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Sfruttamento improprio delle opere d’arte per scopi di marketing. Il caso Ai Weiwei-Volkswagen

Ai Weiwei (foto artnet) Ai Weiwei (foto artnet)
Ai Weiwei (foto artnet)
Ai Weiwei (foto artnet)

La riproduzione di un’opera d’arte contemporanea per promuovere un prodotto, senza il consenso dell’artista che ha realizzato l’opera, costituisce una violazione dei diritti d’autore.

Lo ha recentemente ribadito anche un tribunale danese adito da Ai Weiwei(Pechino, 28 agosto 1957) che lamentava l’utilizzo non autorizzato da parte di Volkswagen della sua opera intitolata “Soleil Levant”,costituita da più di 3.500 giubbotti di salvataggio arancioni raccolti da rifugiati e migranti sbarcati sull’isola greca di Lesbo,realizzata nelle vetrine del KunsthalCharlottenborgdi Copenaghen in occasione del World RefugeeDay 2017.

Nel caso in esame la casa automobilistica aveva utilizzato la famosa installazione di Ai Weiwei come sfondo per promuovere il lancio della nuova Polo nell’ottobre 2017, senza alcun consenso e potendo lasciar sottintendere che l’artista avesse accettato di concedere in licenza i diritti di riproduzione del suo lavoro.

La vertenza ha suscitato grande eco sulla stampa internazionale, anche in seguito ai post lanciati dall’artista stesso sul proprio profilo Instagram.

Ai Weiwei (foto artnet)
Ai Weiwei (foto artnet)

Il Tribunale ha condannato il distributore danese del gigante automobilistico, Skandinavisk Motor, a corrispondere all’artista 1,75 milioni di corone danesi ($ 260.000) a titolo di risarcimento per quello che ha descritto come “uno sfruttamento improprio delle opere d’arte per scopi di marketing”.

La pronuncia riconoscela centralità del ruolo dell’artista e ribadisce che non è possibile sfruttare un’opera d’arte protetta da diritto d’autore senza consenso dell’artista, in Danimarca (come in Italia),anche nel caso in cui l’opera stessa sia “all’aperto” o comunque visibile dalla strada.

Ai Weiwei (foto artnet)
Ai Weiwei (foto artnet)

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