Print Friendly and PDF

Artissima, Flashback e il Gattinara. Il Motel Nicolella alla Torino Art Week 2019

Qui al Motel Nicolella il tempo è plumbeo. Artissima e Flashback ormai ogni anno sono incorniciate da un cielo grigio Armani che chiama alla memoria la Mirafiori degli anni ’70, con gli operai che vanno in fabbrica e il fumo di sigaretta che esce dalle loro Fiat, blu petrolio (ho finito con le metafore cromatiche).

Eppure in questa Torino Art Week 2019 c’è qualcosa di differente, di diverso. Parlo di ospiti in città (qualcuno dei miei colleghi scriverebbe “vibrazioni”, ma se mi leggete sapete che quel lessico lì non lo userò mai manco sotto tortura). Sono nutrite insomma le delegazioni di collezionisti internazionali che hanno scelto di venire, più degli scorsi anni sicuramente. È stato fatto un buon lavoro da parte delle fiere per intercettare qualche nuovo papabile compratore, e alla fine questa resta la differenza centrale tra una fiera che funziona e una che non ce la fa.

Poi gli eventi collaterali, moltissimi, aiutano a impreziosire il coté dell’offerta sabauda.

Servirebbe restare in città almeno quattro giorni per vedere tutto come si deve, se non si vuole liquidare la fiera in poche ore e comunque perdere per strada qualcuna tra OGR, Rivoli, Sandretto, etc…

Andando con ordine: Flashback, la fiera dedicata all’antico e moderno (anche se a definirla così le due direttrici Stefania e Ginevra mi cazziano perché “l’arte è tutta contemporanea”) è giunta alla sua quinta edizione e mi pare molto ben consolidata. 50 stand, ordinati e visitabili in entrambi i sensi. Tanta bella roba di qualità con qualche chicca da fiera ormai adulta, come un olio di Gaugain e due rarissime tavole del Vasari. Per problemi personali di cuore (è uno dei miei artisti preferiti) allego la foto di un delizioso lavoro di Aldo Mondino da Benappi.

In pochi passi ci si muove dal Pala Alpitour e si arriva all’Oval, avveniristica struttura in vetro e acciaio che qualifica l’imponente brutalismo del Lingotto. Meno male che c’è, l’Oval, perché senza sembrerebbe di camminare nella più livida periferia di Kiev.
Capace di contenere 8 500 spettatori, ospita una pista di 400 metri di lunghezza per 12,6 di larghezza. Costruito tra l’area del Lingotto e l’area ex-Avio, è stato collegato durante il periodo olimpico con la stazione di Torino Lingotto, dopo i Giochi Olimpici è diventato un’area espositiva e fieristica integrata nella struttura del Lingotto Fiere.

Artissima è fedele al suo spirito, cerca di portare in fiera un ragionevole lavoro di ricerca assieme a una imponente mole di capolavori consolidati e richiesti dal mercato. Molto bello lo stand di DepArt interamente dedicato ad Alighiero Boetti, ad esempio, oppure le tele rosse della regata a Venezia di Melissa McGill da Mazzoleni.

Passeggiando seguendo le ormai celebre strisce colorate che dividono le diverse sezioni si coglie immediatamente una modesta presenza di pittura a fronte di una gran quantità di installazioni varie.

Un mio caro amico art advisor mi ha chiesto: “tutte questi collezionisti dove le mettono queste opere? non hanno cani o bambini che girano per casa in terra?”.
E in effetti, a latere della domanda naif ma non scema, viene in mente quello che ripete ogni santo report sulle vendite d’arte nel mondo: il 75% del mercato è pittura. Dunque sarebbe più saggio, o quantomeno più conveniente per le gallerie, offrirne un po’ di più.

Tra i quadri che si trovano appesi ad Artissima, e che mi hanno convinto, c’è sicuramente questo olio di Iva Lolashi da Prometeo Gallery. Un po’ pasoliniano, un po’ pecoreccio, certo molto violento. Non si capisce se è una scappatella, una camporella, o uno stupro.

Iva Lolashi da Prometeo Gallery

Anche questo lavorone da parete di Thomas Braida da Monitor niente male davvero. Mi ha ricordato il Padiglione Lituano della scorsa Biennale. Tutti in spiaggia.

Thomas Braida alla galleria Monitor

Senza giri di parole infine, il più interessante lavoro trovato in fiera (di sicuro il più instagrammato) è probabilmente quello della inedita galleria saudita di Gedda. Un intervento difficile da non fotografare appena ti si manifesta davanti agli occhi, che coniuga tubi di plastica con pittura in una maniera davvero coerente, potente, e convincente. Più dal vivo che in foto. Un’installazione che starebbe molto bene in un museo, o una grande Fondazione.

Muhannad sono da ARTHR Gallery Jeddah

Le mille mostre in giro per Torino non le ho potute vedere. Non sono nemmeno riuscito a passare a Bruttissima, ma ho avuto il piacere di far due parole con il fondatore che mi ha assicurato che, l’anno venturo, non la faranno itinerante ma avrà un posto suo.

Ah, il Club to Club. Dimenticavo che ogni sera c’è questa rassegna che porta in città il meglio dell’elettronica mondiale. Sono stato alla prima di queste venue, alle OGR, e parlando con Carlo Pastore (uno dei super consulenti alla direzione artistica) ho realizzato che è grande il lavoro fatto per mettere in piedi questa macchina. E che dovrebbe trattarsi di un qualcosa di qualitativo sotto tutti gli aspetti.

Tuttavia, all’alba dei 38 anni, non me ne frega niente. A me piace la musica con le chitarre e questi ritrovi notturni di smanettoni di Ableton e Tractor innaffiati da fiumi di Vodka con troppo ghiaccio nel bicchiere di plastica li lascio a chi di dovere. Non è il mio. Non lo è mai stato.

Il Gattinara e la guancia brasata di vitello da Scannabue a San Salvario, per contro, sono sempre eccellenti, andate lì.

Commenta con Facebook

leave a reply

*