Giusy Pirrotta è nata nel 1982 a Reggio Calabria e oggi vive e lavora a Milano.
Dopo aver sviluppato i suoi studi presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze si trasferisce a Milano e poi a Londra dove frequenta un Master in Fine Art presso il Central Saint Martin College of Art and Design. Vincitrice del premio Red Mansion Art, programma di residenza d’arte a Pechino promosso dalla Red mansion Foundation, con spettacolo finale alla Royal Academy of Art, ha completato con successo un progetto di dottorato presso la UCA, University for the creative Arts di Farnham.
La sua ricerca estetica ha fare ambientale, indaga la relazione fra il mezzo scultoreo e l’immagine dinamica adottando codici linguistici e di produzione propri del cinema, delle arti applicate e della cultura a noi contemporanea.
Cosa significa essere un artista e quali differenze noti fra i tuoi esordi e oggi?
Significa fare ricerca, usare le mani e la testa nello stesso modo, significa anche fare molto networking e in alcuni casi farsi fare i lavori dagli altri. Non riesco bene nell’ultimo aspetto perché mi piace sporcarmi le mani.
Non credo ci siano “esordi” o “traguardi” ma l’evoluzione di un pensiero, quindi l’acquisizione di una consapevolezza crescente in relazione al proprio lavoro e la ricerca continua di un contesto appropriato dove esporlo.
L’importante è che rimanga costante la voglia di fare.
Quali tematiche trattano i tuoi lavori e che progetti hai in programma?
Mi piace che il lavoro parli da solo e mi annoia sentire spiegazioni lunghe su quello che poi non vedo, cerco quindi di non annoiare gli altri.
Il mio lavoro deve intrattenere in maniera visiva lo spettatore, farlo divertire e riflettere su quello che vede e su come lo vede.
Per me è importante sperimentare con linguaggi diversi, dall’immagine in movimento alla scultura e all’installazione, lasciando perdere il pubblico all’interno di ambienti. Mi piace pensare di poter costruire un’esperienza come quella definita nel Cinema of Attractions1 da Tom Gunning, quando l’esperienza dell’immagine in movimento era costruita da un insieme di linguaggi che accadevano anche fuori dallo schermo e lo spettatore era guidato dalla curiosità attraverso il trucco, l’artificio, la messa in scena, la mancanza di una narrativa e lo stupore dell’effetto speciale, tutti elementi che hanno caratterizzato l’era del pre-cinema.
Per il resto, leggo molto e prendo molto spesso spunto da quello che leggo.
I miei interessi comprendono lo studio della luce, della proiezione e della percezione visiva, l’uso dei media e la tecnologia da parte degli artisti e nella società, la percezione dello spazio e dell’oggetto e la differenza tra contesti espositivi, lo sconfinamento tra linguaggi visivi e tecniche di produzione, l’antropologia e i comportamenti umani nel sistema “a”sociale contemporaneo, la fuga dalla realtà urbana, l’avvicinamento alla natura, il contrasto tra selvaggio e dimensione civilizzata.
Come ti rapporti con la città e il contesto culturale in cui vivi?
Mi piace sentirmi stimolata da quello che vedo e dalle persone che incontro. Stare sempre nello stesso contesto fossilizza la mente e rende il lavoro conforme a quello che si vede giorno dopo giorno, per questo mi piace sentirmi sempre in transito e viaggiare quando posso. Non mi piace la routine, soprattutto quella visiva.
Cosa pensi del “sistema dell’arte contemporanea”?
Penso bene, a volte mi diverte a volte mi annoia. Penso sia un po’ di nicchia ma se non fosse così sarebbe altro. Mi piacerebbe però che questo sistema si aprisse con maggior flessibilità verso altri linguaggi.
Di quale argomento, oggi, vorresti parlare?
Del mio dottorato di ricerca Moving Image and the space around the frame: time-based installations and forms of experience.
Una ricerca pratico-teorica che ho condotto presso l’University for the Creative Arts, sotto lo statuto dell’University of Brighton per circa 3 anni, e che mi ha dato la possibilità di riflettere molto sul mio lavoro e farlo crescere, in quanto alla ricerca teorica è stata affiancata una produzione di lavori che riflettevano sui concetti analizzati.
Il progetto esamina la relazione tra il contesto storico dell’ Expended Cinema e le relazione con le installazioni contemporanee che usano il mezzo analogico e l’immagine in movimento in maniera “scultorea”, fuori dal contesto cinema, e dentro la galleria e il museo.
I concetti principali osservati sono relativi alla qualità scultorea dell’immagine in movimento e del fascio di luce, la de-costruzione della grammatica visiva collegata all’apparato cinematico e finalizzata alla creazione di un linguaggio ibrido nell’incontro con altri linguaggi.
Il progetto mira a definire e osservare l’esperienza intorno allo schermo e la fruizione dell’installazione multimediale all’interno del contesto contemporaneo in relazione alla scultura e l’architettura. Inoltre analizza diverse forme di esperienza immersiva determinata dell’uso della luce e le dinamiche percettive attivate dallo spettatore all’interno dello spazio espositivo.
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Questo contenuto è stato realizzato da Marco Roberto Marelli per Forme Uniche.