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Pensieri di un gallerista isolato. Giampaolo Abbondio

Giampaolo Abbondio Giampaolo Abbondio
Giampaolo Abbondio
Giampaolo Abbondio

Giampaolo Abbondio e le sue riflessioni di gallerista “recluso” al tempo del Coronavirus. Diari letterari tra confessioni e speranze, intimi e riflessivi

Non era mai successo. Nemmeno il coprifuoco della Guerra Mondiale era così rigido: tutti a casa, mattina, sera, notte. E non era mai successo che il rapporto, il contatto con l’”altro”, imprescindibile regola del vivere contemporaneo, diventasse il nostro peggior nemico. Ci voleva un pericolo invisibile, ancor più minaccioso proprio perché impalpabile, per costringerci a fare qualcosa che ormai non facciamo più: guardarci dentro. Vivere solo con noi stessi. Un riallineamento delle coscienze, che ci permette – o forse ci costringe – a rivedere certe cose con un’ottica diversa, più “pura”. Alcuni protagonisti del mondo dell’arte italiana lo fanno con i lettori di ArtsLife: diari letterari tra confessioni e speranze, intimi e riflessivi, un ripensamento dell’arte come scelta di vita sociale. Ecco il contributo del gallerista Giampaolo Abbondio

 

Forse conoscete “Mingus Ah Hum” di Charles Mingus, registrato nel 1959, celebrato come uno dei capolavori della storia del jazz. Comprai il CD forse vent’anni fa e non lo ascoltai mai, fino a oggi. Quando l’ho scelto come sottofondo per scrivere questo testo. Tornerò dopo a spiegarvi perché ve ne parlo.
Iniziamo dalle buone notizie, l’Arte sopravviverà al Coronavirus, come il cielo, che è indifferente a quello che succede sotto di lui, anche l’Arte esiste a prescindere. L’Arte è un bisogno primario dell’uomo quindi finchè ci saremo continuerà ad esistere.

Settimana scorsa uno degli interventi più apprezzati è stato quello pubblicato da Giorgio Armani, cito: “La crisi è un’opportunità per ridare valore all’autenticità: basta con la moda fatta solo di comunicazione, basta con le sfilate cruise in giro per il mondo per presentare idee mediocri e intrattenere con show grandiosi che oggi appaiono fuori luogo”. Sostituire nel testo la parola MODA con la parola ARTE è sorprendentemente semplice, soprattutto racconta perfettamente cosa siamo diventati in questi ultimi anni.

Giorgio Armani
Giorgio Armani

Biennali che nascevano come funghi, fiere che inauguravano ogni mezz’ora, mostre a ripetizione, eventi su eventi, i famigerati fuori salone copiati dal design, aste a ciclo continuo… un moltiplicarsi bulimico di proposte che nella maggior parte dei casi una volta terminate andavano a riempire i magazzini, il tutto innaffiato da un prosecchino servito in bicchieri di plastica. Ma davvero pensavamo fosse questa l’Arte? Ovviamente mi rendo conto che essendo aumentati numericamente i partecipanti era inevitabile si dovessero anche moltiplicare le possibilità per mostrare il lavoro, però cosa è successo nel mezzo di questa crescita esponenziale?

Mentre aumentavano gli artisti, le gallerie, i collezionisti, le riviste specializzate, scompariva chi avrebbe potuto in qualche modo limitare questa crescita incontrollata, la Critica. I giornali non pubblicavano più recensioni, soprattutto non quelle negative, non si voleva scontentare gli inserzionisti, ancora di più non si voleva perdere l’occasione di essere prezzolati per scrivere comunicati stampa per le mostre future di quelle stesse gallerie. E poi lo sappiamo, il Grillo Parlante non piace a nessuno, specie se ci richiede un impegno di lettura e comprensione.

Come forse sapete, ho un background finanziario, prima di scoprire l’Arte ho lavorato molti anni sia come gestore di fondi d’investimento, sia come broker. Quando gestivo un portafoglio azionario ho sempre perseguito un approccio value, alla Warren Buffett per intenderci. Evitando di seguire l’ultima moda e soprattutto ricordando che non stavo partecipando a nessuna gara, bensì stavo cercando di creare valore per i risparmiatori che mi avevano dato fiducia. Ho smesso definitivamente di farlo poco prima della crisi dei subprime. Non posso arrogarmi di averla anticipata, però il mio sesto senso mi aveva fatto capire che c’era qualcosa che non andava.

Il magazzino della Galleria Giampaolo Abbondio
Il magazzino della Galleria Giampaolo Abbondio

Quello che non andava ora lo sappiamo. La speculazione aveva preso il sopravvento, sempre di più il mercato era fatto di qualcosa che non esisteva. Derivati sui derivati dei derivati, si comprava e si vendeva aria fritta (per approfondire l’argomento consiglio la lettura di The Big Short di Michael Lewis). Ora perché ho fatto questa lunga digressione? Perché la stessa cosa è avvenuta nel mercato dell’arte, era inevitabile che questo avvenisse, se pensate quanti collezionisti recenti siano provenienti da Wall Street. Non è un caso che la Mecca del mercato dell’arte sia proprio lì dove oramai un artista non può più permettersi di vivere.

