Le eccentriche opere di Jan Fabre riempiono Napoli in una mostra dislocata in più sedi. Le sculture d’oro e corallo sono al centro dell’esposizione, supportate dai suggestivi disegni di sangue. Visitabile fino al 15 settembre.
Jan Fabre (Anversa, 1958), è un artista, coreografo, regista teatrale e scenografo belga, promotore di una ricerca artistica tesa ad oltrepassare le barriere espressive. A Napoli, è il protagonista di una mostra che coinvolge diverse istituzioni culturali, ognuna con un approccio eterogeneo: dalla statua in cera, L’uomo che sorregge la croce, nella Cappella del Pio Monte della Misericordia, alla iconica scultura, L’uomo che misura le nuvole del Museo Madre. Dalla centralissima Riviera di Chiaia 215, con Omaggio a Hieronymus Bosch in Congo, nelle sale dello Studio Trisorio, a Oro Rosso. Sculture d’oro e corallo, disegni di sangue al Museo di Capodimonte, fino al 15 settembre 2019. In questa ultima sede, la mostra curata da Stefano Causa e da Blandine Gwizdala, l’artista espone un gruppo di lavori in dialogo con una selezione speciale di opere d’arte provenienti dalla collezione permanente del museo e da altre istituzioni culturali napoletane.
Il percorso espositivo si sviluppa in diverse sale con sculture in oro e disegni di sangue creati dall’artista dagli anni Settanta ad oggi, oltre a una serie inedita e sorprendente di manufatti in corallo rosso, realizzate appositamente per Capodimonte. Ad accogliere i fruitori sono i disegni di sangue, il suo manifesto poetico, fisico e intimo. E’ la pulsione e il calore che scorre nelle vene, come fosse un flusso di coscienza che invade lo spazio. Il plasma è un universo di simboli che parlano d’arte e di bellezza, di forza e di fragilità del genere umano, del ciclo continuo di vita, morte e rinascita. Si assiste all’interno della sala ad un dialogo visivo ed emotivo fra le sue opere e i manufatti di caratura religiosa, un esempio è il Cristo velato in terracotta di Antonio Corradini del 1750-1752, accomunate dalla forza evocativa dell’anima, della coscienza e del corpo.
E’ la narrazione di una costante metamorfosi, materiali che mutano destinazione e funzione, coralli e pietre preziose, scarabei che ritrovano la luce provenienti da una tomba egizia; frammenti di armature, sequenze di numeri e citazioni dalle Scritture, sono un microcosmo concreto e filosofico. Interessante è il parallelismo tra i coleotteri con la corazza in oro a 24 carati e le armature medievali, accomunati dalla difesa del proprio corpo e della propria spiritualità. Gli scarabei erano considerati un potente amuleto con funzione magica e apotropaica di eterna rinascita nel divenire e nel trasformarsi, assicurando eventi felici ed un costante miglioramento delle facoltà intuitive e mistiche. L’artista colloca su di essi delle croci, creando un rapporto simbiotico fra religione ed etereo. La riproduzione di un cervello, in bronzo silicato e oro 24 carati, invece, è l’origine della conoscenza e della fraternità tra gli uomini.
Proseguendo con il percorso espositivo si giunge nella sala che ospita le nuove sculture di corallo rosso, un tesoro proveniente dagli abissi della mente dell’artista. Concrezioni che fanno pensare a fantasiose barriere coralline assumono diverse forme: teschi, cuori anatomici, croci, spade e pugnali. A loro volta, costellati d’immagini e segni alludono ad altri significati e ad altre storie, in un ciclo continuo di connessioni, fino a creare antichi ibridi tra natura e simbolo, nuovi idoli tra passato e futuro. Osservando il teschio in oro rosso, per la sua preziosità e valenza apotropaica, rimanda alle capuzzelle del Cimitero delle Fontanelle del Rione Sanità e del costante rapporto tra vita e morte. Un sottile fil rouge lega l’opera di Fabre ai teschi, Spirits, di Rebecca Horn, entrambi utilizzano lo stesso soggetto per la propria creatività artistica, ma con esiti concettuali differenti. Quest’ultima, ha realizzato in ghisa, una serie di teste collocate nella sala del Museo Madre, sorvolate da cerchi di neon illuminati d’una luce color madreperla, con l’obiettivo di suscitare negli spettatori la sensazione di assistere ad un fenomeno di continuità, di procurare l’idea d’una vita che neanche la morte conclude dal momento che la rende partecipe dell’eternità.
Fabre, invece, ribalta il punto di vista, il cranio allude al ciclo della vita, è un “memento mori”, ed è la celebrazione della natura effimera e fragile dell’essere umano. Genera una netta contrapposizione visiva ed emotiva: il corallo che è un materiale concreto, raro e pregiato si scontra con l’esistenza dell’uomo, che è imprevedibile e caduca. Questa riflessione è supportata da una serie di manufatti collocati all’interno di teche di vetro: un cuore pulsante, l’autoritratto dell’artista, un pugnale e la spada dell’Angelo. Intorno ad essi, invece, sulle quattro pareti si alternano i dipinti dei Sette vizi capitali di Jacques De Backer: sono le inclinazioni profonde, morali e comportamentali dell’animo umano, chiamati anche peccati e si oppongono alle virtù, che promuovono la crescita spirituale.
I disegni, le sculture e gli oggetti in mostra sono un campione altamente rappresentativo del lavoro di Jan Fabre, un dialogo serrato e scioccante con gli antichi maestri italiani e nordici del Rinascimento e del Barocco. Da un lato, questi confronti pongono l’artista in una luce nuova; dall’altro, ci consentono di osservare il padiglione meridionale della pinacoteca da una prospettiva diversa.
*Jan Fabre, Oro Rosso. Sculture d’oro e corallo, disegni di sangue