Una collezione ‘reale’ che vanta i protagonisti assoluti del Seicento e del Settecento, allestita in una delle sedi museali più belle al mondo. E che nasce dall’idea di avvicinare il mondo del collezionismo privato e delle Gallerie d’arte a quello dei Musei. Ne abbiamo parlato con il protagonista della mostra, l’antiquario Cesare Lampronti.
Una collezione che potremmo definire ‘reale’ considerata la prestigiosa location che la ospiterà fino al 16 gennaio 2020. “Da Artemisia a Hackert” è una selezione di opere che farebbe la felicità e la fortuna di molti musei, indubbiamente una delle esposizioni più importanti ospitata nella Reggia di Caserta negli ultimi anni per la qualità, lo stato di conservazione delle opere e i nomi degli artisti presenti in mostra, tra i più importanti e rappresentativi del Seicento e del Settecento: Artemisia Gentileschi, Massimo Stanzione, Bernardo Cavallino, Mattia Preti, Pietro Da Cortona, Rubens, Van Hontorst, Cagnacci, Carracci, Pompeo Batoni, Guercino, Canaletto, Bernardo Bellott, Vanvitelli e cosi via, solo per fare alcuni nomi.
Due secoli cruciali nella storia dell’arte e che vedono l’Italia protagonista assoluta della scena internazionale, una tappa obbligata nella formazione e nella carriera degli artisti di tutto il mondo.
Concept della mostra
Una collezione reale dunque, la collezione di una vita, nata dall’intuito e la passione di un antiquario, Cesare Lampronti. Per la prima volta infatti, una grande sede museale statale rende omaggio alla collezione di un antiquario italiano.
Tutto è nato da un’opera, il ‘Porto di Salerno visto da Vietri” (1797) di Jakob Phillipp Hackert, il ‘pezzo’ mancante della serie dei Porti realizzata dall’artista per i re Ferdinando IV di Borbone . Una committenza prestigiosa – la più importante per quello che all’epoca era considerato il più importante pittore europeo di paesaggio- che prevedeva di ritrarre, in dipinti di grande formato, i Porti dei Regni delle due Sicilie, in gran parte conservati presso la Reggia di Caserta.
Il collegamento con la nascita del progetto espositivo lo ha sottolineato Vincenzo Mazzarella– responsabile della valorizzazione della Reggia di Caserta- durante la presentazione alla stampa:
“La mostra nasce dall’intuizione del Dottor Felicori (il precedente Direttore della Reggia di Caserta n.d.r.) che si reca a Londra, presso la Lampronti Gallery per cercare di fare acquistare al Mibac il quadro di Hackert. Felicori ritorna senza ‘Il porto di Salerno’ ma ritorna con Cesare Lampronti e mi dice di avere un’idea: costruire una mostra non con un artista o su un’epoca o una scuola ma su un antiquario. Una mostra dal punto di vista dell’antiquario collezionista”.
La mostra, rappresenta dunque l’occasione (diificilmente ripetibile) per i visitatori di vedere l’intera serie dei ‘Porti’ del Regno, recentemente restaurata. Il Porto di Salerno visto da Vietri, con in primo piano pastori e altre figure e sullo sfondo il Castello Arechi e imbarcazioni nella baia, rappresenta non solo il dialogo tra le opere selezionate per la mostra e la Reggia di Caserta che le ospita ma anche il simbolo di un rinnovato dialogo tra le istituzioni pubbliche e il mondo del collezionismo privato.
A suggellarlo anche due preziosi doni della Lampronti Gallery alla Reggia di Caserta: Il ‘Martirio di Sant’Agata’ di Salvator Rosa del ‘600 e il ‘Ritratto del Cardinale Antonelli’ (1761) di Pompeo Batoni, di cui la Reggia possiede già alcune splendide opere .
Una relazione ‘complicata’: intervista a Cesare Lampronti
Un rapporto – quello tra gli antiquari, i collezionisti privati e la dimensione pubblica – che nel tempo si è fatto sempre più complicato, irrigidito da una burocrazia che più che tutelare sembra immobilizzare la circolazione delle opere nel nostro paese.
Ne abbiamo parlato con lo stesso Cesare Lampronti che, proprio per questo motivo, nel 2013 ha lasciato Roma – dove nel 1914 suo nonno Cesare aveva fondato la celebre Galleria di via del Babuino – per approdare a Londra con un nuovo spazio espositivo in Duke Street, St James’s , una sorta di finestra sull’arte e sulla cultura italiana nel mondo internazionale.