Questa finanziarizzazione del mercato dell’Arte ha creato delle aberrazioni per le quali le opere d’arte erano diventati dei titoli da comprare e vendere, i cui prezzi salivano esponenzialmente, preziosi come se fossero acqua nel deserto. Era però un gioco ristretto a cui potevano partecipare solo qualche migliaio di persone in un tutto il mondo, l’Olimpo. Inevitabilmente chi era escluso da questo mondo non esisteva. Oppure si affannava disperatamente a cercare di farne parte scimmiottandone gli aspetti esteriori. Quindi la moltiplicazione delle fiere dove sperare di essere notati, le mostre sempre più “spettacolari” in gallerie che si riempivano solo cinque o sei giorni l’anno, la sera del famigerato prosecchino, per poi rimanere deserte per il resto del tempo.

Ora, questo sistema è insostenibile economicamente, per non parlare poi del fatto che per attrarre clientela si partecipa alle fiere. Dove per uno spazio insieme a duecento altri si pagano cifre pari a svariati mesi del costo di quello che abbiamo. Peraltro il più delle volte mostrando una quadreria insulsa, triste antologia delle ben più sostanziose mostre fatte. Ho sempre cercato di insegnare a mio figlio che le cose vanno usate per lo scopo per cui sono stare create. Quindi come non si usa una bottiglia per piantare un chiodo, così l’opera d’arte non è un titolo di Borsa. Questo però adesso è finito, anche se da un pezzo lo dicevo, riconoscendo i segnali inequivocabili di una bolla speculativa (per referenza Il Grande Crollo di J.K. Galbraith), ci ha pensato il Coronavirus a mettere la parola fine.

Tutto questo nel 2020 non esiste più.

Ho volutamente aspettato a scrivere qualcosa, ho cercato di riflettere a fondo su quello che stiamo vivendo. E qui veniamo a Charles Mingus, per anni ho comprato CD in quantità industriale, senza poi neanche avere il tempo di ascoltarli (in questo caso cosa mi sono perso!). Così in Arte ne è stata prodotta tantissima che però giace imballata in magazzini simili a quello che della scena finale de I Predatori dell’Arca Perduta. Sicuramente la gran parte di queste opere non valgono la tela su cui sono state dipinte, altre sono capolavori che sono finiti sepolti dalla frenesia di dover sempre mostrare la prossima novità.

Charles Mingus
Charles Mingus

Dicevo che la buona notizia è che l’Arte sopravviverà, chi non sopravviverà è questo mercato dell’arte, vedremo i prezzi crollare, con buona pace di quelli (no, non li chiamo collezionisti) che quando gli si proponeva un’opera di un artista giovane o di mezza carriera rispondevano che preferivano comprare cose più sicure. Farò un esempio aritmentico: l’opera di Pincopallo costava € 10.000, quella di Bonalumi € 300.000, oggi la prima se va bene qualcuno ti offrirà € 2.000, la seconda ha perso il 30% del prezzo pagato, quindi € 210.000 (anzi facciamo 200.000 così arrotondiamo!), dov’è la sicurezza?

Ho letto da qualche parte che i grandi operatori beneficeranno da questa crisi. Personalmente non lo credo, hanno strutture molto onerose che continuano a costargli (immaginate di avere un taxi che vi aspetta con il tassametro che gira…). Peraltro strutture create per sostenere un mercato speculativo, con magazzini di opere originariamente comprate a prezzi inflazionati. Quando addirittura non si siano indebitati per finanziare l’espansione.

Un anno senza mostre e affini è un buon sabbatico per l’Arte, che permette agli artisti di riflettere sul loro lavoro. Senza la fretta del prossimo appuntamento, possono fare un passo indietro e vedere il quadro d’insieme meglio. Molte gallerie sono destinate a scomparire (per fortuna non ho mai considerato la galleria senza il gallerista ovvero, anche senza lo spazio fisico la Galleria continua ad esistere con il Gallerista), diminuirà il numero delle fiere, voglio sperare che così i collezionisti saranno meno distratti dall’ennesima vip preview o dal Dj Set in un capannone industriale abbandonato dopo la “performance” e potranno tornare a concentrarsi sulle opere e sul contenuto delle mostre.

Sono abbastanza certo che nel 2021 vedremo dell’Arte meravigliosa. Come non ne abbiamo vista in 20 anni, cioè da quell’11 Settembre che a suo tempo mandò in crisi l’Arte.
Viva l’Arte, viva la Vita!!!

Giampaolo Abbondio

http://www.giampaoloabbondio.com/

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