Arrivo leggermente in anticipo, ho tempo di mangiare una brioche congelata in un bar vicino al suo studio, la scelta è ridotta ai minimi termini, vorrei uscire, ma evito: la barista mi ha già guardato in faccia, non posso far altro che scegliere, indicare l’oggetto indesiderato ed essere cortese.
Fra pochi minuti avrei incontrato Irma Blank, a Milano, in gennaio.
Salgo le scale, come fossero una piccola fatica da superare, un gesto iniziatico prima dell’avvicinamento. Non ho preparato domande, non è un’intervista, voglio conoscerla: per tutta la vita ha anticipato la scrittura, poco prima che il segno diventi codice. L’alfabeto è un sistema stabile, che va utilizzato e distribuito sulla pagina, un apparato disciplinato. Irma Blank lo nega imitandolo, perché la narrazione non corrisponde ai nostri bisogni primari, la parola non ha nulla da spartire con la respirazione. La parola arriva dopo, arriva dopo il segno.
È la stessa ragione per cui vengo corretto quando parlo del suo lavoro come nuovo linguaggio.
Mi appunto qualche frase su una piccola agenda nera, qualcosa che dovrebbe chiarire il malinteso.
Non c’è più distanza tra il fare e l’esistere / mimesi tra scrittura e vita
Ogni segno corrisponde al ritmo della respirazione
Non è un nuovo linguaggio, perché non è una nuova scrittura. È il fare, è l’esigenza di respirare che si manifesta in un segno (matita, biro, pennello) che occupa (la pagina, la tela, il libro).
Ho in mente sei anni di lavoro; Trascrizioni (1973 – 1979), fogli di carta su cui vengono riportate pagine di libri o giornali sostituendo le parole con dei segni, ondulati, longitudinali: una trascrizione di pagine su altre pagine, riga per riga. Il racconto perde la sua funzione narrativa. È come se venisse proiettata una lampada di Wood sulla pagina originale e lentamente comparisse il sottostante, quello che precede il significato, i solchi di un aratro e la fatica dell’animale costretto a trascinare, i sassi, i cocci di antichi vasi, forse romani, forse nostre dimenticanze capitate lì per caso. La respirazione è un bisogno che si deposita sulla pagina.
La figlia è seduta vicino a Irma, si assomigliano. Mi chiede se voglio un caffè, accetto.
Lavora solo con il braccio sinistro, il destro è quasi paralizzato, lavora perché un’apnea prolungata non permette la sopravvivenza. Mi confessa che, negli anni Ottanta, quando ha iniziato a prendere i colori in mano e a dipingere la notizia fu accolta con una certa titubanza, come se stesse deviando la ricerca, se iniziasse a fare altro. Non si scrive dipingendo e il cambio di casacca non è perdonato dalla platea. Ma se la scrittura è pre-scrittura, se il tratto percorso dal colore corrisponde al tempo della respirazione, se le righe si susseguono con precisione editoriale, la pittura diventa strumento innocuo, che non smonta nulla. È sempre la stessa lampada di Wood: la mano si stacca quando si interrompe la respirazione, la pittura rende ancora più evidente il passaggio: non c’è nulla sotto se non l’azione, il fare, non c’è nulla se non l’insistenza del respiro, la sopravvivenza dell’animale, dello scrittore. Succede poco in quella riga di colore, è un ritratto sintetico di pochi secondi, un autoritratto, forse il volto, forse il braccio, forse l’orecchio.
La stanza ha soffitti alti, la stanza è grande, sembra quasi spoglia malgrado opere imballate e appoggiate alle pareti, mensole con pile di libri, un tavolo su cui appoggio la mia tazza e tre persone che si stanno guardando e alternano la parola. Prendo qualche appunto, ci sono brevi pause, sento tutto il peso della mia penna appoggiata alla pagina, la mia calligrafia è pessima, disordinata, affaticata. Attendo che ricominci a parlare, faccio pochissimi domande, racconto chi sono.
Voglio solo conoscerla.
Gennaio è il mese in cui si ricomincia a vivere dopo le feste, in cui si fanno buoni propositi per l’anno appena iniziato. Probabilmente vorrebbe che me ne andassi, uscissi dalla stanza per riprendere a lavorare con la mano sinistra, ma per educazione non insiste.
Il riflesso d’immersione è un insieme di reazione cardiovascolari e respiratorie che si innescano quando immergiamo il volto in acqua, il consumo dell’ossigeno si riduce per fronteggiare un breve periodo d’apnea.
Quanto possiamo aspettare prima di riemergere?