Si augura che questa mostra rappresenti per lei e i suoi colleghi un nuovo rapporto con la dimensione pubblica dell’arte?
In effetti questo rapporto era già iniziato nel corso di una mostra a Palazzo Venezia che aveva appunto il significato di una collaborazione tra le sovrintendenze e gli antiquari. Un esperimento in parte riuscito. Poi, con il mutare di certe condizioni in seno alla sovrintendenza, non c’è stata più la possibilità di ricucire questo rapporto con una cecità e un ostracismo nei confronti del nostro lavoro che ci hanno indotto a interromperlo, anche per la nostra dignità professionale. Spero che, dopo la delusione di quanto avvenuto dopo la mostra di Palazzo Venezia, questo possa essere un trampolino, non tanto per me come antiquario, ma per tutti i miei colleghi antiquari e per i collezionisti. La speranza è che si possa ricucire uno strappo che per il momento è abbastanza evidente tra le istituzioni e il collezionismo -che in questo momento viene quasi demonizzato- e gli antiquari che vivono un’atmosfera e delle situazioni che definire illogiche è poco.
All’estero antiquari e collezionisti possono operare in una situazione diversa da quella italiana?
Tutti i paesi hanno aderito-riguardo il tema della tutela e della circolazione dei beni culturali- al Trattato di Maastricht, tranne due: Italia e Grecia. Guarda caso sono i due paesi che hanno maggiori difficoltà in Europa.
Quali dovrebbero essere le condizioni per un ritorno della Lampronti Gallery a Roma?
Innanzitutto che gli antiquari venissero trattati in un modo diverso da come vengono trattati ora in Italia. In Inghilterra l’antiquario è una persona di cultura, che lo Stato aiuta a ‘fare cultura’. Qui in Italia come una sorta di simbolo del Capitalismo ma non è così: io sono laureato in Scienze Economiche e le posso dire che se avessi scelto di fare il commercialista sarei più ricco di quello che sono facendo l’antiquario.
Con la cultura ‘non si mangia’?
Guardi uno qualsiasi di questi quadri presenti in mostra. Non è un oggetto che può dare profitto soltanto a un antiquario. Dietro questo quadro c’è il lavoro di un intelaiatore, un restauratore, un corniciaio, un fotografo, un assicuratore. Il mondo dell’antiquariato in Italia genera un indotto per 500.000 famiglie mentre la percezione generale è quella di poche decine di persone interessate unicamente a piazzare il pezzo. Noi avevamo un’eccellenza in Italia che era il mondo dei restauratori. Avevamo i più bravi restauratori del mondo, veri e propri artisti. Avendo demonizzato questo mondo, creando difficoltà al commercio, oggi non abbiamo più nemmeno questa eccellenza perché preferiscono sempre di più operare all’estero, mentre altri, seppur bravissimi, sono disoccupati. Anche con un provvedimento di politica economica, ci vorranno molti anni prima di ristabilire tutto, ci vorranno generazioni prima di tornare al livello di prima.
Voi come categoria come avete tentato di opporvi a questa situazione che si è sviluppata nel corso degli anni e che ci sta descrivendo?
Come Vice Presidente degli antiquari italiani ho combattuto per anni e ho avuto anche discrete carte in mano ma le posso assicurare che il Ministro conta ben poco: quel che conta è la burocrazia che sta dentro i ministeri e contro quella non si combatte.
Nel nostro paese forse la figura del collezionista e dell’antiquario vengono in qualche modo ‘demonizzate’ per i timore che possano portare all’estero le opere italiane, lei invece ha contribuito a riportare nel nostro paese moltissimi quadri antichi…
Io ho portato circa 12.000 opere dall’estero in Italia, quando c’erano le condizioni per farlo.
In base a quale criterio ha selezionato le opere della Lampronti Gallery per l’esposizione alla Reggia di Caserta?
Queste sono tutte opere che hanno catturato in me una certa passione e che hanno ovviamente un nesso storico e logico con la Reggia di Caserta, come ad esempio tutto il Seicento napoletano.
C’è un aspetto particolare dell’esposizione che vuole sottolineare?
C’è il Caravaggismo nordico che è molto interessante: ci sono molti pittori nati nelle Fiandre ma che hanno operato in Italia -per loro il viaggio in Italia sotto il profilo culturale era un obbligo – e in qualche maniera poi hanno saputo ottenere grandi risultati perché hanno mantenuto quella tecnica analitica tipica della pittura fiamminga ma che hanno poi un po’fuso con il ‘sole’ e il sentimento italiano, raggiungendo risultati importanti.
