Angela Madesani ci racconta il lavoro di Sergio Scabar, in mostra a Gorizia a Palazzo Attems Petzenstein fino 13 ottobre
Prima il racconto e il reportage con riprese in esterno e un’attenzione particolare agli spazi ampi e alla luce naturale. Poi, per l’artista autodidatta Sergio Scabar, non è più la figura umana al centro della sua ricerca ma è la natura, la forma e l’essenzialità degli oggetti ad attirare la sua attenzione. E da qui il suo lavoro si concentra sull’aspetto materico dei soggetti, in bianco e nero o a colori e, dalla serie Still Life, passa alla Natura Morta, la sua produzione più importante. Il suo tratto distintivo si riconosce in una particolare tecnica di ripresa a stampa “alchemica” che gli consente di ottenere, sempre in esemplari unici, tonalità opache scure, nell’area cromatica tra il testa di moro e il nero.
Palazzo Attems Petzenstein, il più maestoso edificio settecentesco goriziano, espone quasi 300 fotografie di Scabar, seguendo un andamento cronologico con una prima fase sul genere del Reportage e una seconda dedicata alla sua ricerca più riflessiva e sperimentale alla quale si è dedicato dagli anni Novanta.
L’esposizione di Sergio Scabar, a cura di Guido Cerere e Alessandro Squinzi, è stata presentata a Milano presso MiCamera in via Medardo Rosso 19 e si arricchisce di un prezioso catalogo, dove le opere dell’artista sono raccontate dai testi dei due curatori e da un altro testo firmato da Angela Madesani.
E, attraverso le parole della storica d’arte e curatrice Madesani, si apre il mondo di questo artista poco conosciuto al grande pubblico ma raffinato, colto e profondo nella sua fotografia come nella pittura o nell’incisione. “Credo di avere visto per la prima volta il lavoro di Sergio Scabar presso la galleria Lipanje Puntin a Trieste. Erano i primi anni del 2000 e ne sono rimasta incuriosita e colpita”. Approda nella casa di Scabar di Ronchi dei Legionari e scopre la sua personalità. “La sua è una casa studio, in cui tutto è intriso del suo lavoro quotidiano di ricerca, di studio e di sperimentazione. Vi sono molti libri, molti ritagli, molte immagini. È indubbiamente un luogo di cultura dove sono le tracce di un cammino anticonformista di chi del mondo dell’arte è stato al contempo interprete e osservatore intelligente”.
Angela Madesani parla del lavoro di Scabar come un’elegia di minimi e, tra parallelismi con gli artisti a lui contemporanei, cita Giorgio Morandi. “È un pittore che Scabar ama da sempre e come lui utilizza sempre gli stessi attori, un uovo, una ciotola bianca, una bottiglia, un vecchio libro. L’indagine va ben oltre una possibile dimensione narrativa. I suoi oggetti sono portatori di un’aura che ne determina l’unicità, la non banalità per quello che rappresentano all’interno della sua storia”. Come un regista perfezionista e severo l’autore crea i teatri delle cose come dei tableaux vivants. “Registra nelle sue immagini le ciotole piene di pigmento scuro. È quello che gli serve per lavorare alle sue fotografie. Per tingere le sue cornici, parti integranti dell’opera”. E infatti lui fabbrica da solo tutte le sue cornici. Ma, come sottolinea la storica dell’arte, l’artista non è un artigiano ma un uomo raffinato e colto.
“Nel momento storico in cui ci troviamo a vivere, fatto di comunicazione, di social, di consumismo delle immagini sfrenato ed esasperato, una ricerca come la sua che da oltre 50 anni è coerente con se stessa può essere considerata decisamente trasgressiva. Dove la trasgressione è costituita proprio dall’atteggiamento profondo con il quale affronta le problematiche. L’artista va ben oltre qualsiasi forma di apparenza, di superficialità per giungere a una pienezza poetica in cui hanno un peso portante il vuoto e il silenzio”.
Sergio Scabar Oscura Camera (1969-2018)
28 giugno – 13 ottobre 2019
A cura di Guido Cecere e Alessandro Quinz
Musei Provinciali di Gorizia
Palazzo Attems Petzenstein
Piazza E. de Amicis, 2 Gorizia
Grandissimo Scabar, unico nel suo genere.
Grandissimo Scabar, unico nel suo genere.