settore molto si basano sui rapporti e le favorevoli recensioni personali.
Accanto ai diritti morali, la legge riconosce all’autore di un format compiutamente espresso e creativo anche la titolarità dei diritti di sfruttamento economico e l’esercizio di tutti quelli eventualmente non ceduti agli organizzatori/ente espositivo in forza di contratto o rapporto di commissione. Il curatore ben potrà quindi riproporre e/o licenziare a terzi il format della mostra, richiedendo un compenso per tali utilizzi. E ovviamente potrà opporre i propri diritti patrimoniali d’autore nei confronti di chi attui il format senza il suo consenso.
Tuttavia, come recentemente evidenziato: “La tutela del format quale opera dell’ingegno trova il suo presupposto e il suo limite nel livello di elaborazione dell’idea, per come la stessa è stata espressa in forma scritta, e nella possibilità di attuare detta idea in una diversa forma espressiva secondo il “canovaccio” costituito proprio dal format. In termini pratici, il format potrà dirsi tutelabile solo laddove individui con sufficiente precisione i contenuti delle relative opere derivate, e potrà dirsi attuato (o plagiato) solo laddove i suoi contenuti siano incorporati nell’opera che ne è derivata” (Tribunale di Milano, 17 aprile 2018, in www.giurisprudenzadelleimprese.it). Sicché i curatori dovranno essere attenti, non solo nel definire e descrivere il format che intendono tutelare ma anche nell’opporre i diritti su tale opera solo nei confronti di mostre che, concretamente, attuino tale format e non un diverso format o un format caduto in pubblico dominio o comunque privo dei requisiti di tutela.
Oltre alla tutela autoriale, i format originali (anche non costituenti opera dell’ingegno) ben possono essere tutelati con le norme sulla concorrenza sleale (ex art. 2598 Codice Civile), in primis per reprimere gli atti confusori; tale tutela presuppone tuttavia un rapporto di concorrenza tra l’autore dell’illecito e il soggetto leso e che quest’ultimo sia un imprenditore, elementi che non sempre è facile riscontrare, in concreto, nei rapporti di curatela.
Il presente contributo costituisce un estratto di ART&LAW n. 1 del 2019 su “LA MOSTRA (IM)PERFETTA” di Negri-Clementi Studio Legale Associato (http://negri-clementi.it/wp-content/uploads/2019/02/ARTLAW-119-LA-MOSTRA-IMPERFETTA.pdf).
[1]Nel nostro ordinamento, infatti, “ciò che è tutelato è l’opera dell’ingegno in quanto estrinsecata in una determinata forma e non l’idea in sé e per sé anche se originale, in quanto l’idea una volta che si sia espressa in una determinata forma diviene, nel suo contenuto intellettuale, di pubblico dominio: da quel momento tutti possono utilizzarla col solo limite di non riprodurre la stessa forma artistica in cui si è concretizzata e occorre pertanto che l’idea creativa, in sé non tutelabile, venga “rappresentata” all’esterno e si consolidi in un’espressione nuova, compiuta ed originale che rappresenti un autonomo e specifico risultato creativo, un’autonoma e definitiva creazione intellettuale, non abbisognevole di aggiustamenti e trattamenti ulteriori” (Trib. Roma, 10 maggio 2010), dove sono presi in considerazione non l’ispirazione o i singoli elementi dell’opera ma la composizione e organizzazione originale di tutti gli elementi che contribuiscono alla creazione dell’opera stessa e che costituiscono pertanto la forma individuale di rappresentazione del suo autore (ex multis, in tal senso: Trib. Milano 5 giugno 1975, App. Milano 9 maggio 1986, Trib. Roma 4 ottobre 1993 e Trib. Roma 27 gennaio 2000).