Tra sculture, dipinti e oreficerie, 14 opere salvate dalle macerie del terremoto de L’Aquila che parlano di sopravvivenza e, soprattutto, di rinascita. Il Forte di Bard omaggia il capoluogo abruzzese, con la mostra “L’Aquila, tesori tra XIII e XVI secolo”. Fino al 17 novembre.
Sono bastati 37 secondi, al terremoto del 2009, per uccidere centinaia di persone e danneggiare brutalmente un patrimonio storico, architettonico e artistico fra i più ricchi del centro Italia. Un avvenimento che continua a generare sconforto e malinconia. Eppure, almeno per quanto riguarda il patrimonio artistico aquilano, è proprio in questo momento che si fa strada una consapevolezza: la necessità di anni di accurati restauri ha generato un lavoro tanto approfondito sulle opere da averne talvolta riportato in vita l’identità originaria, per anni celata da aggiunte improprie che ne avevano alterato la morfologia. D’altra parte, le chiese riaprono come nuove, magari con qualche affresco appena svelato sotto l’intonaco.
Non tutti sanno che l’Aquila è una città d’arte dal glorioso passato, non solo centro economico e di transito ma anche centro artistico ricco di botteghe e scuole in grado di re-interpretare influenze fiorentine, romane e napoletane. Spesso sottovalutato, il capoluogo abruzzese è capace di togliere il fiato con i suoi monumenti, e tra ponteggi e gru che ne delineano lo skyline porta ancora i segni di un’antica eleganza e nobiltà.
A dieci anni dal sisma, il Forte di Bard, in Valle d’Aosta, omaggia il capoluogo abruzzese, con cui condivide uno scenario montuoso tanto bello quanto spietato. La mostra “L’Aquila, tesori tra XIII e XVI secolo”, ideata da Marco Zaccarelli, mette in scena una selezione di opere salvate dalle macerie. Sono 14, tra oreficerie, sculture in terracotta, pietra e legno, dipinti su tavola e tela. Alcune provengono dal Munda, Museo Nazionale d’Abruzzo, altre dalle chiese aquilane. Tutte, parlano di sopravvivenza, ma soprattutto di rinascita.
Dalla Madonna incoronata e Sposalizio mistico di Santa Caterina di Matteo da Campli, una piccola tavola tra i dipinti di maggiore fascino del primo rinascimento abruzzese, a l’Adorazione dei Magi e la Presentazione al tempio di Aert Mijtens, grandi dipinti commissionati al pittore fiammingo per adornare l’altare maggiore della basilica di San Bernardino, passando per il Sant’Equizio di Pompeo Cesura, in legno intagliato e dipinto, che rappresenta il santo che nel VI secolo propagò la fede tra i castelli della conca aquilana o per il San Sebastiano di Saturnino Gatti, in legno scolpito dipinto, il cui naturalismo è oggi enfatizzato dalla tonalità rosea dell’incarnato recuperato sotto pesanti ridipinture. Una raccolta di opere che celebra la rifioritura di una città, un assaggio che stuzzica nello spettatore la voglia di vedere di più.
Il progetto è promosso dall’Associazione Forte di Bard con il patrocinio della Città dell’Aquila e della Regione Abruzzo, e vede la partecipazione dell’Ufficio Arte Sacra e Beni Ecclesiastici dell’Arcidiocesi Metropolitana dell’Aquila e del Polo Museale dell’Abruzzo / MuNDA Museo Nazionale d’Abruzzo – enti prestatori delle opere – e della Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per la Città dell’Aquila e i Comuni del Cratere e del Segretariato Regionale dell’Abruzzo – Direzione Regionale per Beni Culturali e Paesaggistici dell’Abruzzo. La mostra è visitabile fino al 17 novembre.
A conclusione del percorso espositivo, la mostra fotografica di Marco D’Antonio “La città nascosta”, a cura di Eleonora di Gregorio. Il fotoreporter aquilano indaga l’Aquila notturna, svelando i luoghi proibiti in cui, a senzatetto e tossicodipendenti si mischiano i ragazzini che vagano per i vecchi palazzi dimessi di cui non possono ricordare l’antico splendore.