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Condannati a camminare. La scultura esistenzialista di Giacometti in mostra a Madrid

Alberto Giacometti, Uomo che cammina, 1960 Riehen Basilea, Fondation Beyeler, Beyeler Collection © Alberto Giacometti Estate - VEGAP, Madrid, 2019 Alberto Giacometti, Uomo che cammina, 1960 Riehen Basilea, Fondation Beyeler, Beyeler Collection © Alberto Giacometti Estate - VEGAP, Madrid, 2019
Alberto Giacometti, Atelier
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Il Museo del Prado e la Comunidad de Madrid rendono omaggio allo scultore svizzero, con una piccola ma raffinata mostra a cura di Carmen Giménez, costruita sul dialogo fra le sculture e i dipinti della collezione permanente, in un affascinante viaggio fra epoche e stili. Fino al 7 luglio 2019.

Madrid. Giacometti concepiva l’arte come un luogo ideale in cui passato e presente riescono a convergere; le 18 sculture e i 2 dipinti a olio che il Prado ha scelto di esporre nelle sue gallerie, in un percorso che si snoda fra Velázquez, Tiziano, Tintoretto, El Greco, Zurbarán, danno vita a un particolare dialogo estetico e concettuale esteso su quattro secoli di storia dell’arte.

Alberto Giacometti (1901 – 1966), elvetico di nascita ma cosmopolita per vocazione mentale, è stato uno dei più geniali e profondi scultori del Novecento, che dopo la fascinazione per le avanguardie negli anni Venti del secolo, preferì indagare un nuovo approccio per rappresentare la realtà. Ed è sul periodo della maturità di Giacometti, dal 1945 alla prematura scomparsa nel 1966, che si concentra la mostra; una fase in cui l’attenzione e l’indagine verso la figura umana sono pressoché totali nella sua produzione, in un tentativo senza requie di trascendere la mera apparenza superficiale dei volti e coniugare l’apparenza fisica con la verità dell’anima. Se fra gli anni Venti e Trenta l’arte tribale africana era stata il riferimento principale cui ispirarsi, seguendo del resto una tendenza che andava da Picasso a Modigliani, con il raggiungimento della maturità artistica alla fine del decennio, l’interesse di Giacometti si volge verso la scultura egiziana e mesopotamica arcaica, spingendosi sulla china dei millenni fino all’Età del Ferro. A livello stilistico la scelta comporta l’abbandono delle atmosfere surrealiste degli esordi in favore della ricerca della rappresentazione del reale, uno sforzo che lo ha fatalmente allontanato dal clima artistico del suo tempo interessato a sperimentare il nuovo, legandolo al contrario all’arte del passato. E quando il Prado trasferì a Ginevra buona parte della collezione permanente per salvarla dalle distruzioni della guerra civile, Giacometti, che non era mai stato a Madrid, non perse occasione per studiare da vicino  Van Eyck, Raffaello, Dürer, Goya, El Greco e Velázquez, gli stessi con i quali dialoga oggi a distanza di ottant’anni.

Alberto Giacomett, Grane donna IV, 1960 Riehen Basilea, Fondation Beyeler, Beyeler Collection © Alberto Giacometti Estate - VEGAP, Madrid, 2019
Alberto Giacomett, Grane donna IV, 1960 Riehen Basilea, Fondation Beyeler, Beyeler Collection © Alberto Giacometti Estate – VEGAP, Madrid, 2019

Al di là dell’evidente differenza di stile e di tecnica, il confronto non è accademico ma ha il pregio di dimostrare come vi siano differenti maniere di giungere alla rappresentazione della realtà del soggetto; dal fasto della civiltà barocca, la rutilante bellezza di cappe ed ermellini, che interpreta la magnificenza della corte, così come del ceto militare, Giacometti, in quello che sembra un gioco di opposti, scopre l’essenza primordiale dell’umanità espressa per tramite di una sobrietà formale che rasenta la scarnità; a tal proposito, parafrasando il giudizio del Momigliano su Leopardi, si può celebrare la “sublime povertà” del tratto di Giacometti. Una semplicità di stile forse pensata per non appesantire l’anima di quelle sculture e impedire loro di volare; perché queste figure, che portano il fardello di tre millenni di storia umana, possiedono la leggerezza degli Dèi, e come i barocchi personaggi di El Greco, esprimono una poetica impregnata dalla visione soggettiva e trascendente del mondo; figure femminili che, seppur statiche, lasciano l’impressione di essere sul punto di librarsi e danzare come farfalle, di liberare lo spirito alle speculazioni del pensiero; un’attitudine che ricorda la leggiadria della civiltà Sogdiana o etrusca, o, volgendosi al campo della letteratura, certi personaggi di Blaise Cendrars.

Alberto Giacometti, Uomo che cammina, 1960 Riehen Basilea, Fondation Beyeler, Beyeler Collection © Alberto Giacometti Estate - VEGAP, Madrid, 2019
Alberto Giacometti, Uomo che cammina, 1960 Riehen Basilea, Fondation Beyeler, Beyeler Collection © Alberto Giacometti Estate – VEGAP, Madrid, 2019

Esiste una splendida fotografia dello scultore, presa in Rue d’Alesia da Henri Cartier-Bresson, mentre sotto una pioggia scrosciante attraversa la strada, appena riparato da un impermeabile bianco. Per analogia, tornano alla mente i versi d’apertura di un celebra brano di Bob Dylan, con il protagonista che vaga smarrito nel giorno di Pasqua sotto la pioggia di Juarez. E il senso ultimo dell’arte di Giacometti risiede in quell’Uomo che cammina, simbolo sia dell’umanità che prosegue imperterrita la sua strada anche dopo le tragedie della Seconda Guerra Mondiale, sia, più in generale, di una condizione esistenziale obbligatoriamente votata ad andare avanti, a esplorare forse impossibili significati ultimi, o, al minimo, a mettere quotidianamente alla prova la semplice capacità di guardarsi intorno e di misurarsi con l’altro. Un cammino lungo e difficile, ma non per questo l’individuo è esentato dal compierlo.

Alberto Giacometti, Il carro, 1950 Zúrich, Kunsthaus Zürich, Alberto Giacometti-Stiftung, 1965 © Alberto Giacometti Estate - VEGAP, Madrid, 2019
Alberto Giacometti, Il carro, 1950 Zúrich, Kunsthaus Zürich, Alberto Giacometti-Stiftung, 1965 © Alberto Giacometti Estate – VEGAP, Madrid, 2019

L’ultima fase della carriera di Giacometti ha caratteri esistenzialisti, tesa com’è a misurare la solitudine dell’umanità, suggerita da quelle forme scarne, al limite della brutale freddezza; in realtà, cariche di spigolosa determinazione, di abitudine a guardare le stelle, di coraggio della libertà.

Alberto Giacometti, Donna veneziana VI, 1956 Saint-Paul-de-Vence, Fondation Marguerite et Aimé Maeght © Alberto Giacometti Estate - VEGAP, Madrid, 2019
Alberto Giacometti, Donna veneziana VI, 1956 Saint-Paul-de-Vence, Fondation Marguerite et Aimé Maeght © Alberto Giacometti Estate – VEGAP, Madrid, 2019

*Alberto Giacometti, Atelier

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