Il percorso espositivo
Una mostra che si basa sul punto di vista di un antiquario collezionista, risente evidentemente del particolare gusto del proprietario delle opere che, nel caso di Lampronti, è particolarmente orientato verso la pittura barocca e la pittura di genere, prevalentemente di paesaggio.
Tuttavia, possiamo senz’altro affermare che la quantità e la qualità delle opere selezionate riesce a incarnare perfettamente lo spirito dei due secoli passati in rassegna, attraverso un allestimento tematico in grado di esaltare la particolarità di ogni opera.
Il percorso espositivo che si snoda nella Sala degli Alabardieri, nella Sala delle Guardie del Corpo e nelle Retrostanze settecentesche degli appartamenti storici, si divide in cinque grandi aree tematiche: pitture caravaggesche; pittura del ‘600; vedute; paesaggi e nature morte.
Spiccano, tra i tanti capolavori, una luminosa ‘Betsabea al bagno’ di Artemisia Gentileschi e il prodigioso dipinto di Bernardo Cavallino che chiude la selezione napoletana.
Anche nel gruppo dei dipinti della scuola romana si possono ammirare opere che partendo dalla rivoluzione di Caravaggio giungono a fortunati esiti luministici tra i quali il capolavoro del Cavalier d’Arpino, la ‘Fortuna con i due tritoni”che si discosta da altre iconografie analoghe rappresentando la Fortuna tra due tritoni che rimandano alle figure mitologiche dei satiri.
Così come ci ha anticipato Cesare Lampronti, non mancherà di stupire anche la sezione del caravaggismo nordico – conosciuto dal grande pubblico prevalentemente per le scene tenebrose illuminate dalla luce di un lume di Gerard van Honthorst (qui presente con un’opera erotica ‘Scena di Seduzione”) meglio conosciuto come Gherardo delle Notti- dove risalta, tra le varie opere, il ‘San Pietro in preghiera ” di Matthias Stom.
Nella sezione dei dipinti di figure , spiccano autentici capolavori di Annibale Carracci – splendida la sua Madonna che si eleva su una Bologna di fine Cinquecento- Domenichino, Guercino, Pompeo Batoni e altri illustri maestri dell’epoca. Rapisce, tra i tanti dipinti, la sensuale ‘Allegoria della vita’ di Cagnacci, rappresentata dalla carnalità del corpo morbido e nudo di una giovane donna circondata da una serie di simboli spirituali, tra i quali la clessidra che tiene in mano.
Si passa al Grand Tour con le classiche vedute veneziane di Canaletto e Bellotto – affiancate anche da alcuni ‘capricci architettonici’ – ai quali si aggiungono anche altri artisti come Francesco Guardi e Michele Marieschi. Una menzione a parte merita il ‘Capriccio delle prigioni di San Marco” del Canaletto, dipinto per il suo grande mecenate e agente Smith Consul Joseph e successivamente passato con gran parte della sua collezione al Re Giorgio III nel 1672.
Seguono giardini incantati, fresche cascatelle e luminose vedute di Napoli e altri luoghi pittoreschi cristallizzati nelle opere di Gaspar van Wittel meglio conosciuto come Vanvitelli, mentre nella sezione dedicata ai paesaggi troviamo “Il porto di Salerno visto da Vietri” di Jakob Philipp Hackert che, come abbiamo già accennato, ha dato il via alla mostra.
Chiude la rassegna una splendida selezione di nature morte, diverse per stile ma unite da una sorta di nascosta spiritualità che culmina nelle due “Vanitas” di Francesco Solimena. Come scrive Vittorio Sgarbi– coordinatore dell’esposizione- nel testo critico del catalogo che vanta i contributi dei principali esperti di ogni singolo artista presente in mostra :
“Le due Vanitas sono il sigillo sull’opera di Lampronti, e sul nostro desiderio di esistere fuori della nostra vita proiettando la nostra anima in quella degli artisti che abbiamo guardato e sentito, e che ci sopravvivono. Non saremo vissuti invano. Saremo andati al di là del tempo dela nostra vita”.
Di seguito la nostra gallery con alcune foto dell’allestimento:
Per informazioni: +39 0823 448084 – www.reggiadicaserta.beniculturali.it