Pittore, poeta, amante dei viaggi e del buon vestire, Filippo de Pisis è il protagonista assoluto della mostra, curata da Pier Giovanni Castagnoli, al Museo del Novecento di Milano, visitabile fino al primo di marzo. Novanta opere raccontano la sua parabola artistica.
Il percorso espositivo è articolato sulla narrazione della vita dell’artista: a partire dal 1916, anno della scoperta della pittura, avvenuta grazie all’amicizia con i fratelli Giorgio De Chirico e Alberto Savinio, fino al ricovero per nevrosi all’istituto Villa Fiorita di Brugherio, dove morì nel 1956.La sua ampia produzione artistica viene divisa in sei sale: la prima rappresentagli anni dal 1916 fino al 1925, in cui avviene la sua prima “personale” alla casa d’arte Bragaglia a Roma; tre sale sono dedicate ai dipinti del periodo Parigino, che va da metà anni ’20 fino al ’40, periodo proficuo per gli incontri con vari intellettuali e artisti tra cui Picasso, Svevo, Braque, Joyce; la quinta sala presentala produzione degli anni che vanno dal ’39 al ’48, in cui De Pisis passa da Bologna, Rimini, Vicenza fino a trasferirsi a Milano; l’ultima sala espone le opere realizzate nel periodo dal ’48 fino alla morte.
Nella prima sala i riflettori sono puntati sull’opera Marina con Conchiglie, un olio su cartone realizzato nel 1916, l’anno di svolta per la carriera artistica di De Pisis. La direzione presa è quella della pittura metafisica: un’atmosfera di spaesamento e di enigma pervade il paesaggio marino, mentre una piccola figura umana all’orizzonte ricorda quelle presenti nelle piazze di De Chirico. Nel ’25 De Pisis presenta la sua prima personale alla casa d’arte Bragaglia a Roma, il suo stile inizia ad essere apprezzato da diversi estimatori. L’amicizia con De Chirico è omaggiata in un altro bellissimo olio, dal titolo I Pesci Sacri, datata 1925. Iniziano a comparire il tema dei quadri nei quadri, altro motivo dechirichiano, con cui l’artista vuole ribaltare l’ordine dei significati. Il ’25 è anche l’anno in cui De Pisis si trasferisce a Parigi. Ecco come l’artista ricorda la Ville Lumière in uno dei suoi numerosi scritti:
“E quel chiaro pomeriggio domenicale, come altre volte, pensò che l’aria di Parigi, la luce del suo cielo, ha in sé una specie di magia. Le cose acquistano in essa un’espressione di sogno e di dolce mistero.”(F. De Pisis, Le Memorie del Marchesino Pittore, Einaudi, Torino 1989, p. 110)
E qui lo si vede girovagare per le strade con il cavalletto, intento nel ritrarre persone e paesaggi urbani, come Rue De Dragon o Rue De Clichy. Sebbene dipinga en plein air, con tratto rapido come gli impressionisti francesi, egli non vuole rappresentare in maniera realistica l’ambiente che lo circonda, ma vuole esprimere il suo “paesaggio interiore”. Così le strade e le piazze vengono rese con macchie di colore sparse sulla telache danno un significato tutto personale al paesaggio.Questo si può notare anche nell’opera RingSquare(1935), dipinta a Londra, un’altra delle capitali frequentate dall’artista. Ovunque egli vada, riesce a cogliere la luce e i colori peculiari di quel luogo: le calli strette e scure di Venezia, la luminosità di Roma, il grigiore di alcune strade di Parigi, il verde montano e il marrone delle case di legno di Cortina d’Ampezzo, la Darsena di Milano.
In ogni sala è possibile rintracciare queste variazioni, intervallate da qualche natura morta, tra cui spicca Il Gladiolo Fulminato (1930), un’opera commovente, dipinta con “tinte umili ed esatte”, come nota l’amico scrittore Giovanni Comisso.
L’uso personale del colore investe anche i ritratti. La giovane età dei soggetti è resa da un vivo color pesca, che predomina in opere come Ritratto di Allegro(1940), trovato scandaloso dalla critica per la nudità sfacciata del torso e lo sguardo sensuale. Il ritratto intitolato Il Marinaio Francese(1930), scelto come icona della mostra, accenna invece alla corrente metafisica. Questo si nota in particolare dagli oggetti posti sullo sfondo tra i quali risalta un guanto rosso che rimanda a certi dipinti di De Chirico. Anche la vecchiaia viene rappresentata nel suo significato più profondo: in Ritratto dell’Antiquario Rocchi (1931), sfregamenti e abrasioni dominano sulle pennellate, in quanto meno adatte a rivelare l’asprezza e la ruvidità dei tratti.
De Pisis era solito annotare i propri pensieri sotto forma di brevi prose – come La città dalle 100 Meraviglie – o poesie. La penultima sala, quindi, offre per la libera consultazione scritti dell’artista, un catalogo delle sue opere accompagnato da sue poesie e un’opera biografica dell’amico Comisso (Mio Sodalizio con De Pisis, Neri Pozza, Vicenza 2010). Inoltre, presenta una testimonianza video che lo coglie nel momento dell’atto creativo.
I suoi dipinti erano definiti da lui come “una specie di canovaccio delle mie poesie”. Egli cercava la poesia in ogni luogo, anche “in mezzo al disastro” delle due guerre. Questo tratto caratteriale, insieme alla sua omosessualità, fu la causa della sua emarginazione. Fino agli ultimi giorni ha continuato a dipingere, sebbene a causa della nevrosi le tinte si affievolissero e diventassero più cupe, come in Cielo a Villa Fiorita(1952), esposto nell’ultima sala.
Dall’organizzazione dello spazio espositivo il visitatore ha subito chiara l’evoluzione della poetica e della creazione di De Pisis, il quale, nonostante la sua vicinanza con la corrente metafisica, definisce la sua arte paradossalmente “indefinibile”: