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L’arte contemporanea non è per tutti. Ma il digitale sì

La banana di Maurizio Cattelan

Uno dei grandi ritornelli che sento ripetere da anni é che gli artisti hanno la capacità di vedere il futuro, di intuirlo. E in seguito, eventualmente, raccontarlo. Tutti gli altri da loro dovrebbero poter imparare.

Che detta così suona un po’ come: “rosso di sera bel tempo si spera”. Poi però sono arrivate le previsioni del tempo.

In franchezza, da quello che vedo in giro, pare invece siano proprio gli artisti che dovrebbero dare un’occhiata a chi gli sta intorno, perché il mio feed di Instagram, al netto delle vanità in vetrina tipo Amsterdam (cit), alle volte vanta contenuti molto più interessanti e innovativi di quel che passa in fiera.

L’artista di oggi ripropone minestre che erano vecchie già trent’anni fa.

Abbiamo strascichi di concettuale, materiali domestici a cui doniamo la nobiltà dell’esperienza espositiva semplicemente appoggiandoli in un contenitore adatto all’arte, video di modesta fattura che dovrebbero portare in dote semantiche spesso introvabili. Il senso è nascosto così bene che non c’è.
Per non parlare della creta o della ceramica rivisitate, del pezzo di metallo lavorato sì ma sempre in maniera molto grossolana almeno non si capisce cosa volevamo dirti, quello di legno usurato dal tempo, la pittura iperrealista oppure quella naïf.
Con la squisita scusa del voler raccontare storie, che presuppone nello sguardo dello spettatore un atto di fede più valoroso di quello di un frate trappista, gli artisti ci propongono intricati meccanismi di tesi e antitesi.

“L’arte contemporanea non é per tutti”.

La banana di Maurizio Cattelan

Eh già. Anche questa l’avrai sentita spesso. Resta da chiedersi a chi sia destinata a questo punto, giacché al netto dei milionari che la collezionano (spesso a titolo di diversificazione) non sembra raccogliere più l’attenzione del pubblico. Quello stesso pubblico che però pubblica sulla sua bacheca privata una classifica annuale sui libri e film che più gli sono piaciuti.
Con l’arte non lo fa.
Forse non ricorda i nomi.

Un altro aspetto molto curioso di questo settore é la boria di chi vi appartiene. Ci si annusa il culo agli opening come i cani al parco, la sera, quando scappa la pipì. Eppure fuori da quelle gallerie, da quelle serate esclusive (esclusive in maniera relativa in realtà, perché al mondo ci sarà sempre qualcuno più esclusivo di te, che fa parte di un circolo in cui non sei benvenuto), in pochi sanno di chi, e soprattutto di cosa, si stia parlando.

Una spiegazione c’è.

Semplicemente, l’artista di oggi non é contemporaneo. Non é al passo coi tempi.
Non affronta il mondo attuale, il mondo digitale.
Non lo fa se non in maniera superficiale, lo accarezza al massimo.

Eppure il digitale ha cambiato completamente la nostra vita. Possiamo affermare serenamente che la nostra vita “reale” è digitale, non esiste più nessuno scollamento. Pensaci. Non stai leggendo queste righe su un foglio di carta stampato in una rotativa, lo stai leggendo su uno smartphone. Noi acquistiamo prodotti sul digitale, ci lavoriamo, ci compriamo biglietti aerei e del treno, ci informiamo, prenotiamo visite mediche, scopriamo località turistiche, teniamo i nostri risparmi, li investiamo, e soprattutto… condividiamo la nostra vita privata.

Il digitale sostanzialmente risponde ad una delle più importanti domande della contemporaneità: il risparmio di spazio. La nostra valigia è uno smartphone, e lì dentro ci teniamo la nostra vita.

Il digitale allora non è qualcosa di altro da noi, il digitale siamo noi. Proprio adesso.

Eppure l’artista contemporaneo sembra non rendersene conto.
L’artista non conosce l’uso dei software.
É incredibile. Lo so. Fa un po’ ridere.
Ma se eventualmente ha un’idea, un’intuizione, al massimo si rivolge ad uno sviluppatore per confezionarla.
Il che é grottesco se ci pensi, visto che i software rappresentano i colori odierni.

Michelangelo prima di scolpire amava scegliere il marmo migliore nelle cave della Versilia. Conosceva e maneggiava con sapienza la materia del suo tempo, la materia con cui avrebbe creato le sue opere.
L’artista contemporaneo invece, quello da scuderia, fa arte povera.
Nel 2020.

E allora, cari artisti, fatevi un giro su Instagram, su Pinterest, su Tik Tok. Fatevi un giro nel mondo. Per guardare come é cambiato. Andate a vedere di cosa sono capaci quelli che non si chiamano artisti tra di loro, che creano per esigenza espressiva e non per vendere nulla a nessuno.
Magari vi si accende una lampadina.
Magari no.
Ogni tempo ha i suoi tempi.

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